Editoriali
Coldiretti: demagogia agricola all’opera
15 novembre 2008 | Ernesto Vania
Comunicati stampa e lanci che servono ad abbindolare la stampa, ad ottenere qualche articolo su giornali dove giornalisti, spesso estranei al mondo agricolo, fanno da megafono a ogni strampalata comunicazione che almeno abbia la parvenza di risparmio, di genuino, di fatto in casa.
La Coldiretti si è perfettamente inserita in questo filone, diramando continui comunicati che hanno probabilmente grande appeal giornalistico ma che si rivelano, nel migliore dei casi, delle bolle di sapone, se non, come accaduto recentemente, dei clamorosi autogol che rischiano di danneggiare il settore agricolo.
In occasione dellâEima quella che si dice la principale organizzazione agricola ha infatti affermato che âportare a tavola olio o vino ottenuti direttamente in cantina dallâuva o dalle olive acquistate in campagna è ora possibile grazie alle nuove tecnologie innovative.â
Vediamo lâesempio del vino. Una famiglia che volesse produrre circa 100 litri di vino dovrebbe acquistare circa 150 chilogrammi dâuva, una quantità risibile, visto che lâuva atta alla vinificazione viene di solito venduta solo allâingrosso e in volumi ben diversi. Ammesso e non concesso che trovasse un viticoltore disposto a vendere tali piccole partite ben difficilmente potrebbe spuntare i prezzi indicati alle borse merci e realisticamente dovrebbe spendere non meno del doppio/triplo per portarsi a casa la sospirata uva. Qui occorrerebbero minime nozioni di enologia e almeno modeste quantità dei principali prodotti enologici (metabisolfito su tutti) per poter vinificare. Occorre lâattrezzatura adeguata che ha un costo sì modesto ma di cui occorre considerare manutenzione e stoccaggio durante lâanno. In conclusione è probabile che il sospirato vino fatto in casa, ottenuto senza basilari controlli chimici-analitici, e della cui qualità dubitiamo memori dei âvini del contadinoâ di un tempo, verrebbe a costare più di quello acquistabile in unâazienda vitivinicola. Senza considerare, ovviamente, il lavoro e lo smaltimento delle vinacce.
Per lâolio dâoliva il discorso cambia poco. Un mini frantoio âfamiliareâ ha un costo di qualche migliaio di euro e richiede lâintera potenza normalmente dedicata a unâutenza domestica. La famiglia che volesse utilizzare questo impianto dovrebbe quindi prima staccare ogni elettrodomestico e quindi dedicarsi alla frangitura, sempre che riesca a trovare un olivicoltore disposto a vendere i 3-4 quintali di olive necessarie alla produzione di circa 30-40 litri dâolio, ovvero il fabbisogno annuo di una famiglia media italiana. Questa famiglia si troverebbe poi a fare i conti con lo smaltimento di circa 2 quintali di sansa e di almeno 1,5 quintali di acque di vegetazione, quantità che difficilmente potrà gettare nel giardino di casa dove fermenterebbero dando luogo a spiacevoli odori, sicuramente poco graditi dai vicini.
La trasformazione fai da te è quindi un mito, una bella favola.
Nella realtà è antieconomica e dà luogo a svariati problemi di non così facile soluzione per lâitaliano medio dotato di cantina.
Vi è poi unâultima questione, di non poco conto, la cui trattazione ho lasciato appositamente in ultimo. Le condizioni igenico-sanitarie di lavorazione.
In unâazienda agricola, pur piccola, i locali devono rispondere a determinati requisiti, si è sottoposti a controlli da parte dellâAsl, del Comune e di altri organi. Occorre redigere un piano di autocontrollo sulle caratteristiche igenico sanitarie (Haccp). Occorre insomma garantire il consumatore che il prodotto sia salubre.
Nelle cantine delle abitazioni, nei garage siamo sicuri di poter operare nelle medesime condizioni? Siamo sicuri di poter ottenere non solo qualità ma prodotti che almeno non facciano male alla salute? Dove sono finite le battaglie per la qualità e la tracciabilità ?