Editoriali
Riforma agraria alla cinese
18 ottobre 2008 | Alberto Grimelli
Non si tratta di una rivoluzione, ma poco ci manca.
Non è la liberalizzazione della terra, ma poco ci manca.
Non è il riconoscimento della proprietà privata, ma poco ci manca.
Siamo in Cina, Paese comunista per eccellenza dove, già da molti anni, i collettivi agricoli hanno cessato di esistere.
La prima riforma agraria cinese risale al 1978, di là una serie di innovazioni nel segno del motto âla terra ai contadiniâ.
Chi nelle campagne già faceva parte di collettivi agricoli si è visto assegnare un fazzoletto di terra, circa mezzo ettaro, da coltivare in proprio e da cui ricavare un reddito.
La produzione agricola è cresciuta in maniera esponenziale ma ora si è stabilizzata, creando una nuova classe agricola, povera rispetto alla Cina delle città.
800 milioni di persone, stando alle statistiche del governo cinese, che vanno traghettate nel nuovo millennio, il cui stile di vita va migliorato, ecco il perché di una seconda riforma agraria, ecco il motivo delle nuove misure.
La proprietà privata delle terre resterà proibita ma il âcontrattoâ di cessione del fazzoletto di terra assegnato dalle autorità locali diventerà cedibile, ricavandone un profitto.
Eâ un primo, timido passo anche se dettato più da logiche di mercato che non da una nuova concezione dei diritti del cittadino, almeno nella sua accezione occidentale.
Eâ infatti volontà del governo cinese favorire lâaggregazione delle terre, introducendo così la meccanizzazione e tecniche agronomiche innovative.
Si tratta di unâulteriore passo per un maggiore sfruttamento delle terre, per un incremento della produzione agricola a favore di una popolazione in crescita, per una riduzione della popolazione contadina che si dovrebbe spostare nelle città a moltiplicare quella manodopera manifatturiera di cui la Cina ha sempre più necessità   
Unâultima considerazione, infine.
La crisi economica che sta coinvolgendo i Paesi occidentali sta spingendo la Cina a pensare sempre più in sé e per sé, in termini di sviluppo del mercato interno per sostenere la sua vorticosa crescita economica. 
Raddoppiare entro il 2020 il reddito degli agricoltori, favorendo nel contempo una migrazione verso le città, significa migliorare lo stile di vita e di consumo di decine di milioni di persone. 
Significa garantire una crescita del Pil per molti anni ancora, nella speranza che Europa e Usa non soffrano troppo ma soffrano abbastanza per perdere forza economica, politica e militare.
Lâobiettivo strategico cinese non è cambiato, divenire: in fretta, la nuova superpotenza, senza tuttavia bruciare le tappe, senza perdere il controllo del Paese, della propria popolazione.
Nessuna rivoluzione, nei documenti ufficiali non si parla neanche di riforma agraria ma di una semplice riforma delle campagne. 
Non solo una questione semantica. 
Un vero processo di liberalizzazione, la proprietà privata, è ancora un miraggio. 
Il controllo resta in mano allo Stato. 
I contadini devono incrementare il loro reddito, per il bene del Paese e della classe dirigente.
Poco ci manca, ma resta molta strada da fare.
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