Editoriali

Aldo Moro, un modello

05 luglio 2008 | Sante Ambrosi

Sono passati trenta anni dall’uccisione di Aldo Moro e le celebrazioni di questo grande statista non sono mancate. Io non voglio aggiungere qualcosa ai tanti elogi e alle indiscutibili dissertazioni sulla sua lungimirante politica e, meno ancora mi voglio intromettere sulle ragioni della sua uccisione. Voglio semplicemente riflettere sul personaggio come politico e come cristiano.

In un periodo, come il nostro, nel quale la politica è sempre più gridata ed ostentata, Aldo Moro mi ricorda, al contrario, una politica dimessa, pensata, ragionata, senza invettive e senza proclami sbandierati come se si trattasse di verità rivelate.

Il suo modo di essere non aveva niente di sensazionale, niente di attraente e niente di accattivante per plebi assetate di protagonismo. Il suo modo di presentare una linea politica era frutto di un pensare, talora ardito, con ragionamenti non sempre comprensibili, anzi qualche volta del tutto astratti e pieni di sofismi inverosimili, come la teoria delle parallele che si incontrano, sempre, è ovvio, in campo politico.
Era lo sforzo di un pensatore acuto che voleva piegare la politica fuori dagli schemi ideologici in cui era finita.

Ebbene, questo modo di fare politica e di essere politico mi pare che non debba essere dimenticato, perché la povertà di pensiero che si nota ai giorni nostri certamente ci porterà a una politica sempre più gridata, ma lontana dai problemi della società. E non importa se questa politica, in questo momento, riscuota vasto consenso. Moro non era un politico che si interessava più di tanto del consenso. In lui c’era la preoccupazione di dire cose vere, di orientare verso le cose vere e trascinare verso una politica che doveva avere un progetto di vaste dimensioni sociali, tale da essere veramente un bene generale.

In questa sua fatica di politico aveva un concetto della sua appartenenza alla comunità cristiana matura e originale, in linea con figure di alto profilo, come De Gasperi o Sturzo. La sua appartenenza non venne mai meno, ma ciò non significò adesione ostentata, neppure adesione passiva. Il suo essere cristiano non voleva dire semplicemente difendere tradizioni consolidate, c’era anche questo, s’intende, ma non solo. Moro si impegnò molto per far uscire il mondo cristiano, un certo mondo cristiano e una certa gerarchia troppo paurosa del nuovo, per portare fuori tutti da uno steccato ideologico nel quale il seme cristiano rischiava di isterilirsi e inaridirsi.

Questo atteggiamento di un certo mondo cristiano era, ovviamente, del tutto similare a quello del blocco comunista, allora fiorente. Si trattava di lavorare all’interno dell’uno e dell’altro per un futuro che aveva nella sua mente e che sembrava ormai raggiungibile. E lui cadde su questo tentativo per forze che non volevano vedere la realizzazione di un tale sogno. Era il sogno di Aldo Moro, ma anche di tanti che allora, come oggi, credono che sia l’unico sogno degno di essere mantenuto e difeso.

La sua coerenza di cristiano e di politico non si tradusse in una difesa acritica del passato e delle tradizioni, anche quelle particolarmente legate alla sua fede di cristiano convinto, ma in uno sforzo mite e al tempo stesso combattivo verso un futuro che non tutti riuscivano a cogliere e che molti non volevano. Al di là della giustezza o meno di certe sue scelte, al di là della con divisibilità o meno di tutte le sue intuizioni e delle sue lotte, gli va riconosciuta questa stoffa di grande politico e di vero cristiano. E, appunto per questo, amo ricordarlo.

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