Editoriali

Il calcio di rigore

28 giugno 2008 | Franco Bonaviri

Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia.


Francesco De Gregori, La leva calcistica della classe '68



Che destino assurdo quello ch’è toccato all’Italia calcistica – e, con la squadra allenata dall’ormai ex ct della Nazionale Donadoni, penso anche alla sorte dell’Italia intera. Perché il paragone tra le due realtà, in fondo, è quanto mai calzante.

Essere eliminati dal campionato europeo di calcio perdendo alla roulette russa dei rigori ha messo in stato crisi un intero Paese. Il morale infatti è a terra. Nulla di strano con ciò, s’intende. Era già capitato, alla nostra formazione, ma questa volta, come ogni volta quando accade, la ferita brucia sempre un po’ di più del solito, perché lo smacco è ancora recente e si avverte l’odore acre della sconfitta sulla pelle.

E’ stato seriamente compromesso l’orgoglio dei campioni del mondo e infatti la classe dirigente ha prontamente reagito scaricando in maniera maldestra, e anche contro ogni etica, un incolpevole Donadoni per dare il via libera al vecchio e collaudato Lippi. Un classico ritorno al passato – avranno pensato i saggi del nostro sport, sempre i soliti personaggi, inamovibili – non fa mai male.

Ora però, intendiamoci, non sono qui a parlare di calcio, perché non mi interessa perdere tempo in baggianate simili. Per me è già insopportabile stare a discutere su di un ambiente immondo e senza regole – a parte quelle, finte, che vengono spacciate per vere – figuriamoci dunque se di fronte ai grandi temi (costantemente trascurati) uno debba anche sprecare la propria intelligenza per star dietro a questioni così insulse. Però – lo dico con tutta sincerità – la metafora dei calci di rigore, oltre, evidentemente, alla qualità delle prestazioni della nostra squadra – mi interessa moltissimo: perché mi consente di guardare con occhio clinico e disincantato al nostro Paese.

Si va ai calci di rigore quando due squadre non riescono a chiudere un incontro nei tempi regolamentari e in quelli supplementari. E’ segno che qualcosa non è andato per il verso giusto. Infatti l’Italia non ha giocato, ma ha solo fronteggiato il gioco degli spagnoli. Pertanto, se è pur vero che nemmeno gli spagnoli sono riusciti ad andare in rete, va però detto che le nostre intenzioni erano ben chiare sin dalla vigilia dell’incontro. La probabile vittoria sarebbe venuta solo su contropiede, non invece giocando in attacco, come ci si aspetterebbe da una squadra di campioni.

Il male oscuro dell’Italia consiste proprio in questa stagnazione dei propri comportamenti, ch’è poi la diretta conseguenza di quella stagnazione che si estende all’economia, alla società, alla politica, alla cultura, alla scuola, alla famiglia e via elencando, fino a coinvolgere tutti i vari possibili ambiti. Figuriamoci poi quello agricolo, il più sacrificato tra tutti.

Il Paese però non ha ancora capito che occorre sbilanciarsi, pur con il rischio di perdere qualcosa di importante, come ad esempio lo sono le posizioni già acquisite. Se la squadra dell’Italia fosse uscita vincente ai calci di rigori, noi avremmo portato in gloria allenatore e calciatori e saremmo immeritatamente gonfi di felicità. Seppure piuttosto immeritatamente, giacché, in verità, l’Italia da tempo non gioca più un ruolo da prima della classe, ma da ex.

Il nostro Paese si cuce addosso un ruolo da protagonista che invece non ha, che non gli compete. Un’ottima squadra gioca sempre per vincere, non per mantenere inalterato il risultato, fisso sul pareggio nella speranza che l’avversario sbagli o che si sviluppi in qualche modo un’azione di contropiede. Alle volte il pallone non entra in rete, e così si va ai calci di rigore e tutto può accadere. Non è così che si può andare avanti. L’Italia meriterebbe atteggiamenti diversi, una dosa di maggior coraggio, intanto, e meno ipocrisia.

Quanto all’agricoltura, settore cenerentola del Paese, il solo parlarne mette grande disagio e agitazione. Di conseguenza, non ci si può stupire più di tanto di fronte all’incapacità del Paese nel fronteggiare nella maniera dovuta i vari stati di emergenza nei quali di volta in volta si resta impigliati, con tutti i grandi e irrisolti problemi che ne derivano. La fortuna, insomma, non sempre assiste chi rinuncia in partenza a giocare il proprio ruolo da protagonista.

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