Editoriali
L’intifada dell’olio di oliva: i prezzi come arma tra due nemici

Industriali e agricoli del mondo dell’olio di oliva come israeliani e palestinesi: arcinemici costantemente in guerra. I prezzi dell’olio come arma e due soli vincenti: banche e Grande Distribuzione
07 ottobre 2024 | Alberto Grimelli
Il mondo dell’olio di oliva è diviso tra imbottigliatori (industriali) e produttori (agricoli), come in Medio Oriente, più in particolare israeliani e palestinesi: arcinemici, costantemente in guerra, votati alla distruzione l’uno dell’altro e con i prezzi dell’extravergine a far da arma.
Una guerra nata in un lontano passato, con torti e ragioni che si sono stratificati negli anni, con colpi bassi, intifade e battaglie cruente che non sono mancate e, anzi, hanno subito solo escalation.
Talvolta la guerra era dichiarata e palese, talvolta la guerra è sotterranea e dissimulata, come sta avvenendo nelle ultime settimane.
Dopo anni di supremazia del mondo industriale, tanto che nelle chat private di qualche associazione di industriali si pianificava e sognava la fine dell’olivicoltura italiana, fino al rovesciamento del fronte, negli ultimi due anni in particolare, con il mondo agricolo che detta legge sulle condizioni di mercato.
Ma chi comanda davvero nella filiera olivicolo-olearia? Semplice: banche e Grande Distribuzione. Come a dire, tra i due litiganti…
A banche e Grande Distribuzione va la maggior parte del valore aggiunto della produzione olivicolo-olearia nazionale, con il mondo della produzione indebitato, prima, con i prezzi bassi dell’olio extravergine di oliva, e il mondo industriale indebitato, ora, con i prezzi alti dell’olio extravergine di oliva. I margini di banche e GDO costanti e intoccabili.
I bilanci, conti economici e patrimoniali dei marchi dell’olio di oliva sono in fortissima sofferenza, con le perdite nascoste spesso solo con qualche artificio contabile. La marginalità lorda del 2-3% erosa dagli alti tassi interesse sui prestiti liquidità, con esigenze di cassa contestualmente molto elevate per far fronte ai prezzi all’ingrosso dell’olio elevati, oltre a una diminuzione dei volumi venduti del 10-20% per mancanza di prodotto. Sono in tanti a scommettere che, in presenza di una stretta del credito significativa, tanti brand dovrebbero essere svenduti e gli avvoltoi, soprattutto esteri, non mancano.
Contemporaneamente il mondo agricolo gode delle difficoltà dell’arcinemico. Quello che si legge sui social, “dovete tirar fuori i quattrini se volete l’olio”, non è molto dissimile da quello che si sente nelle stanze dei dirigenti delle associazioni agricole e olivicole. Le reazioni violente alle voci di un abbassamento dei prezzi dell’olio extravergine di oliva testimoniano solo la volontà di applicare la legge del contrappasso, ovvero la volontà di infliggere all'offensore la stessa lesione da lui provocata all'offeso.
Banche e Grande Distribuzione ringraziano, potendosi spartire la torta di un valore aggiunto dell’olio extravergine di oliva piuttosto ricco negli ultimi due anni, forse tre, considerando anche la campagna olearia in divenire.
La soluzione, assolutamente illusoria e utopica, passa attraverso l’unione di due debolezze (industriali e agricoli dell’olio di oliva) contro due forze del mondo economico (banche e GDO). Non un matrimonio, piuttosto un contratto, per mantenere il valore aggiunto all’interno della filiera e distribuirlo in maniera equilibrata.
Lo strumento potrebbe essere il Piano Olivicolo Nazionale.
Occorre però accantonare la pia illusione di aumentare la produzione di olio di oliva italiano con decreto. Avverrà solo se conveniente, non per via di qualche sovvenzione pubblica. Solo così si potrebbero ri-orientare le risorse disponibili al mercato.
Si tratta di un rovesciamento del paradigma: prima di occuparsi di aumentare la produzione, per poi doversi preoccupare di come venderla, occupiamoci di vendere in maniera molto remunerativa quella esistente, con la produzione che, a quel punto, crescerà di conseguenza.
Gli strumenti del Piano Olivicolo Nazionale dovrebbero essere dunque di tipo finanziario, con prestiti liquidità garantiti e a tasso zero per gli scambi di olio italiano “certificato”, e attività promozionali su display e layout degli scaffali della Grande Distribuzione (per favore basta con spot inutili) per incentivare un acquisto consapevole, con finalità d’uso dichiarata (edonistica, salutistica o d’altro tipo) dell’extravergine nazionale.
Sono esempi che un grillo parlante offre alla filiera olivicolo-olearia pur di veder cessare l’intifada quotidiana tra mondo agricolo e industriale che, per carità, dà tanto da scrivere ma, dopo 25 anni, ha anche un po’ annoiato.
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07 ottobre 2024 ore 12:36Carissimo Direttore, mi duole confermare l'analisi sulla qualità dei rapporti all'interno della filiera italiana. Purtroppo negli anni si sono sedimentate logiche ormai antiche che non dovrebbero essere utilizzate in un settore che ha visto importanti cambiamenti degli operatori e nelle diverse categorie. Parliamo e finanziamo filiere che non hanno la testa di fare un passo avanti per incrociare il nuovo consumatore. Certamente concordo con lei sulla necessità di un piano olivicolo che garantisca ( con la leva finanziaria e non a fondo perduto) tutti gli operatori della delibera dalle oscillazioni spesso frutto di speculazioni. Ma cosa ancor più necessaria, a mio modesto avviso, resta la necessità che il campionato dell'olio venga separato in serie A e serie B , tra chi vuole costruire un rapporto col consumatore basato sulla qualità italiana e chi vuole lavorare sulla commoditi. Senza dire chi è più bello o più buono, semplicemente spiegando che ci sono mestieri e prodotti diversi, tutti degni di rispetto. Se continuiamo sulla confusione attuale avremo come conseguenza che la moneta cattiva scaccera dal mercato quella buona. In questo scenario tutti abbiamo da perdere qualcosa!
giuseppe allegretti
09 ottobre 2024 ore 11:53Dott. Grimelli buongiorno. Anche io come l'amico Nicola Ruggiero mi trovo assolutamente d'accordo con la sua analisi. Altresì ritengo altrettanto urgente e necessario l'attuazione di un piano olivicolo nazionale basato su logiche meno assistenzialiste e più votate alla valorizzazione ed alla divulgazione delle qualità del prodotto in modo da creare maggiore conoscenza nel consumatore e quindi più consapevolezza negli acquisti. Di qui mi riallaccio all'altra proposta fatta sempre dall'amico Ruggiero: la creazione di due prodotti differenti tra loro (sulla base di nuovi parametri chimici e organolettici) in modo da arrivare ad una maggiore esaltazione degli oli di altissima qualità e quindi valore aggiunto, rispetto a quelli più a buon mercato e che, quindi, possano classificarsi più come una commoditi. Poi sarà sempre il mercato (se a monte c'è stata la giusta informazione) a fare le differenze.