Editoriali

Alti e bassi dell'imprenditoria italiana dell'olio di oliva: un mondo che sta scomparendo

Alti e bassi dell'imprenditoria italiana dell'olio di oliva: un mondo che sta scomparendo

Da fare, fare, fare a resistere, resistere, resistere. C'è chi, come Luciano Sabatini, ha fatto un passo di lato e chi persevera con vecchie logiche, di un mondo che non c'è più. Ci sono lezioni da tenere a mente

12 luglio 2024 | Alberto Grimelli

Luciano Sabatini, imbottigliatore oleario, era il modello e il prototipo imprenditoriale della sua epoca.

Un periodo connotato da tanta fame, letteralmente, e tanta voglia di emergere. Tanto zelo, impegno, sacrificio, oltre a passione. Poche regole e pochi controlli. Massima libertà di pensiero e d’azione.

Quando fondò Costa d’Oro l’olio extravergine di oliva non esisteva, la classificazione commerciale fu varata due anni più tardi. Iniziò a imbottigliare l’olio in un garage. Oggi si finirebbe arrestati ancor prima che il pensiero prenda forma.

La linea guida, unica e imperante, era fare, produrre, costruire, edificare.

L’Italia ebbe così, nel bene e nel male, il proprio boom economico degli anni 1980, il rampantismo e tutte le sue deviazioni, come la rincorsa ai soldi e al successo, a ogni costo.

Divenne necessario un cambio di rotta.

Non era più importante solo fare, produrre, costruire, edificare. Anche il come diventava determinante.

In ambito olivicolo-oleario fu il regolamento comunitario 2568/1991, ancor oggi architrave del comparto, a segnare il cambio di passo: l’introduzione del panel test, i parametri chimici legali e stringenti, i controlli.

Immutati zelo, impegno e passione, i gradi di libertà per gli imprenditori oleari si restrinsero inevitabilmente. Comprensibilmente, ma anche ingiustificatamente, gli imbottigliatori accettarono con riluttanza e ostilità la nuova condizione. Avevano fatto e costruito con successo, perché cambiare?

Il cambiamento e l’evoluzione, che sono la ragion d’essere degli imprenditori, furono invece sofferti, complice anche un’età sempre più elevata nel mondo oleario, come in quello olivicolo, che inevitabilmente tende a far accomodare su abitudini e prassi consolidate.

Lo scontro tra il nuovo modello economico-sociale, giusto o sbagliato che sia, e il vecchio mondo produsse tensioni e lotte, senza favorire un reale ricambio della classe imprenditoriale olearia nazionale, ormai in declino. Prova ne è che, oggi, la maggior parte delle imprese olearie sono in difficoltà economico-finanziarie, in vendita oppure galleggiano anche qualora in mano alle nuove generazioni (che spesso ragionano come le vecchie).

Con la consapevolezza che non si poteva fermare il nuovo corso, considerazione che ancor oggi non sfiora tanti suoi colleghi imbottigliatori, fautori del business as usual, Luciano Sabatini invece decise di cedere Costa d’Oro, la sua creatura, all’apice del successo. Fu una scelta anche perché Luciano Sabatini fu implicato in diverse inchieste giudiziarie ma ne uscì vergine, senza condanne né provvidenziali prescrizioni.

Lontano dalle luci della ribalta, tanto che le sue interviste si contano sulle dita di una mano, non apparteneva alla società dell’immagine, dei social e dell’esibizione di sé e della propria famiglia. La stessa famiglia che, pur lavorando nella Costa d’Oro, è sempre stata protetta e salvaguardata. Anzi quasi nascosta, vissuta solo in una dimensione intima e personale, con le figlie definite “la mia fortuna”. Decisamente non apparteneva al nuovo corso e ai tempi contemporanei. Era di un’altra epoca, un’epoca che non c’è più, quella che voleva che si comparisse sui giornali solo in due circostanze: quando si nasce e quando si muore.

Sarà la storia a giudicare Luciano Sabatini imprenditore, come pure i suoi coevi colleghi. Per onestà intellettuale bisogna infatti ammettere che non si possono giudicare, con gli occhi e i parametri di oggi, questi percorsi imprenditoriali. Molti dei giocattoli con cui mi baloccai da piccolo oggi sarebbero fuorilegge. Vale lo stesso per gli oli di oliva. Ogni cambio radicale di epoca impone una sospensione del giudizio, in attesa del verdetto degli storici.

E’ possibile però sottolineare che, oggi, la resistenza al cambiamento del mondo oleario italiano ne sta provocando la debacle, affossando un intero comparto. Un peccato perché, con un ruolo diverso, questi imprenditori potrebbero offrire ancora visioni, suggerimenti e indicazioni.

Con il ritiro, la vita di Luciano Sabatini cambiò, con profusione di beneficenza e donazioni, ma anche uno sguardo diverso al mondo olivicolo-oleario, quasi più da osservatore che da imprenditore.

Il Sabatini contemporaneo, per esempio, ci ha lasciato un importante spunto: attenzione alla Tunisia dell’olio di oliva!

Mi posso sbagliare ma nella Tunisia olivicolo-olearia di oggi lui rivedeva la stessa fame e la stessa voglia di emergere della sua giovinezza.

Laddove diversi addetti ai lavori, compreso il sottoscritto, vedono un rischio, se non un allarme, lui vedeva un’opportunità. Non solo olio a basso costo ma la possibilità di guidare la crescita in una nazione vicina, perché non ripetano gli stessi errori italiani, così saldando una partnership che vada oltre l’approvvigionamento d’olio.

Non si può fermare la voglia di emergere di chi ha fame, ma si può tramutare un potenziale nemico in un amico.

Rischi e opportunità… dove gli altri vedono rischi, l’imprenditore vede opportunità.

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