Editoriali 15/09/2023

C’era una volta l’olio di oliva italiano

C’era una volta l’olio di oliva italiano

La tempesta perfetta è arrivata e nei prossimi 18-24 mesi si giocherà il futuro dell’olio di oliva italiano. Occorre una riorganizzazione guidata dal governo della mission delle Organizzazioni dei produttori ma anche dei marchi oleari storici


Siamo alla vigilia di grandi trasformazioni nel mondo olivicolo-oleario che cambieranno la geografia internazionale e nazionale del settore.

I cambiamenti, in sé, non sono negativi ma se non adeguatamente guidati rischiano di relegare l’Italia dell’olio di oliva al ruolo di comparsa.

Voglio essere ancora più chiaro.

Ai margini, con un ruolo secondario, ci siamo già. Spagna e Tunisia dominano la scena dal punto di vista politico, guidando il Consiglio oleicolo internazionale e indirizzando le scelte dell’Unione europea, ma anche dal punto di vista commerciale, con i buyer che, sempre più spesso, guardano a Jaen ancor prima che in Italia.

Quando affermo che potremo diventare delle comparse intendo il rischio che, nel prossimo futuro, le Organizzazioni dei Produttori si vedano fortemente ridimensionate con accorpamenti fittizi, guidati da decreti ministeriali cervellotici fatti per accontentare Bruxelles più che le esigenze della nostra olivicoltura, e i grandi marchi vengano venduti, o peggio svenduti, dopo la crisi economico-produttiva che sta mettendo in ginocchio anche le aziende più solide.

L’olio extra vergine di oliva si farà per casa, o per passione, e gli stabilimenti si trasferiranno all’estero.

C'era una volta l'olio di oliva italiano: le scelte sbagliate della politica

Il modello di Organizzazione comune di mercato dell’Unione europea è stato strutturato sulla base di un surplus produttivo permanente del Vecchio Continente, con la necessità, quindi, di porre l’accento sulla commercializzazione, facendola diventare l’unica mission delle Organizzazioni dei produttori.

Una visione miope che nel 2015 l’allora direttore esecutivo del Consiglio oleicolo internazionale, il francese Jean-Luis Barjol, aveva stigmatizzato nei numeri, ponendo l’accento proprio sul rischio dell’eccesso di concentrazione della produzione in un’unica regione, l’Andalusia, a fronte dei cambiamenti climatici e relative problematiche agronomiche e fitosanitarie.

A fronte del secondo anno di calo produttivo senza precedenti per l’olio di oliva europeo, la politica nasconde la testa sotto la sabbia, facendo finta di non vedere gli innumerevoli segnali di allerta, se non allarme, che vengono dal tessuto produttivo olivicolo-oleario nazionale.

Con la riduzione dei servizi in campo da parte delle Organizzazioni dei produttori, senza più copertura economica, il tasso di abbandono è crescente, tanto che la produzione italiana è strutturalmente sotto le 300 mila tonnellate di media. Anche la qualità dell’extra vergine nazionale non è più quella di una volta (e qui mi taccio per non infierire).

I marchi italiani trovano con difficoltà buon extra vergine italiano, con il quale distinguersi sui mercati internazionali, con conseguente erosione delle quote di mercato.

La coincidenza di stagioni produttive con bassi volumi, alti costi di approvvigionamento e costi finanziari alle stelle (il tasso medio per prestiti liquidità a breve è ormai il 7-8% per aziende con un buon merito creditizio), sta portando molte imprese a lavorare in perdita.

Le iniziative molto recenti di creare o potenziare strutture commerciali da parte delle grandi organizzazioni degli olivicoltori italiani sono operazioni certamente interessanti ma i cui effetti si vedranno solo tra anni, a fronte della concorrenza e buon posizionamento di una pluralità di player nazionali e internazionali.

C'era una volta l'olio di oliva italiano: addio a produzione e commercializzazione

Non abbiamo anni. Abbiamo mesi.

La tempesta perfetta che sta colpendo il settore olivicolo-oleario italiano produrrà probabilmente i suoi effetti nel volgere dei prossimi 18-24 mesi.

E’ questo il tempo che ha la politica per ridefinire la mission delle Organizzazioni dei produttori, in ragione di uno scenario diverso da quello immaginato di surplus produttivo strutturale, ma anche per una “riorganizzazione” guidata dei marchi oleari italiani.

Alla luce di una volontà, più o meno esplicitata da parte di gruppi industriali e finanziari stranieri, di liberarsi del settore olio e della crisi economico-finanziaria di imprese olearie di medie dimensioni, in mancanza di una visione politica che possa agevolare il mantenimento del tessuto produttivo e a difesa dell’interesse nazionale, come fatto in Spagna con il passaggio da Sos Cuetara a Deoleo (memo per i puristi del libero mercato), il destino di una vendita di storici marchi a spagnoli e arabi è ineluttabile.

Non si perderà così solo l’italianità ma anche il know how, in particolare di marketing, comunicazione e commerciale, di questi marchi. Know how che manca completamente, o quasi, alle Organizzazioni dei produttori che si troverebbero così ad affrontare la competizione di gruppi più strutturati e forti dal punto di vista economico-finanziario ma anche professionale.

La conclusione del percorso è trovarci un’Italia dell’olio di oliva con i marchi italiani, tutti o quasi, in mano straniera e le Organizzazioni dei produttori depotenziate, incapaci di rispettare i target previsti, quindi destinate al fallimento.

Un governo che fa della sovranità alimentare il suo pilastro non può non porsi il problema di dire addio all’olio di oliva italiano, non solo per quanto rappresenta in termini di storia e cultura, ma anche di economia e politica, essendo uno dei prodotti principe della dieta mediterranea.

di Alberto Grimelli

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Commenti 1

Antonio Pasquini
Antonio Pasquini
19 settembre 2023 ore 09:04

A prescindere dalla conclusione politica dell'articolo del Sig. Grimelli (che sembra dare la responsabilità all’attuale governo che fa della sovranità alimentare il suo pilastro), egli non pensa che se siamo giunti a questa situazione è perché da vari decenni la stessa “produzione dell’olio” non è stata mai presa in considerazione per la valorizzazione che meritava e che merita.
Sono 8 anni che ho fatto approvare all’unanimità dal consiglio regionale della Toscana un ordine del giorno (presentato dall’allora consigliere regionale Donzelli) relativo ai marchi registrati anche con lo sfruttamento di immagini relative ai monumenti storici che rappresentano le zone di origine. ODG firmato dal ministro Martina, dal presidente della regione Rossi, dall’assessore regionale Remaschi.
Pur cercando di coinvolgere le associazioni agricole, il consorzio IGP Toscano, partiti politici e personaggi di spicco nazionale responsabili nel settore oleario. NESSUNO SI E’ FATTO VIVO per intraprendere semplici modifiche di legge a tutela della sola “produzione dell’olio” con beneficio e valorizzazione della stessa e dei soli interessi di tutti gli olivicoltori italiani.
Quello sarebbe stato il vero “made in Italy”
Per chi volesse maggiori informazioni sono a disposizione.