Editoriali 20/01/2023

Il giornalismo oleario d’inchiesta non si ferma a suon di querele

Il giornalismo oleario d’inchiesta non si ferma a suon di querele

Coricelli perde la causa civile contro Il Salvagente per presunti danni dovuti all’inchiesta del giugno 2015. I giornalisti non fanno i controllori ma informazione


IlSalvagente ormai da qualche anno fa inchieste sugli oli di oliva a scaffale.

La prima, quella che fece più rumore e scalpore, fu nel 2015. Allora da quell’inchiesta giornalistica nacquero indagini della procura della Repubblica di Torino, oltre di varie autorità amministrative.

In quell’occasione, tra i marchi bocciati dalle analisi organolettiche effettuate da IlSalvagente, ci fu Coricelli che intentò, contro la testata e il giornalista Enrico Cinotti, che firmò l’inchiesta, una causa civile per risarcimento di presunti 20 milioni di euro di danni.

La sentenza del Tribunale Civile di Spoleto, in primo grado, ha dato torto a Coricelli.

Ci rallegriamo, ovviamente con IlSalvagente, il suo editore, il Direttore Riccardo Quintilli, oltre che con Enrico Cinotti, per il risultato giudiziario.

Ci rallegriamo ancor di più per le motivazioni della sentenza che, riconoscono finalmente il valore del giornalismo di inchiesta in Italia.

Il giudice Federico Falfari ha chiaramente delineato in una sentenza che, in ogni caso farà giurisprudenza, che “nell’ambito del giornalismo di inchiesta il requisito della verità non debba essere analizzato in modo troppo stringente ma debba, piuttosto, valutarsi se le modalità di raccolta dei dati e accertamento diretto della notizia siano coerenti con i principi di correttezza e buona fede imposti al giornalista dai propri doveri deontologici.

Questo non significa che il giornalista può scrivere bugie ma solo che bisogna considerare che ha un accesso limitato a fonti, dati e informazioni, potendone trarre un quadro che potrebbe persino non essere la verità ma che lo è nella misura della buona fede e della correttezza con cui il giornalista ha ricostruito il fatto.

Come deve operare il giornalista lo spiega bene ancora il giudice: “Nel caso di specie non è revocabile in dubbio che il medesimo sia giunto alle conclusioni riportate fedelmente nell’articolo, come detto con modalità congrue alla tipologia di pubblicazione in esame, mediante un procedimento che, seppur non parificabile a quello compiuto dagli organi pubblici preposti al controllo, appare dotato di sufficiente terzietà e serietà, tale da non costituire violazione di alcun dovere deontologico.
In particolare, come detto in precedenza, il Cinotti ha provveduto a far analizzare i campioni degli oli in questione a un soggetto terzo, peraltro facente capo ad un organo accreditato da ACCREDIA, e ha provveduto, poi ad esporre i risultati di tale indagine. Non era, in verità, pretendibile che lo stesso provvedesse ad effettuare un controllo tecnico sui risultati di tali indagini, compiuti da esperti del settore non aventi alcun rapporto di cointeressenza con le parti in causa e terzo rispetto anche alla rivista in questione. Né, attraverso espressioni allusive ovvero omissioni, il giornalista ha trasmesso al lettore una falsa (o comunque parziale) rappresentazione della verità; egli ha rappresentato innanzitutto che la stessa rivista aveva provveduto alla raccolta delle bottiglie negli scaffali del supermercato in data 19 febbraio, travasando il contenuto delle medesime in contenitori anonimi poi trasmessi al laboratorio che ha iniziato le prove il 30 marzo. Elemento ancor più rilevante, inoltre, è che nella medesima sezione dell’articolo si dia atto di aver istaurato il contraddittorio con le società i cui prodotti non avevano superato la prova del “panel test”, indicando lotto e data di scadenza del campione.

E inoltre: “non vi sono dubbi sull’esito dell’esame del panel, riportato dal giornalista, il quale chiaramente non è l’ente pubblico deputato al controllo della qualità dell’olio e alla emissione di eventuali sanzioni, e che, pertanto, non è tenuto al rispetto dei vincoli medesimi. Né l’effettuazione delle analisi in questione senza le suddette garanzie (collazionamento dei campioni in modalità “protetta” ed eventuale controanalisi dei campioni prelevati da altro “panel test”) costituisce condotta violativa della deontologia professionale.

La sentenza civile, ancorchè di primo grado, chiarisce, quasi meglio di quanto fatto dall’Ordine dei Giornalisti, i limiti del giornalismo d’inchiesta.

Viene chiarito anche un ulteriore punto dirimente per la filiera, che spesso ha portato a scontri: la presunta obbligatorietà per giornali e giornalisti di seguire le regole degli organismi di controllo. Così non è, operando gli organi di informazione sotto un altro alveo di regole che sono afferenti al diritto e libertà di stampa ma anche al codice deontologico dei giornalisti.

Personalmente ritengo che sarebbe utile se la filiera, in accordo con le associazioni della stampa, redigesse un vademecum per le inchieste giornalistiche olivicolo-olearie, partendo proprio dall’esperienza del passato e valutando debitamente le motivazioni di questa sentenza che ben chiarisce il valore dell’informazione, bene troppo spesso denigrato e sottomesso a quello dell’economia.

di Alberto Grimelli

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