Editoriali

IL CAOS IN ETICHETTA

17 gennaio 2004 | Luigi Caricato

Quando il legislatore si pronuncia in materia di etichettatura sembra che tutto si delinei nel migliore dei modi possibili, invece accade spesso il contrario. Accade infatti che una ondata di confusione prenda possesso delle menti di chi legifera fino a scendere nei meandri dell’inverosimile, o in taluni casi perfino nel grottesco.

Un esempio? L’olio-extra-vergine-di-oliva. Un lungo treno di parole per indicare ciò che invece sarebbe stato più semplice denominare olio-di-oliva. Certo, il pasticcio è stato oramai compiuto e non si può più tornare indietro. Il consumatore, infatti, dopo decenni di disorientamento ha ora compreso la differenza qualitativa esistente tra un extra vergine e un olio di oliva propriamente detto. La classificazione merceologica dell’olio che si ricava dalla molitura delle olive, ovvero dell’olio-extra-vergine-di-oliva, è stata fissata dal legislatore italiano nel novembre 1960, con la Legge 1407. Seguirono dure polemiche, ma non si fece nulla, come al solito. Ora, a distanza di oltre quarant’anni, è stata disposta una modifica ulteriore, con il Regolamento comunitario 1019 del 2002. In etichetta, a partire dal primo novembre 2003, dovrà obbligatoriamente apparire, accanto alla sequela olio-extra-vergine-di-oliva, la ulteriore dicitura di “olio-di-oliva-di-categoria-superiore-ottenuto-direttamente-dalle-olive-e-unicamente-mediante-procedimenti-meccanici”. A parte la gravità di quel “categoria superiore” (che equipara indistintamente un extra vergine da 2 euro con un extra vergine dai sette euro in su, come se entrambi fossero come tali, in virtù dell’espressione magica “extra vergine”, per ciò stesso un prodotto di categoria superiore) non si tratta più di un semplice treno di parole inutili, ma molto di più, sono almeno dieci eurostar messi in fila l’uno dietro l’altro. Ecco, già questo esempio è un parto aberrante che il legislatore senza alcun ritegno impone inutilmente a produttori e consumatori. In etichetta si inserisce di tutto, pur di riempirla e dare la sensazione che qualcosa stia accadendo, senza che tuttavia nulla di nuovo realmente avvenga, sul piano della concretezza, a diretto ed esclusivo vantaggio di produttori, consumatori e del prodotto in se stesso.

Un altro esempio? L’olio di oliva. Affinché possa essere meglio differenziato dall’extra vergine, dovrà riportare in etichetta la seguente specifica: “composto-da-oli-di-oliva-raffinati-e-da-oli-di-oliva-vergini”. Non bastasse tale precisazione, il legislatore impone un altro treno della disperazione: “olio-contenente-esclusivamente-oli-di-oliva-che-hanno-subito-un-processo-di-raffinazione-e-oli-ottenuti-direttamente-dalle-olive”. Ma ha senso tutto ciò? Che si dovesse fare una differenziazione tra le due tipologie di prodotto (extra vergine e olio di oliva comune) va pure bene, ma che venisse operata una simile denigrazione del prodotto olio di oliva è inaccettabile. Per quale ragione, infatti, a un prodotto comunque di alta qualità qual è l’olio di oliva (rispetto, s’intende, agli altri oli vegetali, ottenuti anch’essi a seguito di un processo di rettificazione) deve essere imposta una simile precisazione, mentre per altri oli non vale invece tale specificazione? L’assurdo, come si può notare, appare piuttosto evidente. Ad essere penalizzati sono gli oli di oliva nella loro ampia gamma merceologica.

Le ultime trovate. Non bastassero le troppe e pletoriche indicazioni da riportare per legge in etichetta, ecco chi cerca invece di insistere sprofondando nei soliti eccessi e mancanze di buon senso. Ma l’etichetta non è un contenitore! L’intenzione di alcuni (si tratterebbe di una apposita Commissione nominata dal ministro Sirchia) è di riportare sulle etichette dei prodotti alimentari le indicazioni relative a come smaltire le calorie assunte attraverso i cibi. L’ipotesi che sta ora prendendo corpo (neppure originale, sarebbe mutuata come al solito dagli Stati Uniti), consiste nel raccomandare al consumatore il quanto e il come occorra compensare le calorie in eccesso con un adeguato esercizio fisico riparatore. Certo, l’Italia sta diventando un Paese in bilico tra sovrappeso e obesità, ma, com’è oramai consuetudine, gli interventi del legislatore consistono solo in enunciazioni pilatesche, che non risolvono il problema, ma sottraggono in questo modo alla responsabilità chi le va emanando. Occorre invece una politica di informazione e formazione, una politica di controllo (non di repressione) e di attenta vigilanza.