Editoriali
Parola d'ordine Glocal per far ripartire la produzione di cibo in Italia

Con l’agricoltura e il mondo contadino, l’Italia perde tanta parte di territorio fertile atto a produrre cibo di qualità e valori come la storia, la cultura, il paesaggio, l’ambiente, professionalità e manodopera
08 luglio 2022 | Pasquale Di Lena
L’agricoltura italiana sempre più ai margini dello sviluppo.
Sono i dati del Censimento dell’Agricoltura 2020, da poco usciti, a disegnare un quadro ancor più desolante di quello del Censimento 2010 e a far dire che esso è la dimostrazione dei fallimenti dei governi che, da oltre 50 anni, si sono messi a disposizione di un sistema di sviluppo predatorio e distruttivo qual è il neoliberismo. Fallimenti di governi che hanno delegato ad esso la politica e, con la politica, il governo di un territorio stupendo, qual è quello italiano, segnato da ruralità e biodiversità, proprio per la presenza alta di aziende agricole. Un periodo che ha registrato la scomparsa della quasi metà delle aziende agricole, a vantaggio di quelle grandi che, grazie a questa voluta cancellazione, hanno più che raddoppiato (da 5,1. a 11,1 ha) la Superficie agricola utilizzata. Lo racconta - purtroppo ai distratti, spesso anche sordi - - il grande tesoro di questo nostro Paese, il territorio. Il bene comune, in parte abbandonato e in parte occupato da cemento e asfalto, pannelli solari a terra e pali eolici, e, anche, in un numero sempre più alto – come prima si diceva - di aziende grandi, che hanno scelto l’agricoltura industrializzata. Un’agricoltura che la Fao, già nel 2018, ha dichiarato fallita, viste le pratiche e l’uso spropositato di fertilizzanti e lavorazioni. Con il passar del tempo, e ovunque, questo tipo di agricoltura che pensa solo alle quantità di produzioni, ha mostrato di essere nemica del clima e della fertilità del suolo. Una perdita netta, quella della fertilità, che vuol dire perdita della qualità del cibo e, come tale, di salute del consumatore, che solo un’alimentazione sana è in grado di assicurare.
I dati, da poco messi a disposizione dall’Istat, dimostrano che il percorso, avviato 50 anni fa. è andato avanti e tutto a scapito di un tipo di sviluppo che, in mancanza del perno, l’agricoltura, ha visto la ruota, nell’impossibilità di girare, ferma, creando problemi di vario genere, a partire dalla più pesante crisi economica del 2007/8 fino alla pandemia; dai fallimenti delle guerre, che sono solo fonte di distruzione e di morti, all’ultima, quella dichiarata dalla Russia all’Ucraina (tuttora in atto), che, con l’invio delle armi, ha visto e vede il coinvolgimento anche dell’Europa e dell’Italia con la Nato.
Ritornando ai dati del censimento, a pagare il prezzo più alto è stata la Campania che, nei dieci anni, ha perso il 42% delle aziende,seguita dalla Liguria -36%, Sicilia – 35,4%; Basilicata -34,6%; Abruzzo -33,4; Lazio -32,5%; Calabria – 30,7; Molise – 30,6% e, subito dopo, il Veneto con un -30,5% di aziende. Le regioni che vanno oltre il dato medio dell’Italia (-30%), un dato che mostra una perdita netta di ben 487.861 aziende in 10 anni, da 1.620.884 a 1.333.0323.
Non meno preoccupanti i dati riguardanti la perdita della Sau, Superficie agricola utilizzata, con la Toscana che perde il 15,2% della Sau, pari a 114mila ettari in dieci anni che, sommati ai 128.000 persi nel decennio precedente , diventano ben 242 mila ettari, che non sono pochi per una regione vocata all’agricoltura, soprattutto quella di qualità. La stessa percentuale riguarda la Sau della Provincia di Bolzano, e, a seguire: -11.1% la Provincia di Trento: -11% la Basilicata; -9,8%, l’Umbria; -8,5% l’Abruzzo; -6,8% Molise e Piemonte. Per una Regione come il Molise, per il 53% montagna e per il 47% collina, registrare una perdita di 14mila ettari di Superficie agricola utilizzata, nel decennio 2010-2020, è un’enormità.
Pochi dati che, però, ci dicono che, con l’agricoltura e il mondo contadino, l’Italia perde tanta parte di territorio fertile atto a produrre cibo di qualità e, non solo, valori come la storia, la cultura, il paesaggio, l’ambiente, professionalità e manodopera, e, soprattutto, biodiversità. Aumenta, così, la necessità di importare cibo, soprattutto quello legato alla nostra tradizione culinaria, così espressiva della Dieta Mediterranea, e, non solo, anche della convivialità. Il censimento 2010-2020, come lo è stato per i precedenti, ci consegna un Paese ancora più bisognoso di energia, quella primaria e la sola vitale, qual è il cibo.
Un Paese, purtroppo, capace più di produrre più armi che servono ad alimentare guerre e offendere la nostra Carta costituzionale, e non, ad alimentare di nuove bellezze e di altre bontà i suoi territori, e, a dare spazio e forza alla Sovranità alimentare e, con essa, ad riaffermare il senso del luogo . Il Glocal al posto di una globalizzazione che ha mostrato di essere solo depredazione e distruzione di risorse e di valori, quali la Terra e la sua biodiversità; i sapori del cibo, dell’acqua, dell’aria; la bellezza del paesaggio agrario e, anche – visti i dati del censimento 2020-2010- i saperi di un mondo, quello contadino.
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