Editoriali
Il Natale delle città dell'Olio 24 anni fa a Larino

L’olivicoltura italiana ha oggi più che mai bisogno di entusiasmo e proposte per salvaguardare, tutelare e promuovere i territori olivetati
17 dicembre 2021 | Pasquale Di Lena
Il 17 di Dicembre del 1994 nasceva a Larino (Molise) l’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, grazie al binomio “Vino e Turismo”, l’idea che avevo portato in dote all’Ente Mostra Nazionale Vini di -Siena, sin dal momento del mio insediamento, Agosto 1982, nella veste di Segretario generale dell’Ente e della sua Enoteca. E’ così che “Vino e Turismo”diventa, grazie a due suoi presidenti, i senatori Mencaraglia e Margheriti, il capo del filo di una matassa, l’Enoteca, che, alla fine degli anni ’70, si era imbrogliata per una mancanza di idee e di iniziative. Il convegno “Vino e turismo” del 18 Marzo del 1986 segna la ripresa e dà il via a una serie di iniziative nel campo del turismo legate al vino, fra le quali, la prima, quella della realizzazione di un’idea di Elio Archimede, l’Associazioni d’identità, le Città del Vino (Siena, 21 Marzo 1987).
Il via, anche, a una serie di binomi vincenti (Vino e Sport; Vino e Arte; Vino e Moda; Vino e Cultura; Vino e Musica; Vino e Donna; Vino e Giovani; Vino e Satira), che, nel rispetto della vite (coltura), da millenni, mettono in luce il vino (cultura). C’è anche, con l’apertura del secondo bastione della Fortezza dedicato all’olio e con l’ospitalità del primo Panel test dell’olio riconosciuto in Italia, anche il binomio “Vino e Olio”, che porterà alla nascita d due iniziative: l’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio e, in collaborazione con questa nuova realtà, l’organizzazione della “Settimana dell’Olio”. Una manifestazione che si ripete, ogni Febbraio, dal 1997 fino al 2003.
L’altra settimana, invitato dalle Città dell’Olio a partecipare agli stati generali, nel mio intervento di ringraziamento per il riconoscimento di “Ambasciatore delle Città dell’Olio”, quale ideatore e fondatore dell’Associazione Nazionale di Ambasciatore delle Città dell’Olio - insieme con il Sen. Dario Stefano, promotore della Legge su “Oleoturismo”, e la prof.ssa Roberta Garibaldi, autrice del “Rapporto annuale sul Turismo enogastronomico in Italia” - ho ritenuto doveroso, non senza emozione, ricordare il grande ruolo svolto dall’Enoteca Italia, in poco più di un decennio, prima della scellerata decisione della sua chiusura. Tutto nel momento in cui, non solo il vino e l’olio, ma l’insieme dell’agroalimentare italiano, avevano bisogno di questa struttura strategica per la promozione e valorizzazione in Italia e nel mondo di una ricchezza unica, il cibo di qualità.
Soprattutto se posta al centro di una rete di enoteche regionali e sub regionali, punti di riferimento e d’incontro dei turisti del vino, dell’olio e dell’insieme dei testimoni più qualificati dei mille e mille territori de il “Paese della bellezza e della bontà”, l’Italia, dona. Anche per questo – è un mio pensiero - il Paese intero merita di essere riconosciuto “patrimonio culturale dell’umanità”.
Non potevo dimenticare il ruolo svolto dal mio Molise, grazie a un gruppo di amministratori lungimiranti , e, dalla mia Larino, il luogo che ha visto nascere l’associazione e trasformare in logo l’”olivina” disegnata dal grande Ro Marcenaro.
Ho ringraziato quanti nel corso di questi ventisette anni hanno fatto svolgere alle Città dell’Olio un compito importante, culturale e programmatico, al servizio dei territori olivicoli italiani. Ho rivolto al Presidente Michele Sonnessa, da una anno e mezzo alla testa dell’Anco, al Direttore Antonio Balenzano ed ai suoi collaboratori, un applauso dovuto per le tante importanti iniziative messe in campo, nonché i successi di adesioni e di attenzioni (73 nuovi soci e tutti nel tempo difficile del Covid, quello della chiusura).
Ho ringraziato tutti quelli che, con il Presidente, hanno voluto onorarmi del riconoscimento di Ambasciatore.
A conclusione della cerimonia di consegna delle onorificenze, ho avuto modo di seguire i lavori dell’Assemblea generale dei soci e, con mio sommo piacere, ho colto un clima di grande entusiasmo, di appartenenza, dei cento soci presenti, in rappresentanza dei 400 iscritti - provenienti da tutt’e diciotto, quali sono le Regioni olivetate, - che hanno arricchito di significato gli impegni futuri con le tante iniziative in programma. L’olivicoltura italiana ha oggi più che mai bisogno dell’entusiasmo e delle proposte che animano le Città dell’Olio, perché c’è bisogno e urgenza di salvaguardare, tutelare e promuovere i territori che la rappresentano e di renderli base di un vero piano olivicolo che, da troppo lungo tempo, manca. Un piano olivicolo all’altezza dell’interesse di milioni di nuovi consumatori e dei profondi cambiamenti in atto con l’olivicoltura presente in tutt’e cinque i continenti. Un piano che guarda al futuro, ma che impegna tutti, oggi, a un vero grande rilancio del comparto più importante dell’agricoltura e dei settori ad essa collegati. In pratica serve - nel momento in cui cresce la domanda di olio evo – recuperare gli oliveti abbandonati e programmare altri 800 mila ettari di oliveti, anche per non rischiare di veder scendere dal podio delle quantità l’olio italiano e di perdere il gradino più alto, quello della qualità. Un rilancio dell’olivicoltura per una disponibilità maggiore di olio, ma, anche di cibo nel suo insieme, la vera e sola energia rinnovabile, quella vitale. Un rilancio, in pratica, che serve, anche, a riportare l’agricoltura al centro di un nuovo tipo di sviluppo con la scelta della qualità bio, che vuol dire sostenibilità ambientale; conservazione, se non arricchimento della fertilità del suolo; utilizzo appropriato della risorsa acqua e non spreco; salute e benessere per il consumatore; cura del clima malato. E, in questo senso, il mio no a una olivicoltura superintensiva, che pensa all’oggi, e nega il domani.
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