Editoriali
Il clima malato toccasana del tanto atteso governo globale

Tornando a parlare di cibo, serve ragionare bene del sistema che, da alcuni decenni, prova a renderlo un fastidio da consumare il più veloce possibile e non più il protagonista di una tavola imbandita
05 novembre 2021 | Pasquale Di Lena
Sono sempre i poco attenti alla realtà che li circonda e, invece, particolarmente attenti a quella che li riguarda, a interrompere i sogni di un territorio. Il mio riferimento è a chi è stato scelto dai cittadini- proprietari di questo bene, non a caso “comune”, per governarlo e non per distruggerlo. Il sindaco e i suoi collaboratori (la maggioranza), se si tratta di un Comune, e, gli stessi consiglieri di minoranza (l’opposizione), quest’ultimi fondamentali per il rispetto pieno della democrazia. Oppure il presidente se si tratta di Regione, Paese o Unione di Paesi e i rispettivi Parlamenti. Certo non tutti i sindaci, presidenti, eletti, ma la quasi totalità. I sogni di un territorio – come poco sopra dicevo – belli quelli di un paesaggio naturale rimasto intatto o di un paesaggio agrario che racconta la passione di donne e uomini che, nel corso di centinaia e, a volte, migliaia di anni l’hanno realizzato e parla, con grande orgoglio, dei suoi testimoni quali sono i vini e gli oli, i formaggi, la frutta, gli ortaggi, o, dei campi di cereali che danno pane, pasta, prodotti da forno e, anche, il pescato quando diventa mare.
Il territorio, cioè il luogo, lo spazio vissuto da persone in carne e ossa; delimitato da orizzonti; segnato da albe e tramonti, ambienti; impregnato di storia e di cultura; partecipato e rallegrato dalle tradizioni; caratterizzato da cibo di qualità, che, posto al centro di una tavola, piccola o grande, lancia, con i suoi profumi e sapori, messaggi e diventa ragione di convivialità.
La possibilità, cioè, di stare insieme, parlare, dialogare, conoscersi, sognare, programmare, progettare. In pratica l’espressione della nostra identità e, nel contempo, la ragione - così com’è capitato nel corso dei millenni – di quella socializzazione che ha dato vita a una comunità, che, per fortuna – sto pensando al mio Molise e alle Regioni, ancora con un’impronta di ruralità, dove il rito della tavola, il convivio, rimane e chi lo pratica (la totalità) s’identifica, ancor più, con il luogo. Altrove - penso alle grandi città e alle aeree sempre più urbanizzate - perde ogni giorno di identità. Sempre più, nel momento in cui il denaro, il dio onnipotente di un sistema, il neoliberismo, che depreda, distrugge, divide, separa e, non a caso, con due primari obiettivi in mente: quello di cancellare la diversità, cioè il valore che ci dà la possibilità di contraddistinguerci, riconoscersi, e non ci trasforma in numeri, e, l’altro, di affermare un governo globale con la scusa, per esempio, che è il solo in grado di far rispettare le decisioni prese a Roma e di governare le cure di cui ha bisogno il clima per non fare i disastri che sta combinando in ogni parte del mondo.
In fondo è da tempo che le banche e le multinazionali, con i loro rappresentati nei vari governi, hanno fatto tutto quello che c’era da fare per farlo impazzire e, così, trasformarlo in strumento di ricatto per cogliere, con il consenso popolare, opportunità di ingenti profitti e, insieme, l’azzeramento della sovranità nazionale, ostacolo per i loro disegni e le loro azioni finalizzate tutte ad accumulare denaro. Non è un caso che tutti si dicono soddisfatti e parlano di successo del G20 di pochi giorni fa a Roma. La dimostrazione che il sistema ogni giorno ci conta e ci consuma, dando la colpa alla natura maltrattata con il suo patrimonio di biodiversità, la vita; ci ruba, con le multinazionali, il tempo e lo spazio, e, con le agricolture industrializzate e gli allevamenti intensivi, il suolo e la sua fertilità. Entrambi, agricolture e allevamenti, fonti di anidride carbonica che, dopo i fossili, da tempo hanno reso il clima un malato cronico e, oggi, in fase terminale.
Tornando a parlare di cibo, serve ragionare bene del sistema che, da alcuni decenni, prova a renderlo un fastidio da consumare il più veloce possibile e non più il protagonista di una tavola imbandita. Infatti, sempre più viene proposto un panino ben farcito a più piani, o, ci viene raccontato che avremo modo di trovare le proteine in un piatto di formiche, o, ancora peggio, che in un laboratorio sparso in uno dei continenti di questo mondo, è stata prodotta e già consumata (un brivido scende lungo la schiena con lo stomaco che dà segni di vomito) la prima bistecca artificiale! Sto pensando a quando (tempo non lontano) ci verrà proposto che - per chi ha denaro e se lo può permettere - basta solo esprimere il desiderio di avere fame per essere serviti o, addirittura, imboccati da qualche robot costruito per essere il cameriere di turno. Non so dire con quale divisa si presenterà e con quale tovagliolo pulirà la bocca dell’occasionale cliente. So, però, che non ci sarà più la tavola imbandita, con il pane, il vino e l’olio al centro, e, che intere categorie di olivicoltori, viticoltori, mugnai, pastai, già ridotti di numero, spariranno. La Dieta Mediterranea, oggi patrimonio culturale dell’umanità, sarà la rappresentazione di civiltà ormai obsolete al pari dell’agricoltura e della pastorizia, le attività che le hanno create e, per millenni, alimentate. Rileggevo, in questo tempo di incontri dei “grandi” e di soddisfazioni per i risultati ottenuti, tutti graditi dal sistema, “Il senso del luogo” di Franco Ferrarotti, un libro di 80 pagine + 6 che riportano 10 pastelli 4 olio, 2 tempera e 1 matita, dedicati al paesaggio, firmati da un altro Ferrarotti, Giovanni. Un libro uscito nel 2009 per Armando Editore, che consiglio di leggere a chi vuole approfondire il tema – per me centrale – de il territorio e capire meglio il sistema che governa già il mondo, il neoliberismo.
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