Editoriali
Ipertrofia regolatoria nella tracciabilità dell'olio extra vergine d'oliva
Linee guida per 17 pagine solo per l'indicazione della varietà sull'etichetta dell'olio extra vergine d'oliva. Un percorso a misura di piccola impresa ma per le grandi partite la questione si complica. Scopriamo il perchè
17 settembre 2021 | Alberto Grimelli
A luglio è stata diffusa la nota con le istruzioni operative per l'indicazione della varietà sull'etichetta dell'olio extra vergine di oliva, con relativo processo di tracciabilità sul registro Sian, obbligatorio dal 1 settembre.
Sono stati dati agli operatori meno di due mesi per adeguarsi alla disposizione che è molto semplice da seguire per le piccole e medie imprese olivicole, mentre il processo può diventare molto più macchinoso, e rischioso, per le grandi partite.
Il percorso delineato dalla Repressione Frodi, di fatto, era già usato dalle aziende che indicavano la varietà in etichetta e sfrutta il campo “note” del registro Sian per la tracciabilità dell'indicazione aggiuntiva della varietà.
Ricordiamo, però, che tale indicazione aggiuntiva non è codificata da nessun regolamento europeo verticale riguardante l'olio extra vergine d'oliva, primo fra tutti il 29/2012 e successive modificazioni, ma è disciplinata dalla normativa orizzontale in campo agroalimentare, ovvero l'articolo 36 del Reg. Ue 1169/2011 sulle indicazioni volontarie.
Stante che spetta all'operatore la dimostrazione dell'indicazione volontaria, spetta anche all'operatore la scelta di quale sistema aziendale impiegare al fine di offrire ai controllori la piena dimostrazione della conformità del prodotto alle indicazioni supplementari indicate. Nel caso specifico vi è certamente la tracciabilità cartacea, così come indicata dall'Icqrf, ma anche quella analitica, rappresentata dalla tecnica del DNA.
La scelta di basarsi su un unico sistema, ormai obbligatorio da 1 settembre, rappresenta una ipertrofia regolatoria che limita la libertà dell'operatore.
E' certamente possibile, e probabilmente anche comodo, per le piccole e medie imprese, basarsi su un sistema di tracciabilità cartacea, avendo il pieno controllo della filiera e avendo la certezza che il proprio fascicolo aziendale è aggiornato e contempli l'indicazione delle varietà di olive coltivate.
Più complesso, invece, qualora parliamo di grandi partite, con decine o centinaia di piccoli conferitori di olive. Ciascuno di essi dovrà portare non solo il DDT corretto, riportante la varietà, ma anche copia del fascicolo aziendale o autocertificazione attestante che la varietà indicata nel DDT è indicata nel fascicolo aziendale. Ammassi indescrivibili di carta di fatto impossibili da controllare da parte del frantoiano che avrà, però, le carte in regola per indicare la varietà nel campo “note” del registro Sian, quindi potendo vendere quella partita come monovarietale.
Ma se a un controllo analitico, effettuato da organo di controllo ufficiale o meno, quell'olio non risultasse davvero monovarietale? E' sufficiente una semplice analisi del DNA.
Nell'ambito della contrattualistica privata, la partita potrebbe essere respinta o declassata, con un danno economico.
Nell'ambito del controllo ufficiale verrebbe comunque elevata una contestazione, amministrativa e probabilmente anche penale, senza che si possa giungere realmente all'accertamento della verità e del trasgressore, a meno di un'inchiesta che vada ad analizzare, oliveto per oliveto, le varietà di olivo che hanno composto la partita.
E' meritorio che la Repressione Frodi abbia catalogato, fin nei minimi dettagli, il processo di tracciabilità cartaceo, ovvero ormai digitale, nel registro Sian. Un piccolo olivicoltore o frantoiano sa come comportarsi per non incorrere in rischi o sanzioni.
Renderlo, di fatto, l'unico processo di “autenticazione” della varietà rappresenta però un rischio, per la filiera e per i consumatori, stante che il processo può essere svolto anche al contrario. Ovvero producendo l'olio, poi analizzandolo e, sulla base di un referto analitico, catalogandolo come monovarietale sul registro Sian.
Un simile sistema offrirebbe sicuramente molte più garanzie anche al consumatore, anche solo perchè l'azienda che opera la “certificazione” sarebbe interamente responsabile del prodotto, senza più alcuna ambiguità.
Le certificazione ex post, ovvero dopo che l'olio è stato prodotto, esiste già nell'ambito delle dichiarazioni volontarie sull'etichetta dell'olio. Mi riferisco a quelle organolettiche, dove prima si crea la partita, quindi la si manda al panel, quindi con il referto, si possono indicare le caratteristiche organolettiche previste dal regolamento, e in ottemperanza con quanto dichiarato dal panel, sull'etichetta.
In una filiera complessa, come quella dell'olio d'oliva, dove esistono realtà imprenditoriali che vanno dalla microazienda familiare fino alla multinazionale, proporre e disporre un unico modello rappresenta un vulnus notevole, non solo in termini di aggravio burocratico ma anche potenziali conflittualità nei rapporti commerciali interni alla filiera per non parlare delle minori garanzie nei confronti del consumatore... ovviamente se le autorità vogliano andare oltre i formalismi, per andare alla sostanza, ovvero alla concreta e tangibile rispondenza del prodotto rispetto alle caratteristiche vantate in etichetta.
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Elia Pellegrino
20 settembre 2021 ore 16:18Grazie Grimelli per il solito contributo a favore dei frantoiani italiani. Come operatore del settore e presidente di AIFO sono nuovamente a lamentare su questo portale le scelte non condivise di mandare "allo sbaraglio" i colleghi frantoiani. Chiedo a Te ed alle istituzioni preposte, quanti siano davvero i fascicoli aziendali aggiornati con il varietale! La dichiarazione di parte sui DDT, una eventuale dichiarazione sostitutiva a riguardo, non scagiona il frantoiano dalle problematiche che sicuramente emergeranno in fase di controllo. Dopo che già per le DOP abbiamo registrato decine di richieste di declassamento prodotto anche dopo 3 anni dalla trasformazione per problematiche legate ai produttori, oggi ci "imbarchiamo" in una ulteriore certificazione che, come hai ben detto, potrebbe avere conseguenze civili e penali in caso di indicazione mendace o non tracciata. Oggi qualche collega mi dice che le industrie di confezionamento stiano dando per "obbligatorio" il sistema; fai bene a sottolineare la volontarietà della trascrizione sulla colonna note. Mi chiedo, esporsi ad un rischio di declassamento post vendita senza avere una marginalità sul mercato dello sfuso (vedi DOP ed IGP utili solo a prendere premi ex art 68 per i produttori) quale senso ha per i frantoiani? Siete sicuri, mi riferisco ai colleghi, che a cascata riuscirete a rivalervi sui produttori in caso di problemi? Le analisi di DNA sarebbero un toccasana...chi le paga? In che tempo si riceverebbero le risposte? Cosa dire, dopo i modelli F, la tracciabilità, il SIAN, i portali BIO/DOP/IGP chiediamo ai frantoiani ancora di sostituirsi ai CAA agricoli, senza percepire un ristoro, un rimborso o parte dei premi PAC. Concludo ricordando a me stesso che per problemi di privacy il frantoiano non può chiedere copia del fascicolo aziendale!
occhi aperti colleghi frantoiani, buona campagna olearia
Elia Pellegrino presidente AIFO