Editoriali

La cultura di prodotto inizia proprio dal prodotto

Aneddoti a parte, la cultura di prodotto parte dal prodotto. C'è qualcosa che dovrebbe sollecitare il consumatore più di qualsiasi altra, qualcosa che sedicenti esperti forse non considerano abbastanza

22 gennaio 2021 | Elisabetta De Blasi

Tutti i produttori sono concordi, indipendentemente da ciò che vendono: bisogna che si faccia cultura! Diamine, manca proprio la cultura!
Parliamo di cibo naturalmente, ciò che di più vicino c'è all'agricoltura.

Se il prodotto non viene compreso non potrà essere differenziato, non si comprenderà il lavoro, la fatica che c'è dietro la correttezza di un prodotto ben fatto, salubre e di qualità o meglio ancora di eccellenza, e quindi, di conseguenza, un prodotto incompreso non sarà giustamente pagato. La percezione del valore infatti passa dal saper comprendere la qualità. Dunque torniamo all'inizio: manca la cultura!

Da qui sorge la seconda domanda: chi deve incaricarsi di svolgere questo compito? La risposta a questa domanda è via via differente, lo Stato (entità indistinta) le associazioni di settore, il mercato, chi vende, chi fa didattica di prodotto, chi fa comunicazione. Ciascuno di questi attori può indubbiamente fare la propria parte ad un livello differente, agire capillarmente o massivamente, svolgere il proprio compito in maniera diffusa e superficiale o specifica ed approfondita, coinvolgendo un numero imprecisato di soggetti riceventi.

Eppure c'è qualcosa che dovrebbe sollecitare il consumatore più di qualsiasi altra, qualcosa che sedicenti esperti forse non considerano abbastanza.

Se il consumatore è stato abituato a mangiare un tal prosciutto, proveniente da una tal filiera che utilizza animali stabulati in stalle, nutriti con insilati, e magari gli è stato raccontato che quello è IL prosciutto, che quello deve concedersi quando vuole qualcosa di buono per se' e la sua famiglia, continuerà a cercare la fetta poco stagionata, morbida, anzi molle (perché sicuramente un altro maiale che abbia sgambettato avrà invece tutt'altra masticabilità) e difficilmente comprenderà o cercherà un altro tipo di fetta. Un olio maturo è il riferimento mentale e mnemonico di chi è stato abituato a oli con cultivar importanti che si preferiva 'ammorbidire' lasciando aperti i fusti perché perdessero piccantezza.

Certo l'evoluzione della lavorazione, delle materie prime e di certa consapevolezza ci ha permesso di evolvere e proporre al mercato cibi di cui non sospettavamo le qualità, di elaborare tecniche e tecnologie che possono ridurre l'apporto correttivo della chimica, stabilizzare o preservare o migliorare in maniera meno o non invasiva. Oggi sappiamo molto più di ieri, eppure certi prodotti continuano ad essere l'imprinting delle nuove generazioni, a costituire quella traccia emotiva con la quale dovranno confrontarsi nel loro percorso di consumatori.

La prima cultura la fa il prodotto. Un prodotto ben lavorato, colto (raccolto e con un contenuto culturale), che non vuole spacciarsi per ciò che non è, che al di là di ciò che permette la legge e dello storytelling, ha una propria personalità, esprime passione, dedizione, valori. E' un boccone onesto. Quando lo racconto ai ragazzi con i quali ogni tanto faccio dei progetti dico 'è come quando vi innamorate...in altri casi vi siete chiesti se fosse amore, ma una volta che arriva, lo riconoscete subito, anche se non lo avete mai visto'. Aneddoti a parte, la cultura di prodotto parte dal prodotto e chi si lamenta del consumatore e della sua ignoranza, ogni tanto dovrebbe fare un po' di autocritica se ciò che produce contribuisce a questo cambiamento, a questa consapevolezza oppure no.

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