Editoriali 18/12/2020

Per un 2021 di rinascita, regaliamoci una nuova Umanità

Per un 2021 di rinascita, regaliamoci una nuova Umanità

La consapevolezza che le nostre azioni possano avere un impatto non solo limitatamente alla nostra sfera personale, ma anche a un livello più ampio e addirittura globale, si è fatta strada proprio grazie, se pur nostro malgrado, all’apprendimento delle dinamiche di sviluppo e diffusione della pandemia. Da qui si deve ripartire per una strada nuova


“C’è un legame diretto tra empatia e successo commerciale”, afferma sull’Harvard Business Review, tra le più autorevoli riviste di management al mondo, la fondatrice e CEO di ‘The Empathy Business’ Belinda Parmar, la quale sostiene che “le aziende sono più redditizie e produttive quando agiscono in modo etico, trattano bene il loro personale e comunicano meglio con i loro clienti”. Ogni anno, infatti, il valore delle compagnie che si trovano in cima all'Empathy Business Global Index, l’indice globale dell’empatia nel settore imprenditoriale, aumenta di oltre il doppio rispetto a quanto avviene per quelle che si posizionano in fondo alla classifica.

La società leader in analisi e ricerche di mercato IPSOS offre questi dati, nella sua relazione sulla ‘Pianificazione delle prossime tappe da compiere’ in vista del dopo-Covid, per definire l’empatia, cioè la capacità di porsi nello stato d’animo dell’altro, comprenderlo e persino aiutarlo a risolvere i suoi problemi, come un elemento chiave per il successo professionale. Così è, difatti, per l’80 per cento dei 150 amministratori delegati intervistati nell’ambito di una recente indagine sul tema citata da Jamil Zaki in ‘The War for Kindness. Building Empathy in a Fractured World’, ovvero ‘La guerra per la gentilezza. Costruire empatia in un mondo frammentato’.

Il professore di Psicologia dell’Università di Stanford sostiene che, sebbene l'isolamento e il tribalismo sembrino dilagare nel mondo, siamo ancora in tempo per cambiare le cose. “Facciamo fatica a capire le persone che non sono come noi ma troviamo facile odiarle. Studi dimostrano che siamo meno altruisti di quanto lo fossimo trent'anni fa. Nel 2006 Barack Obama aveva affermato che gli Stati Uniti soffrono di un ‘deficit di empatia’ e da allora, le cose sembrano solo peggiorare. Ma non deve essere così”. A partire da questa premessa, attraverso la condivisone di ricerche all'avanguardia e storie di vita vissuta, Zaki dimostra che l'empatia non è un tratto immutabile, qualcosa con cui siamo nati oppure che non ci appartiene affatto, ma piuttosto un'abilità che può essere rafforzata con l’esercizio. E Il nostro futuro dipenderà proprio dall’accettazione di questa sfida alla pratica della gentilezza.

In effetti, come ha detto il CEO di Apple Tim Cook ai laureati del Massachusetts Institute of Technology di Boston qualche tempo fa, “le persone cercheranno di convincervi che dovreste tenere l'empatia fuori dalla vostra carriera, ma voi non dovrete accettare questa falsa premessa”. Nel suo discorso agli studenti che si affacciano al mondo del lavoro, l’amministratore delegato della più grande azienda tecnologica al mondo e tra le prime per fatturato osserva come "la tecnologia per la maggior parte delle volte è una forza positiva, eppure, le potenziali conseguenze negative si stanno espandendo velocemente, agendo sempre più in profondità. Le minacce alla sicurezza, alla privacy, le notizie false e i social media diventano antisociali; a volte la stessa tecnologia, che ha lo scopo di collegarci, ci divide. Non mi preoccupa – prosegue Cook – che l'intelligenza artificiale dia ai computer la capacità di pensare come gli esseri umani. Sono più preoccupato per le persone che pensano come computer senza valori o compassione, senza preoccupazione per le conseguenze”. Conclude quindi formulando ai giovani questo invito: “Qualunque cosa facciamo nella nostra vita dobbiamo infonderla con l'umanità che ci è stata data alla nascita. Questa responsabilità è immensa, ma lo è anche l'opportunità.”

Se è facile per un filantropo che amministra una grande azienda consolidata fare affermazioni di questo tipo, in realtà possiamo constatare che il tipo di approccio proposto non è affatto estraneo alla pratica quotidiana delle piccole e medie realtà imprenditoriali di qualità. In particolare, se analizziamo cosa è successo di recente, notiamo come fin dai giorni iniziali del primo lockdown imposto per limitare la diffusione del Covid-19 la tendenza per una buona parte dei produttori olivicoli di qualità è stata quella di andare incontro ai consumatori tenendo bassi i prezzi, tagliando le spese di trasporto a carico dei clienti e agevolando chi avesse esigenze particolari nei pagamenti. Si è visto impegno in azioni benefiche e donazioni, anche di prodotti, in favore di organizzazioni e privati. C’è stato affiatamento tra i produttori e si sono visti diversi gesti di gentilezza non scontata; cose che spesso, grazie ai social, sono state sotto gli occhi di tutti. Per quanto riguarda i risultati, quella che si profilava come un’annata terribile di perdite e rinunce, si è conclusa invece abbastanza bene per diversi operatori, in alcuni casi oltre le aspettative. A volte è stato necessario un completo ripensamento delle scelte aziendali, soprattutto per chi, rifornendo il settore della ristorazione che ha maggiormente risentito dell’effetto delle chiusure, ha subito le perdite maggiori, ma la tendenza generale è stata comunque quella di non farsi travolgere dal cambiamento, bensì di cavalcarlo fino a trovare un equilibrio. “Nonostante le difficoltà iniziali, il settore della qualità è riuscito a tenere il passo”, afferma il portavoce di un noto marchio italiano dell’extravergine a denominazione d’origine.

Emerge la sensazione che proprio quel venirsi incontro, la maggiore comprensione, la gentilezza e l’attenzione – attuate senza i calcoli o le strategie delle multinazionali, ma che già da tempo fanno naturalmente parte del bagaglio professionale dei medi e piccoli operatori della qualità e che in questo complicato frangente si sono fatte sentire di più – abbiano contribuito in qualche modo ad alleggerire i momenti più pesanti di questo periodo destabilizzante e, inoltre, a innescare un circolo virtuoso in cui quello che è stato dato, in qualche modo, è sempre ritornato; poiché tutti, inevitabilmente, siamo connessi l’uno all’altro.

In un quadro più ampio, la consapevolezza che le nostre azioni possano avere un impatto non solo limitatamente alla nostra sfera personale, ma anche a un livello più ampio e addirittura globale, si è fatta strada proprio grazie, se pur nostro malgrado, all’apprendimento delle dinamiche di sviluppo e diffusione della pandemia. Non è mai stato così chiaro prima d’ora che la salute dell’uomo e dell’ambiente sono interconnesse, e “che ogni nostro gesto ha un impatto sul sistema chiuso che è la Terra dove tutto è collegato”. In ‘Salute circolare. Una rivoluzione necessaria’, la virologa Ilaria Capua, oggi direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, parte da questo concetto per descrivere la natura appunto circolare della pandemia di Covid-19 e spiegare che “se continuiamo a distruggere la biodiversità e gli ecosistemi in nome degli interessi umani, alla fine ne pagheremo le conseguenze, anzi lo stiamo già facendo e la pandemia ne è una dimostrazione”. Questa idea di ampia connessione sta finalmente iniziando a farsi spazio nella nostra nuova coscienza di abitanti del Mondo, consapevoli che “è necessario attivarsi per avere una visione lungimirante e trasversale e smettere di barattare la salute del futuro in cambio di un vantaggio immediato ma che a lungo termine ci annienterà”.

Si tratta di un collegamento inestricabile con il tutto e che ciascuno di noi può dire di aver sentito nella sua vasta portata soprattutto nei momenti più difficili di questo periodo, quelli in cui tutti abbiamo provato, almeno per un attimo, le stesse emozioni di paura e sensazioni di smarrimento percepite, così simili alle nostre, negli sguardi e nella voce degli altri, dei nostri cari lontani, dei malati, dei medici, degli infermieri, degli inviati dai luoghi del contagio, di tutte le persone coinvolte in questa incredibile vicenda collettiva. E proprio in quei momenti abbiamo anche sentito, profondamente, la necessità di essere accolti, compresi, trattati con più cura di quanto avremmo mai pensato in condizioni normali. La necessariamente imposta lontananza dalle persone amate, l’impossibilità di abbracciarci, di dare e avere calore fisico, e forse ancor di più la grande sofferenza vissuta da tante persone nel nostro Paese e nel mondo ci hanno trafitti, anche chi non ha vissuto direttamente il dramma della malattia, con una forza tale da catapultarci in un una dimensione interiore mai vissuta prima. Abbiamo partecipato a un avvenimento che non avremmo mai immaginato e che abbiamo definito surreale, irreale, dalle fattezze di un sogno, anzi di un incubo… Eppure, ora, alla fine di questo anno infinito che non ha precedenti nella storia recente, possiamo dire che sì, forse, quello che ci ha scaldato e confortato di più in mancanza di abbracci, di carezze e di baci reali, sono stati i gesti e le parole di umanità.

Dagli operatori sanitari ai volontari, dai cassieri dei supermercati ai rider, ai corrieri, ai comuni cittadini; tra chi è rimasto senza lavoro, ha sofferto il dramma della solitudine, ha sperimentato la povertà; malgrado turni estenuanti, pericoli dovuti a precarietà e mancanza di protezioni, inadeguatezza delle strutture e inefficienza dei sistemi; in mezzo a tutto quello che si è avvicendato, nel racconto della cronaca così come nel nostro cuore, siamo stati testimoni che, tra tanti gesti compiuti per dovere professionale e civico, ne sono stati fatti altrettanti, con calore e generosità, per puro senso di altruismo e rispetto della persona umana, senza la pretesa di avere nulla in cambio. Tantissima energia umana è stata profusa in una vera e propria gara di aiuti senza precedenti che è partita dai gesti di cura e attenzione negli ospedali ed è arrivata alle mille staffette di solidarietà moltiplicatesi nei mesi, tra raccolte fondi, panieri sospesi del ‘chi ha metta, chi non ha prenda’, atti spontanei di donazione e condivisione di cibo, di effetti di prima necessità, di tempo, ma soprattutto di sorrisi – fatti con gli occhi, sopra le mascherine e dietro occhiali appannati (abbiamo tutti imparato a sorridere così), di carezze – date con i guanti di protezione ma ancora di più con l’anima, e di amore. E siamo arrivati qui con la speranza che alla fine di tutto, quando questa immensa ondata oscura che ha tolto il respiro e gli abbracci si sarà esaurita, non rimarrà più nulla dell’odio che pure abbiamo sentito e visto per strada, sui social, in televisione, né delle offese, né delle accuse agli operatori sanitari, né dell’individualismo patologico che ha preteso di imporre la propria idea di libertà agli altri, né degli orrori augurati a chi si impegna per cause che ritiene importanti, né del disprezzo per chi addirittura è più disperato di noi, né della rabbia.

Volutamente a questi aspetti, che comunque hanno avuto una loro parte in questa epocale vicenda umana, dedichiamo poche parole solo per ricordarci che alla fine, nonostante tutto, siamo riusciti o riusciremo un giorno a dare un senso a questo avvenimento e ad attraversarlo conservando qualcosa di bello nel profondo del nostro cuore, solamente se lo avremo vissuto con empatia, gentilezza, compassione, comprensione, attenzione per l’altro; ovvero quando siamo rimasti Umani.

“La bontà, amore cieco e muto, è il senso dell'uomo”, scrive lo scrittore e corrispondente dal fronte Vasilij Grossman in ‘Vita e destino’ dopo aver assistito agli orrori della guerra e del nazismo nel secolo scorso. Quello che abbiamo vissuto è stato spesso proprio paragonato, pur non essendolo, ad un conflitto in cui le forze e le risorse di ciascuno sono state investite e messe insieme per sconfiggere un nemico comune. “L’arma che ci farà vincere la guerra”, ha affermato il Governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo presentando il vaccino. La luce quasi miracolosa accesa dalla scienza con lo sviluppo in tempo brevissimo di un prodotto sicuro ed efficace, proprio sul finire di un anno così difficile e buio, rende ancora più chiara la sensazione che qualcosa sta per finire ma che qualcosa di buono potrebbe iniziare se saremo capaci di non disperdere ciò che questa esperienza incredibile ha lasciato nel profondo di ciascuno di noi. “La storia degli uomini – prosegue Grossman – non è dunque la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell'uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell'umanità. Ma se anche in momenti come questi l'uomo serba qualcosa di umano, il male è destinato a soccombere”.

di Ylenia Granitto

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