Editoriali

Sono agricoltore, non servo delle banche, delle multinazionali, della Grande Distribuzione

Continuare a ragionare di ripresa senza porre al centro un nuovo tipo di sviluppo che ha nell’agricoltura il perno intorno al quale può girare, vuol dire dare continuità a un sistema ormai logoro

02 ottobre 2020 | Pasquale Di Lena

Arriva sul mio computer il settimanale della più antica testata della sinistra italiana, L’Avvenire dei lavoratori, fondata nel 1894 (nilleottocentonovantaquattro), che ha la sua redazione presso la Società Cooperativa Italiana con sede a Zurigo jn Svizzera.

Un settimanale che leggo volentieri, in particolare l’editoriale del suo direttore, Andrea Ermano, misurato, attento, puntuale, di sinistra. La sinistra che non c’è più, non si trova, sparita com’è nelle mani del neoliberismo che l’ha ridotta in mille pezzetti, ma che la fa apparire, come un manifesto pubblicitario, con la sigla Pd, che di sinistra ha un passato, regolarmente tradito dai suoi protagonisti.

Un gioco per il neoliberismo imperante che ha tutto l’interesse in questa fase di far credere che la democrazia e viva e vegeta e lo fa con il gioco della destra e della sinistra, cioè di due parti contrapposte, me che, in pratica, sono le mani, le braccia di un solo corpo e di una sola mente, la finanza (banche e multinazionali).

L’ultimo referendum e la vittoria del Sì ne è una chiara dimostrazione.

Tornando a L’Avvenire dei lavoratori, il settimanale all’inizio citato, c’è un articolo, firmato da Ilaria Romeo, che riporta la lettera che Antonio Gramsci, nel settembre del 1923, da Vienna, ha inviato al Comitato esecutivo del Pcd’I riguardante la necessità di pubblicare “un quotidiano operaio…un giornale di sinistra, della sinistra operaia…una tribuna legale che permetta di giungere alle più larghe masse con continuità e sistematicamente. Io propongo come titolo L’Unità puro e semplice per dare importanza specialmente alla questione meridionale, cioè alla questione in cui il problema dei rapporti tra operai e mondo contadino si pone non soltanto come un problema di rapporto di classe, ma anche a specialmente come un problema territoriale, cioè come uno degli aspetti della questione nazionale”.

I contadini sono da intendere i braccianti, lavoratori della terra, e, anche, il mondo rurale rappresentato dalla “classe contadina” legata, come scriveva Gramsci, agli “strati di sinistra dei popolari e dei democratici”.

Questione agraria e questione meridionale, ben presente nel fondatore del Pdc’I e del glorioso giornale, L’Unità, che personalmente, insieme con altre migliaia di compagne e compagni in Italia, ho avuto il piacere e l’onore di diffondere nei quartieri d’oltrArno a Firenze, tutte le domeniche e nelle giornate segnate da avvenimenti speciali.

Questione agraria e questione meridionale, mai risolte, che, a distanza di un secolo e con tutte le novità riguardanti la condizione terra, tornano di grande attualità e diventano questioni centrali per chi sente la necessità urgente del cambiamento che porta a sognare, pensare, progettare quel nuovo domani di cui ha bisogno il Paese e, con esso, le nuove generazioni.

La questione agraria e la questione meridionale hanno nel territorio il loro comune denominatore, il bene comune che ogni giorno viene depredato e distrutto da scelte che pensano solo al guadagno immediato. Un furto continuo, legalizzato, che rischia di rendere definitiva la svendita, non più solo delle risorse e dei valori che il territorio esprime, ma del contenitore stesso di queste risorse e di questi valori.

Continuare a ragionare di ripresa senza porre al centro un nuovo tipo di sviluppo che ha nell’agricoltura il perno intorno al quale può (finalmente!) girare, vuol dire dare continuità a un sistema, il neoliberismo delle banche e del multinazionali, che ha mostrato di avere un solo obiettivo, quello di depredare e distruggere, in ogni parte del mondo, le risorse e i valori del territorio e tutto per il denaro.

Un’agricoltura all’insegna della sostenibilità, biologica e organica, che offre un reddito ai suoi protagonisti, siano essi coltivatori o lavoratori; utilizza e non spreca l’acqua; pensa a donare bellezza al paesaggio agricolo; ridà la fertilità persa; ha il rispetto del tempo e delle stagioni; è parte e convive con la natura e, così, alimenta invece di distruggere la biodiversità; si mette al servizio del clima, captando e non cedendo anidride carbonica; assicura cibo di qualità, cioè benessere e salute; non inquina le falde freatiche e, con esse, i corsi d’acqua, il mare.

Un’agricoltura che riporta il coltivatore ad essere protagonista e non servo delle banche, delle multinazionali, della Grande Distribuzione.

Un’agricoltura biologica che pone fine all’agricoltura convenzionale, industrializzata, che la Fao, due anni e mezzo fa, ha dichiarato fallita dopo aver provocato solo disastri.

Ecco che il cibo - atto di un’agricoltura contadina e qualità legata al territorio - diventa la ragione del superamento del rapporto di classe nel momento in cui prende il via un processo che apre al dialogo tra produttori e consumatori e porta all’unità dei due mondi, da sempre separati.

Porta, anche e soprattutto, al superamento di quel “problema territoriale”, sottolineato da Gramsci, che vuol dire Rinascita di quella parte del Paese, Meridione e aree interne, che il territorio ancora ce l’ha, ma che è sempre più a rischio di invasioni barbariche come le coltivazioni super intensive, i pannelli solari a terra, i mega pali eolici con le sue mostruose pale, gli insediamenti che non trovano più spazio al Nord, che non vuole prendere atto di uno sviluppo che l’ha visto protagonista e che ora è fallito..

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