Editoriali

Ora Giuseppe Conte deve pensare a ripopolare le campagne italiane: i territori al centro della ripresa

Ora Giuseppe Conte deve pensare a ripopolare le campagne italiane: i territori al centro della ripresa

Il territorio, l’origine della qualità del nostro cibo, ha trovato il suo nemico nella classe politica e dirigenziale che, ai vari livelli e a partire dagli anni ’90, ha governato questa nostra Italia

24 luglio 2020 | Pasquale Di Lena

Se il presidente Conte ha mostrato di essere l’uomo giusto per affrontare il Coronavirus e convincere gli italiani a comportarsi bene per non rendere la situazione ancora più tragica, il suo governo non ha mostrato di avere le idee chiare circa la risposta da dare alle cause che hanno determinato la crisi.

I suoi principali interlocutori continuano a camminare con la testa rivolta all’indietro e il sistema nelle mani della finanza, il neoliberismo predatorio e distruttivo, ha mostrato, con la cancellazione delle previsioni fatte, il suo fallimento intellettuale oltre che materiale.

Un fallimento che il coronavirus ha messo in luce unitamente alle cause che l’hanno prodotto. A partire dalla sicurezza e salute dei cittadini; la salvaguardia e tutela del territorio, in particolare l’ambiente; la pesante situazione climatica; il rapporto uomo – natura, con quest’ultima stanca e offesa da uno sfrenato consumismo che ha condizionato lo sviluppo dei Paesi cosiddetti sviluppati del mondo, compreso il nostro, con la politica sempre più nelle mani della finanza.

Un fatto che ha portato, in pratica, a rendere il privato padrone del pubblico e, di conseguenza, il denaro unico e solo obiettivo da cogliere e ad ogni costo.

La cultura della distruzione, non solo delle risorse ma anche dei valori, che ha preso il via settant’anni fa, ha prodotto sempre più disastri azzerando ogni eredità per le nuove generazioni, e, non solo, indebitandole in un modo tale da rendere difficile e pesante il loro domani.

Le questioni storiche come Nord-sud; città-campagna; sfruttamento del lavoratore dipendente; penalizzazione del ceto medio; disuguaglianza, si sono complicate ulteriormente, invece di trovare le adeguate soluzioni, ed oggi sono priorità.

Com’è facile capire, la crescita delle città coincide con lo spopolamento delle aree interne e la continua fuga dal sud verso il Nord dell’Italia e del mondo. La conseguenza è quella di un vasto territorio abbandonato da una parte e di un abuso di territorio dall’altra, nella quasi totalità suolo fertile per oltre 10 milioni di ettari in questi anni del terzo millennio. Gli anni fino alla grande crisi in cui sparivano, ogni secondo di tempo, otto e più metri quadri di terreno, per attestarsi sui due metri quadri negli anni successivi, fino allo scorso anno, come riporta il rapporto dell’Ispra presentato il 17 u.s..

Superfici enormi di terreno fertile, che hanno significato chiusure di migliaia e migliaia di piccole aziende e conseguente espulsione dalle campagne di un gran numero di coltivatori, soprattutto dalle aree interne del Paese; crescita delle importazioni di prodotti agroalimentari (nella quasi totalità cibo spazzatura) proprio nel momento in cui si diffondeva la fama del cibo italiano, grazie al riconoscimento della Dieta Mediterranea e ai primati conquistati con le indicazioni geografiche, dop e Igp, le nostre eccellenze, oggetto di regole e di controlli, espressioni di qualità e di diversità.

Il territorio, l’origine della qualità del nostro cibo, che - insieme alla storia, all’arte ed alla cultura ed ai paesaggi - il mondo ci invidia ha trovato il suo nemico nella classe politica e dirigenziale che, ai vari livelli e a partire dagli anni ’90, ha governato questa nostra Italia.

Una classe politica e dirigenziale che, non sapendo cos’è il territorio, si è data da fare per trasformarlo in cemento ed asfalto; enormi pali eolici; pannelli solari a terra; dissesto idrogeologico; abbandono di migliaia di piccoli comuni; avvio di un nuovo esodo dal Sud Italia e dalle isole; ripresa di un emigrazione verso il mondo di migliaia di giovani che il Paese, noi, abbiamo formato per poi regalare il loro sapere e le loro capacità ad altri. Basterebbe quest’assurdità, se non stupidità, per far dire che l’Italia è, da tempo, vittima di un sistema nelle mani di chi pensa solo al profitto per il profitto, promuove il culto del dio denaro e si avvale di servitori distratti.

Riguardo al malgoverno c’è da dire, anche, della nascita e crescita di un processo di accorpamento con nuove aziende superiori ai 50 e 100 ettari, che fanno pensare a un nuovo latifondo. Ettari utilizzati per fare un’agricoltura industrializzata, tutta finalizzata a produrre quantità, cioè cibo spazzatura. Il cibo che attacca la salute, soprattutto dei nostri bambini, ragazzi e gli stessi giovani, visti il numero crescente di obesi in queste fasce di età. Il cibo che, qualche giorno fa, il capo del governo inglese ha deciso di mettere al bando nel rispetto della salute delle future generazioni di inglesi.

La fuga dalle campagne riguarda il mondo contadino e sta a significare la sostituzione dell’uomo coltivatore, con la macchina; la crescita delle coltivazioni intensive, con la scelta – come sopra si diceva - della quantità al posto della qualità.

Una scelta che ha portato a perdita di fertilità dei suoli, inquinamento delle falde freatiche, dell’acqua potabile e dell’aria; distruzione di biodiversità animale e vegetale; aggravamento della situazione del clima per le quantità di CO2 rilasciate, Non solo, anche, a un taglio netto con il passato, cioè con la nostra storia, cultura e le diffuse e fondamentali tradizioni, soprattutto nel campo dell’enogastronomia con gli 700 vini docg, doc e tipici; le 304 eccellenze dop, igp e stg e quella straordinaria riserva di bontà rappresentata da ben cinquemila prodotti tipici tradizionali, cioè selezionati dal tempo (almeno 25 anni) e dall’intelligenza e capacità di uomini e donne che, nel corso di 10 mila, hanno rappresentato un mondo, quello delle campagne.

Un primato che nessuno paese al mondo ha la possibilità di raggiungere, eguagliare e superare. Un primato, espressione di quel mondo contadino che il sistema sta facendo di tutto per azzerarlo e, con esso, azzerare l’agricoltura, che, è bene sottolinearlo, è tale solo se è l’uomo a farla e a viverla, non la macchina.

Queste poche e succinte riflessioni mentre arriva la notizia che l’Italia è stata accontentata dall’Europa con la messa a disposizione di centinaia di miliardi, cioè debiti che possono essere restituiti solo se spesi per progettare e programmare seriamente il futuro. Ciò è possibile se si parte da quello che uno ha e la sola cosa che l’Italia ha è appunto, il Territorio con tutte le sue preziose risorse e i suoi incomparabili valori.

Il Territorio, quindi, come fine e non come mezzo per nuove strutture e infrastrutture. Perché sia così serve prioritariamente un segnale: il blocco dell’uso e dell’abuso di questo unico e solo tesoro che il Paese ha.

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