Editoriali

Il vero valore dell'iscrizione all'albo degli assaggiatori professionali di olio d'oliva vergine

Molta strada è stata compiuta grazie ai corsi di assaggio in tema di cultura olearia ma ora c'è da distinguere tra i professionisti e i cultori. Occorre ancora tanta conoscenza per evitare i gravi danni culturali causati dalla Pubblicità

17 luglio 2020 | Matteo Storelli

Alcuni anni fa quando ho cominciato come capo panel le prime docenze ai corsi di formazione sugli oli di oliva ero solito aprire l’intervento con la domanda.

“Quanti tipi di oli di oliva conoscete?”

Le risposte erano sconfortanti e la confusione totale.
Era la maniera per far emergere in maniera cruda da dove bisognasse cominciare e la lunghezza del cammino che ci aspettava:
Cominciare dall’alfabeto per arrivare a trasmettere il gusto e la curiosità della conoscenza per creare una nuova generazione di persone in grado di apprezzare più che il prodotto il lavoro d’arte che c’è per la creazione di un olio di eccellenza.

E’ passato del tempo. Qualcosa è cambiato anche grazie al ruolo importante che hanno avuto le varie Associazioni nate per valorizzare e promuovere gli oli di oliva che hanno formato diverse generazioni di persone sulla valorizzazione della qualità dell’olio extravergine raggiungendo un numero elevato di utenti.

Nessun corso da questo punto di vista è stato sprecato, anzi considerando che alcuni aspetti come l’esame organolettico solo in tempi recenti ha trovato un adeguato spazio a livello accademico c’è da rinnovare il plauso a chi ha contribuito a estendere questo tipo di cultura e istruzione specializzata ad una vasta platea di persone .

La quota di questo tipo di formazione che potremmo definire “fine a sé stessa e non indirizzata a operatori professionali“ è attualmente in discussione.

In sintesi si vorrebbe arrivare ad una sorta di: "Stop ai corsi di assaggio allo scoperto.”

Lo scopo è quello di limitare fortemente il proliferare di corsi che poi alla fine non raggiungevano l’obiettivo prefissato ossia l’inserimento del candidato in un vero panel di assaggio.

Si vuol vincolare ’attività formativa delle varie Associazioni al possesso di alcuni requisiti soggettivi come la disponibilità di una sala panel nella quale effettuare la familiarizzazione all’assaggio sin dalle sue fasi iniziali e oggettivi : rappresentatività territoriale del soggetto richiedente , numero di comitati di assaggio già presenti e volume di lavoro sul territorio.

E’ la soluzione giusta ?

Il problema forse non è tanto a monte (formazione) quanto a valle (albi professionali)

In tutti questi anni gli albi regionali di assaggiatori di oli di oliva vergini sono cresciuti a dismisura raggiungendo cifre di migliaia di iscritti. Quanti di questi sono diventati poi effettivamente pannellisti?

In realtà nessuno lo sa. Sicuramente non molti.

Gli albi, che per istituzione dovrebbero garantire la qualità di una attività svolta si sono ridotti a meri elenchi di iscritti che vanno dal semplice appassionato dell’assaggio al pannellista effettivo che “professionale“ o “pubblico“ che sia esercita un ruolo importante nella filiera produttiva e di controllo. Raramente vengono aggiornati. Manca da sempre una revisione periodica che effettivamente le regioni non riescono a fare per mancanza di dati di feed back che non arrivano da nessuna parte.

Adesso grazie a molte osservazioni che arrivavano in questo senso si vuol “mettere ordine” a questo stato di cose ma invece che intervenire sulla parte amministrativa e burocratica si va a colpire l’attività di divulgazione che è fondamentale per la creazione di coscienze moderne in settori preminenti quali quello agricolo, commerciale e industriale.

Il retro pensiero è sempre in agguato! Ossia che si voglia istituire una sorta di “numero chiuso“ anche per un’istruzione specializzata soggetta a controllo preventivo.

L’alfabetizzazione del cittadino medio e delle nuove generazioni nel settore oleario è ancora altamente incompleta, questo lo dicono tutti.

Se effettivamente si vuole trasformare la figura del consumatore (che acquista ciò che capita ,spesso guardando solo al prezzo) nella figura del cliente (che acquista a ragione anche fidelizzandosi ad un prodotto o azienda) ogni corso perso rappresenta un rallentamento di questo processo.

Le persone possono approcciarsi all’assaggio per motivi più disparati spinti da un forte stimolo emotivo.

Professionisti, meri estimatori e cultori della materia devono avere le stesse possibilità. C’è spazio per tutti.
La diffusione della cultura, qualunque essa sia, non ha effetti collaterali e dove possibile va sempre sostenuta.

Quando la Conoscenza è stata delegata alla Pubblicità si sono prodotti gravi danni culturali quali la convinzione che l’olio di semi fosse più leggero degli oli di oliva.
Altri esempi non mancano!

Una soluzione potrebbe essere riservare l’iscrizione agli albi regionali ai soggetti effettivamente inseriti in gruppi di assaggio sia pubblici che privati, meglio se monitorati anche a livello di aggiornamento. I capi panel potrebbero avere in questo caso un importante ruolo di feed back per quanto riguarda aggiornamento degli elenchi.

Per gli estimatori, appassionati e cultori della materia si potrebbero ipotizzare inserimenti in elenchi specifici tenuti dalle organizzazioni professionali che continuerebbero così a svolgere il loro lavoro nel rispetto dei propri statuti.

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stefano petrucci

18 luglio 2020 ore 08:45

Penso che ogni 5 anni si possa chiedere un certificato emesso da panel riconosciuto di aver partecipato almeno a 10 sedute.

Laura Maria Berti

18 luglio 2020 ore 09:13

Sono molto d’accordo