Editoriali

Cambiando il luogo di osservazione si modifica il punto di vista

Il superintensivo quale ricerca della massima quantità mal si concilia con la qualità e, soprattutto, con la salute dell’ambiente, del clima e degli stessi esseri viventi

19 giugno 2020 | Pasquale Di Lena

Il punto di vista sta a significare il luogo di osservazione di un oggetto o di un panorama, di una casa o di un tramonto. Basta spostarsi perché cambi. Punto di vista sta anche a significare un’opinione che uno si fa di un fatto, un giudizio che uno dà, un avvenimento o una lettura e altro ancora.

In tal senso il punto di vista è del tutto personale. Uno dei tanti possibili che una data realtà esprime suscitando e alimentando ricordi, storie, racconti , opinioni, idee.
La realtà, quella che è sotto gli occhi di tutti, non esprime i punti di vista ma li raccoglie tutti e una volta sezionata, analizzata, confrontata, discussa, ha la capacità di mettere in luce la verità.

Il tempo che viviamo è strapieno di punti di vista, una vera esplosione, nel momento in cui non viene presa in considerazione la realtà e, per di più, non viene analizzata, e, come tale, accantonata. Succede, così, che uno appena esprime il suo punto di vista ne diventa vittima, un isolato incapace di accettare il punto di vista dell’altro, ma solo di criticarlo, rigettarlo e, soprattutto, distruggerlo.

È il tempo in cui i punti di vista si staccano, invece di raccogliersi dentro una realtà. È il tempo in cui tutti rimaniamo incantati, paralizzati dagli effetti, mai dalle cause che li hanno prodotti, cioè i fatti, che poi sono le sole verità.

I punti di vista di una realtà, non venendo da essa raccolti, sono tutti nelle mani del sistema imperante, il neoliberismo. Servono per diventare solo momento di scontro, di permanente conflittualità e, come tale, di isolamento.

La verità, l’unica, è, quindi, quella che il sistema produce con il supporto – quando si rende necessario - di ricercatori, scienziati, istituto di ricerca, facoltà anche di importanti università, e, ancor più, quella che decide di raccontare e lo fa con tutti i mezzi che ha a disposizione, soprattutto il controllo dell’informazione.

Essere liberi di esprimere il proprio punto di vista quando la realtà è tutta nelle mani del denaro non è per niente facile, spesso pericolosa perché il rischio è il marchio che ti viene appiccicato, spesso accompagnato dall’isolamento imposto.

In questo caso trovare uno spiraglio che ti permette di vedere la luce, mantenere e difendere il tuo punto di vista, oppure avere un varco e utilizzarlo come apertura che diventa una via di fuga, è fortuna. Soprattutto quando il tuo punto di vista viene difeso da chi ha un forte senso della libertà di espressione e rispetto dell’opinione altrui.

La posizione conquistata che ti porta ad avere e mantenere il tuo punto di vista non è mai casuale, ma il frutto di valori che ti sono stati dati; processi educativi e formativi; studio, ricerca; esperienze; valutazione dei fatti accaduti; confronti/scontri; dialoghi.

Il frutto del tempo e, per spiegarmi, porto l’esempio di uno – parlo di me - che è diventato ambientalista più di cinquant’anni fa e uno che sente di esserlo oggi, soprattutto dopo l’esperienza della pandemia. Cinquant’anni fa aveva il significato di una previsione, frutto soprattutto di sensibilità; oggi quello della constatazione dei fatti e, soprattutto, presa d’atto di una realtà.

Nel primo caso “predicatori di sventura” come li ha definiti il presidente americano - uno che ha nelle sue mani l’impero - parlando di Greta, la ragazzina che ha preso a cuore il clima e l’ha reso occasione d’incontro di milioni di giovani di ogni angolo del mondo,. Nel secondo caso masse di persone che, con la loro constatazione e presa d’atto, danno ragione ai “predicatori di sventura” e a Greta, l’esempio della rivolta contro lo scempio che ha reso il clima un ammalato cronico e in pericolo di vita.
Greta quale voce di una natura ormai stanca dell’uomo che ha un solo punto di vista, il denaro, quello imposto da un sistema, il neoliberismo, con la sua convinzione dell’infinità e della mancanza del limite, quale dimostrazione della sua indole predatoria e distruttiva.

Il superintensivo – solo per fare un esempio - quale ricerca della massima quantità, che mai si concilia con la qualità e, soprattutto, con la salute dell’ambiente, del clima e degli stessi esseri viventi, è la conseguenza del punto di vista e delle azioni del sistema imperante, che – serve ripeterlo – è predatorio e distruttivo.

Per un predicatore di sventura come me, che, da oltre cinquant’anni, sogna e lotta per un domani migliore dell’oggi, essere contro il superintensivo, nel caso specifico di un oliveto, vuol dire avere ancora più cura del proprio oliveto tradizionale e, soprattutto, liberarlo dalla paura di essere messo da parte. Ho il piacere di parlare ai miei olivi e di ascoltarli.

Togliere la paura che il superintensivo ha messso addosso ai miei olivi è indispensabile per renderli ancora più forti e decisi a esprimere qualità e diversità che il territorio, con la sua storia e la sua cultura, da sempre riesce, con dovizia di particolari, a dare.

Ecco un punto di vista, il mio!

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