Editoriali

GIALLO IN VATICANO

20 gennaio 2007 | Sante Ambrosi

Monsignor Wielgus era già stato nominato Arcivescovo della prestigiosa archidiocesi di Varsavia quando improvvisamente vengono diffusi dalla stampa , prima locale poi internazionale, documenti che testimoniavano la sua collaborazione con i servizi segreti del partito comunista negli anni in cui questo deteneva il potere assoluto sotto la dominazione sovietica.
Ci fu imbarazzo prima, ma subito dopo una dichiarazione dello stesso interessato con la quale ammetteva la verità della notizia con la precisazione che mai egli aveva utilizzato questa sua adesione per far del male a qualcuno, meno che mai alla Chiesa.

Il caso scosse l’opinione pubblica polacca e non solo, ma soprattutto gettò un’ombra sul Vaticano, sul modo di nominare i suoi vescovi. Non bastarono le precisazioni e i tentativi di separare il fatto, in qualche modo giustificabile se inserito nel contesto del periodo in cui è avvenuto e, comunque, non tale da compromettere la figura dell’arcivescovo. Alla fine, come sappiamo, giunsero le richieste dal Sommo Pontefice di rinunciare e l’Arcivescovo rinunciò alla diocesi .

Molte riflessioni e commenti sono stati fatti su questo episodio e non vogliamo qui farne una sintesi.
Senza pretendere di entrare nelle questioni storiche sollevate da vari scrittori e senza pretendere di emettere giudizi di etica nei confronti della persona interessata, che sul piano soggettivo sembra essere moralmente corretta, ci permettiamo di sottolineare una piaga che, purtroppo, è molto diffusa nella società e nella Chiesa, non solo in quella polacca di quel periodo .

In molti settori della vita pubblica e nella stessa Chiesa si tenta di far carriera attraverso dei compromessi inaccettabili da un’etica che dovrebbe essere fondata e diretta dalla verità, dalla coerenza con i principi morali universalmente condivisi. Succede, invece, che si rinuncia facilmente di dire la verità, di esprimere le proprie convinzioni, di prendere posizioni diverse da quelle che detengono il potere per ottenere un vantaggio personale.
Così, la persona che si mette su questa strada diventa adulatore dell’autorità che può determinate il suo futuro. Certo, non si vuole dire che l’autorità non debba essere difesa, aiutata quando è colpita da critiche ingiuste, ma solo che sempre deve essere fatto tenendo come bussola la verità.

Pur di raggiungere un posto ambito ci si sottopone a qualsiasi sacrificio, ad un servilismo indegno della persona e nefasto per la società. E chi detiene il potere facilmente sta al gioco perché è più gratificante e rassicurante dal punto di vista soggettivo, nella logica di un potere da conservare o di una situazione stabilizzata da non mettere in discussione.

Le conseguenze di questo comportamento non toccano solo la persona , che in qualche modo si svuota di ogni contenuto morale, ma la stessa società è in pericolo.
Essa si trova diretta da persone molto spesso inadatte, pronte a qualsiasi compromesso e incappaci o non disposte a impegnarsi per quei innovamenti necessari per mantenere in vita la stessa società e vitali le strutture guidate da queste persone.
Anche nella Chiesa c’è questo rischio, per cui succede che molte cariche di notevole importanza vengono date a persone che non sono le più capaci e innovative, ma a quelle che sembrano le più rassicuranti per un presente da salvaguardare

Già gli antichi storici, come Livio e Tacito, avevano compreso e scritto che la Repubblica romana fu corrotta dalla adulazione di molti senatori e per questa piaga cadde. E non diversa sorte toccò, poi all’impero romano. Anche il caso Wielgus può essere utile alla riflessione.

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