Editoriali
L’olio, come il vino: testimoni principi dei territori
Negli ultimi 60anni, si son persi 10 milioni di ettari di territorio e, con l’avvio dell’agricoltura industrializzata. Oggi occorre un'altra rivoluzione che, come venticinque anni fa, nei cervelli degli uomini
20 dicembre 2019 | Pasquale Di Lena
Martedì scorso Larino, culla delle Città dell’olio, ha festeggiato con un incontro molto partecipato, i 25 anni dell’Associazione nazionale che, da sempre, ha la sua sede nel Comune che confina con Siena, Monteriggioni.
Mi è tornato in mente - mentre vivevo, non senza emozione, i festeggiamenti insieme con alcuni dei protagonisti di quel 17 dicembre del 1994 e con i protagonisti di oggi – quel singolare laboratorio di idee che è stato l’Ente Mostra vini – Enoteca Italiana di Siena, a partire dalla seconda metà degli anni ’80 fino ai primi anni del terzo millennio che viviamo.
La prima, “Vino, Sport e Alimentazione”, che anticipa i tempi riconoscendo al vino il suo ruolo importante a tavola, anche di un campione dello sport e, comunque, di chi fa sport. La seconda idea “Vino e Turismo”, quella che apre a nuove importanti iniziative ed è tanta parte della rivoluzione che ha visto protagonista il vino italiano in quegli anni. Penso ai Wine tour nelle Regioni italiane con gli addetti agricoli delle Ambasciate e i giornalisti della Stampa estera in Italia; al Movimento del Turismo del Vino e alle Cantine aperte. E, poi, “Vino e Moda”; “Vino e Arte”, “Vino e Jazz”, “Le donne del Vino” “I Giovani del Vino”, Vino e Giovani”; “Vino è”, senza dimenticare le idee che hanno dato vita alle due Associazioni nazionali, quella delle Città del Vino e quella delle Città dell’Olio.
E vero che le idee, una volta realizzate, camminano con le gambe degli uomini e che, viceversa, le gambe degli uomini camminano e raggiungono importanti traguardi se le idee ci sono e sono valide, ma prima, però, hanno bisogno di essere elaborate nel momento giusto e nel luogo più adatto.
Sono semi e come tutti i semi hanno bisogno di un terreno fertile e di una stagione adatta per germogliare prima di passare nelle mani sapienti di chi poi avrà cura, una volta diventate piantine, di farle crescere e, con un buon concime organico, farle fruttificare.
L’Enoteca italiana diventa così un singolare laboratorio grazie alla cultura dell’origine della qualità, il territorio, e alle riflessioni che su questo tema aveva maturato nel corso della “Settimana dei Vini”, la sua manifestazione annuale che portava a Siena studiosi, ricercatori, esperti, giornalisti e cultori del vino.
Ed è, non a caso, il territorio che ispira e promuove l’Associazione Nazionale delle Città dell’olio con i dieci punti de “la Carta dei Fondamenti”, dei quali ben sei dedicati al territorio, il bene comune, il solo vero grande tesoro che abbiamo.
Fondamenti che hanno ispirato e animato le azioni di chi, in questi 25anni di intensa e proficua attività, ha amministrato e diretto l’Associazione, oggi forte di 330 soci rappresentativi di 18 regioni italiane.
Viene confermato, così, il ruolo di laboratorio/proposta/azione nel campo della promozione della cultura del vino, svolto dall’Ente senese, e della la grande intuizione che sette anni avanti, 2007, aveva dato vita alla prima delle associazioni d’identità, le Città del Vino.
Due realtà, oggi, di 33 e 25 anni che si occupano di vitivinicoltura e olivicoltura, due comparti fondamentali per il rilancio della nostra agricoltura, ovunque segnata da 5mila prodotti tipici e 815 a indicazione geografica, dop, igp e stg, un patrimonio inestimabile, unico al mondo,
L’olio, come il vino, testimoni principi dei territori, che, da nord a sud e nelle isole, costituiscono il grande e singolare territorio italiano. Un bene comune primario che il tipo di sviluppo, tutto concentrato sull’industria, ha trasformato in cemento e asfalto.
Un processo che, in mancanza di una normativa tesa a bloccare l’abuso di territorio, continua a rendere più povero il patrimonio di valori e di risorse che questo bene prezioso esprime.
E’ così che, negli ultimi 60anni, si son persi 10milioni di ettari di territorio e, con la cosiddetta “rivoluzione verde” e l’avvio dell’Agricoltura industrializzata, altre superficie con la perdita della fertilità dei suoli. A pagare il conto è la sua attività principale, l’agricoltura, e, con essa, la biodiversità e il cibo, nella quasi totalità, di qualità.
Si può ben dire che la nascita a Larino dell’Associazione Nazionale delle Città dell’olio è da ritenere, grazie all’allora presidente Riccardo Margheriti e al consiglio di Amministrazione dell’Ente Mostra vini, un gentile omaggio dell’Enoteca Italiana alla capitale dei Frentani.
Una capitale che deve all’olivo e al suo olio molto della sua fama e della sua storia di millenni. La patria, non a caso, di ben tre varietà autoctone (un primato), “Gentile” “Saligna o Salegna”e “San Pardo”, che portano il suo nome, con la prima che rappresenta un terzo dell’olivicoltura molisana.
Un omaggio a Larino ed al suo Molise, la più piccola delle Regioni dopo la Val d’Aosta, comunque la più giovane, che, ancora oggi, come con la fama dell’olio di Venafro, ai tempi dell’impero romano è, anche grazie a “Larino, culla delle Città dell’Olio”, alla bontà e diversità dei suoi olivi e dei suoi oli, alla ricchezza dei paesaggi espressi dall’olivo e alla bontà della sua cucina, esempio, con l’olio dei suoi olivi filo conduttore, della Dieta Mediterranea. Un Molise, città-campagna, forte di 136 territori rappresentati da sei indicazioni geografiche dop e igp e, soprattutto, da150 prodotti tipici tradizionali a testimoniare la ricca biodiversità di una terra generosa, ospitale.
Peccato che Larino ed il Molise, le Città dell’Olio, non abbiano avuto la possibilità di trasmettere a chi non c’è più l’emozione e la gioia dei festeggiamenti per i 25 anni di vita di una realtà impegnata a dare, con le idee e le iniziative, un nuovo domani all’olivicoltura italiana ed ai suoi 500 e più preziosi oli.
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