Editoriali 15/11/2019

Cercare la massima produttività dell'oliveto per poi denunciare la crisi e chiedere aiuti pubblici

Cercare la massima produttività dell'oliveto per poi denunciare la crisi e chiedere aiuti pubblici

Siamo al paradosso che la Spagna, che spinge molto per il sistema superintensivo e la massima produttività, invoca l'aiuto di Bruxelles che mette in campo una misura varata negli anni 1980: l'aiuto all'ammasso privato


Aiuti all'ammasso privato … parole che pensavamo appartenessero ad un passato ormai lontano, effetti di una politica agricola che pensavamo avesse cambiato rotta, parole che nel 2019 suonano come campane a morto, non dell'olivicoltura ma di un sistema produttivo!

Una piccola premessa è d'obbligo. La politica agricola dell'unione europea ha aiutato con diversi strumenti la ristrutturazione degli impianti e del sistema produttivo più in generale, e la Spagna, dobbiamo rendergliene merito, è stata molto efficiente nell'utilizzare questi fondi per migliorarsi. Occorre però serietà professionale quando si parla di miglioramento e dire con chiarezza cosa intendiamo: miglioriamo la quantità, la qualità, il costo di produzione, l'impatto ambientale o la salubrità per il consumatore?

Per entrare nel dettaglio ci troviamo con una produzione della Spagna nel 2018 che ha raggiunto, grazie anche ad una serie di coincidenze ambientali e fisiologiche favorevoli, una produzione complessiva di oltre un milione e mezzo di tonnellate, che potrebbe apparire come una grande vittoria, ma che cela anche qualche lato oscuro; produrre infatti, è importante, ma altrettanto importante è vendere quanto è stato prodotto, ciò per cui il sistema aziendale si è esposto finanziariamente.

E' notizia di pochi giorni fa che la Spagna si trova ad ottobre 2019, alle porte con la nuova campagna produttiva, con giacenze stimate in settecentocinquantottomila tonnellate! Questo vuol dire che il 50% della produzione spagnola di olio 2018 è rimasta nelle cisterne, e ciò avviene in un'annata in cui l'Italia ha visto un calo vertiginoso della produzione.

Mentre leggo la notizia e faccio un paio di ricerche di approfondimento, mi tornano in mente le parole di Pierluigi Tosato (allora amministratore delegato del gruppo Deoleo) dello scorso anno, riportate nell'articolo a firma di Curtis Cord dell'11 Luglio 2018 su Olive Oil Times con cui sottolineava, (riporto le testuali parole dell'articolo): "Il CEO della più grande azienda olearia al mondo ha dichiarato oggi che il modello di business per l'industria dell'olio d'oliva è stato "spezzato" e che i prossimi anni saranno critici con il crollo dei consumi nei mercati tradizionali e uno scenario di sovrapproduzione con la diminuzione della domanda. - ed ancora -"L'olio d'oliva è un modello di business rotto. Dobbiamo cambiarlo. " Ha tracciato la roadmap della sua azienda che prevedeva l'offerta di incentivi agli agricoltori per produrre frutti migliori e raccolti in anticipo. "Dobbiamo supportare una produzione sostenibile, non solo superintensiva. La produzione tradizionale sta dando lavoro alle comunità locali, il che va bene. "

Quanto analizzato ed ipotizzato da Tosato pare si stia avverando nelle linee generali, una produzione spinta in aumento da un sistema drogato, che si sta autodistruggendo – senza saperlo? - alla ricerca del profitto a tutti i costi con nuovi impianti iperproduttivi? Ma come spiegano bene gli economisti, produrre tanto non è l'unica strada, o la strada migliore, per ottenere razionalizzazione dei costi, e sorge il ragionevole dubbio che l'uso degli incentivi in questa direzione abbia dopato il sistema produttivo con l'aumento della produzione, ed ora ci potrebbe costare ulteriormente con incentivi all'ammasso?

Se queste premesse venissero confermate, dovremo prendere atto che il sistema della produzione in grandi numeri è giunto al collasso, e forse la nostra italica “arretratezza” del settore olivicolo potrebbe giocare qualche carta a suo favore; la strategia da mettere in campo per sopravvivere, ora più di prima, deve indirizzare gli sforzi e le attenzioni, nonchè i finanziamenti pubblici, ad alcuni punti fondamentali:
- alla razionalizzazione della produzione per avere contenimento dei costi, salvaguardando il più possibile la qualità chimico organolettica dell'olio con una forte caratterizzazione del prodotto; insomma, dobbiamo sempre più puntare sui prodotti artigianali di “gamma” medio-alta legati al territorio a costi di produzione ragionevoli, almeno per una buona porzione delle produzioni aziendali – senza per questo dover pensare che tutto l'olio di oliva italiano diventi bene di lusso -;
- alla ricerca di strategie di gestione agronomica e fitosanitaria sempre meno impattanti sull'ambiente con un occhio attento al contenimento dei costi di produzione;
- allo studio delle varietà locali e alla loro valorizzazione produttiva e commerciale;
- allo studio della massima valorizzazione degli aspetti nutrizionali e salutistici del prodotto ottenuto;
- alla qualità del prodotto all'origine e alla valorizzazione in modo concreto delle denominazioni di origine nella fase di produzione e commercializzazione.

Tutto questo ragionando in termini di vendibilità del prodotto ottenuto senza mai perdere, ma accrescendo, quei valori di etica di produzione e sociale che contraddistinguono molte delle nostre realtà.

di Angelo Bo