Editoriali
La speranza nei giovani per un rilancio dell’olivicoltura italiana
Le ragioni dell’accumulo del pesante ritardo sono da cercare nel vuoto di una programmazione e nella mancanza di una strategia di marketing, tutta nelle mani dell’industria olearia, che, agli inizi del secolo, è passata, con le imprese più importanti e le più note al mondo, nelle mani della Spagna
21 giugno 2019 | Pasquale Di Lena
L’ultima delle tante esperienze da me vissute è di poche settimane fa. Davvero bella, interessante, quale è stata quella di organizzare e tenere, a venti giovani già diplomati e laureati, un corso di 20 ore su un tema a me caro “la biodiversità dell’olivo e dell’olio”. Grazie all’Istituto tecnico superiore, D.E.Mo.S. (Decollo Economico Molise Sviluppo), che ha fatto proprio il suggerimento del mio nome del prof. Delfine, professore ordinario della Facoltà di Agraria dell’Università del Molise ed ha accettato il programma da me presentato.
Un’esperienza che mi ha fatto tornare indietro di trent’anni, e rivivere - con l’Ente Mostra Vini-Enoteca Italiana, che ha puntato tutto sulla cultura del vino - il clima della rinascita della vitivinicoltura italiana, quando la vite, grazie al suo vino, da coltura ha mostrato di essere anche cultura. E che cultura! Un prodotto in grado di raccontare, al pari del territorio che ne determina la qualità e la esprime, una storia lunga seimila anni; arricchire la cultura e essere fonte e protagonista di antiche tradizioni; alimentare la bellezza dei paesaggi; ispirare e far crescere civiltà; stimolare emozioni; essere insieme bevanda ed alimento.
Una grande rivoluzione culturale che ha portato non solo a considerare il vino per i suoi caratteri organolettici e non più per il suo grado alcolico, ma a creare, oltre a sbocchi di mercato, nuove opportunità di lavoro nel campo della comunicazione, della promozione e della valorizzazione. Del marketing nel suo complesso, in considerazione proprio di quella trasformazione del vino in un importante testimone di questo o quel territorio dell’Enotria Tellus, il Paese del Vino.
Una svolta che ha determinato forti cambiamenti all’interno di un mondo ancora legato al mercato del bianco e del rosso, in pratica al vino sfuso, che scorreva a fiumi soprattutto nelle cantine sociali, da mettere a disposizione dell’industria enologica. Un mondo che, partendo dai territori di vini rinomati, in primo luogo, quelli del Piemonte e della Toscana, si alimenta della cultura che il vino esprime e la diffonde trasformandola in una grande occasione di immagine e, con essa, in una nuova opportunità di mercato, soprattutto quello mondiale.
A distanza di trent’anni il contatto e lo scambio di opinioni con i giovani protagonisti del corso, mi hanno portato a pensare alla rivoluzione del vino negli ultimi tre lustri che chiudono il secondo millennio, e, anche, alle ragioni che non hanno permesso all’altro grande protagonista, l’olio di oliva italiano, di continuare insieme il cammino, che dal territorio “della mezza luna fertile" li ha portati a stabilizzarsi nel Mediterraneo.
Le ragioni dell’accumulo del pesante ritardo di trent’anni, sono da cercare nel vuoto di una programmazione (si aspetta un piano olivicolo da sempre) e nella mancanza di una strategia di marketing, tutta nelle mani dell’industria olearia, che, agli inizi del secolo, è passata, con le imprese più importanti e le più note al mondo, nelle mani dell’industria olearia spagnola. Un danno pagato a caro prezzo dal più importante comparto della nostra agricoltura, che, con il passare del tempo sta diventando pesante per l’olivicoltura italiana, oggi in grande difficoltà. Un comparto diviso che trova il produttore debole all’interno della filiera, più che in altri comparti.
Un vuoto di programmazione che ha aperto a tutt’una serie di rischi, prima di tutto quello dell’omologazione con la riduzione drastica della biodiversità olivicola. Un patrimonio enorme per il nostro Paese messo in discussione da processi, in particolare quelli legati alla diffusione degli impianti di oliveti superintensivi, che, personalmente, considero un pericolo per la nostra olivicoltura tradizionale, che ha bisogno, certo, di innovazioni, ma non di quelle che, con le illusioni del momento, tolgono ad essa il domani.
Agli attenti protagonisti del corso, metà donne e metà uomini, ho parlato di questi ed altri limiti, ma anche delle straordinarie possibilità di occupazione che il comparto offre a chi, soprattutto insieme, ha voglia di affrontare e risolvere problemi che toccano il Molise, e, anche, tutte le Regioni olivicole del Paese, come l’abbandono di consistenti superfici olivetate. A chi vuole pensare a rilanciare l’olivicoltura (l’Italia ha bisogno di altri 800mila ettari di olivi); a definire percorsi per organizzare e gestire le strade dell’olio o per accompagnare scolaresche e turisti a un incontro speciale, quello con il tempo espresso da olivi secolari e millenari, di Venafro e di Portocannone, o sparsi sul territorio molisano.
Opportunità nel campo della diffusione della cultura di un prodotto che, nonostante i suoi seimila anni al servizio dell’uomo e dell’ambiente, ha sempre cose nuove da raccontare, soprattutto in fatto di prevenzione di malattie diffuse e, anche, cura; una sana e corretta alimentazione per la buona salute e il benessere. Opportunità come esperti assaggiatori al servizio del consumatore, e, ancor più, della ristorazione; organizzazione di eventi; promozione , valorizzazione e commercializzazione dell’olio. Opportunità, anche, come sostenitori di un’olivicoltura organica, biologica e come esperti potatori.
Ho espresso questi suggerimenti perché so che le possibilità, oggi, di lavoro sono nella capacità di anticipare il domani, come ha fatto la DEMOS con l’organizzazione del corso biennale AgriOIL 4.0, riservato a un fondamentale comparto agricolo, l’olivicoltura, che, forte del suo passato, è, se arricchito di politiche adeguate e professionalità, domani, Sono anche convinto, avendo trovato questi protagonisti molto attenti, capaci di esprimere le esperienze e gli insegnamenti del corso, che sono in grado, soprattutto se stando insieme, di organizzarsi e dare il loro contributo al rilancio dell’olivicoltura e alla promozione e valorizzazione di quel prodotto unico che è l’olio, in particolare quello molisano.
Importante la collaborazione del Dr. Stefano Vincelli e fondamentale il contributo dato dalle aziende visitate, Giose Barone e Cooperativa olearia di Larino; Pignatelli/Valerio di Monteroduni; Parco storico regionale dell’olivo di Venafro; Marina Colonna di San Martino in Pensilis e Il Comune di Portocannone con i suoi preziosi olivi millenari. A tutti dico ancora grazie.
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