Editoriali 02/03/2018

Olivicoltori e frantoiani, non dimenticate chi siete

Non è più la bandierina italiana a fare la differenza ma i profumi e i sapori italiani, le storie di olivicoltori e frantoiani, i paesaggi e i territori. Oggi la vera sfida è lottare contro abitudini radicate e idee sedimentate nel tempo, ci ricorda Antonio Paoletti, Presidente della Camera di Commercio del Friuli Venezia Giulia


Il mondo si divide in due, chi in una situazione di crisi vede più rischi e chi invece vede più opportunità. Non mi nascondo dietro a un dito, io appartengo alla seconda categoria.

So bene che il commercio di olio di oliva dall'Italia ha subito una battuta d'arresto nel 2017. Nei Paesi della Mitteleuropa, tradizionalmente vicina e affine a Trieste, i segni negativi sono pesanti: -29% dell'Austria, -24% della Germania, addirittura -40% della Danimarca.

Dati che scoraggiano, se mal interpretati.

L'olio extra vergine di oliva, praticamente il 90% delle nostre esportazioni, soddisfa davvero i consumatori di questi Paesi?

Ho avuto occasione di parlare con molti buyer che frequentano abitualmente Olio Capitale e altrettanti che vi verranno per la prima volta.

La richiesta, pressante, che viene da questi operatori professionali è avere vero olio extra vergine di oliva 100% italiano per il loro mercato, magari anche qualche Dop e monovarietale.

Vogliono insomma il vero gusto italiano, non dell'olio miscelato in Italia ma proveniente dai quattro angoli del globo. Probabilmente, nei prossimi anni, dovremo abituarci a vedere questi segni meno nelle esportazioni di oli d'oliva dall'Italia. Se vogliono un prodotto internazionale, i buyer vanno a comprare direttamente l'olio nei Paesi produttori ai quattro angoli del globo, senza passare più dall'Italia.

Non è più la bandierina italiana a fare la differenza ma i profumi e i sapori italiani, le storie di olivicoltori e frantoiani, i paesaggi e i territori.

Rivolgendomi ai produttori dico: non vi dovete scoraggiare ma anzi moltiplicare gli sforzi, siete voi che i buyer cercano e vogliono.

La vera sfida è lottare contro abitudini radicate e idee sedimentate nel tempo.

Olio Capitale vuole far capire, prima di tutto, che non esiste l'olio extra vergine di oliva italiano ma gli oli extra vergini di oliva italiani.

Vuol far apprezzare gli oli leggeri del sud e quelli più intensi del nord, capovolgendo gli stereotipi.

Vogliamo che si conosca l'amaro della Coratina, il piccante dell'Ottobratica, il pomodoro della Tonda Iblea, il carciofo della Dritta e il mandorlato della Frantoio.

La frammentarietà dell'olivicoltura italiana, la sua vocazione fortemente territoriale, per tanti anni considerata un limite, è la nostra forza.

Siamo arrivati al paradosso che l'arretratezza del sistema olivicolo nazionale, che non ha seguito le mode, può diventare un suo punto di forza.

Nella cerealicoltura si riscoprono grani antichi e le loro proprietà. In viticoltura, dopo la standardizzazione dei gusti degli anni 1990, quando tutti i vini sapevano di legno, oggi si valorizzano i vitigni autoctoni.

L'olivicoltura italiana non deve fare rivoluzioni, ma deve credere in sé stessa e deve trovare una sua dimensione commerciale e culturale nel mondo.

Non più leader in quantità, forse sempre più in competizione sul fronte della qualità, certamente unica quanto a varietà e tipicità.

Guardare ai numeri è importante, siete imprenditori, ma senza perdere il valore più importante: la vostra identità.

di Antonio Paoletti

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessaria la registrazione.
Se ancora non l'hai fatto puoi registrati cliccando qui oppure accedi al tuo account cliccando qui

Commenti 0