Editoriali
La viticoltura che verrà non può dipendere solo dal meteo
Se il lamentarsi della stagione avversa, sembra che nasca col mestiere dell’agricoltore, occorre cominciare a porre le basi di un futuro diverso. I cambiamenti climatici ci obbligano a ripensare al paradigma dell'eco-sostenibilità in meniera nuova. E' tempo di fare sintesi, come sottolinea Alessandro Petri
19 gennaio 2018 | Alessandro Petri
Il concetto di un disegno cosmico, di un intento generale che coinvolge tutto ciò che si muove, non solo sulla Terra, ma nell’Universo intero, suscita un’impressione estremamente rassicurante di serena uniformità e di completa unità del mondo percettibile.
Così scriveva Mario Incisa della Rocchetta nei suoi appunti di scienza contadina, alla cui scuola mi sono formato. Quel libro, dal titolo “La Terra è Viva”, a chi lo sa leggere, continua il suo corsivo nell’impronta che il Marchese ha saputo dare alla Tenuta San Guido, svelata subito dietro il solenne portale dei cipressi di Bolgheri e negli aromi del suo vino sublime.
Certo è che gli eventi climatici, che si ripropongono sempre più drammaticamente alle nostre latitudini, sembrano mettere in discussione le affermazioni del marchese e farci dubitare di questa “serena uniformità e della completa unità”.
Il rapporto tra chi opera in campagna e l’andamento climatico non è mai stato lineare.
Nell’ incipit del De re Rustica, mirabile libro di scienza agronomica, scritto nel I° Secolo dopo Cristo, Columella si rivolge così al suo destinatario Publio Silvino, motivando il perché nessuno si occupi più di agricoltura: "Odo spesso i più illustri cittadini lamentarsi ora della sterilità dei campi, ora delle stagioni, da lungo tempo ormai sfavorevoli ai frutti della terra…"
Insomma, il lamentarsi della stagione avversa, sembra che nasca col mestiere dell’agricoltore!
Dobbiamo ritenere, però, prendendo in prestito le parole di Marc Bloch, nell’introduzione al suo “I caratteri originali della storia rurale francese”, che vi siano dei momenti nei quali una sintesi, fosse anche, in apparenza prematura, possa rendere maggior servizio di quel che non possano molti lavori di analisi: dei momenti nei quali importi soprattutto enunciare bene i problemi, piuttosto che, per ora, cercare di risolverli.
Specie in viticoltura, in relazione alla drammaticità del clima, si assiste ad effetti e comportamenti contrastanti: alcuni apocalittici, come quelli di chi va ad investire in acquisti di terre nella penisola scandinava che, tra non molto, per il cambiamento climatico, secondo le previsioni, si sostituirà al bacino mediterraneo come areale favorevole alla coltura della vite; altri che, banalizzando il problema, si ostinano a mantenere inalterate le proprie tecniche colturali e il modo di condurre il vigneto. Se da una parte si introducono droni, GPS,informatica e robotica nel vigneto, dall’altra si ferrano i cavalli, si svettuzzano ginestre e si mettono in ammollo i salici per legare le viti e si ripropongono antichi lunari da consultare.
In modo un po’ sibillino, in stile zen, recita così un antico proverbio giapponese: “Le cose sono quelle che sono ma, se le guardi con attenzione, le cose… sono quelle che sono!”
Occorre allora confrontarsi per capire questo momento delicato da varie angolazioni: analisi dei miglioramenti genetico-varietali, introduzione di innovazioni tecnologiche, studio degli andamenti climatici
Se etimologicamente, ànthropos, l’uomo, è colui che riesce a guardare da una posizione eretta, mi auguro che il convegno che l'Istituto tecnico agrario di Pontedera sta organizzando possa essere un momento di dibattito costruttivo che ci permetta di guardare avanti senza ripiegarsi in modo involutivo.
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