Editoriali

E’ SILENZIO SUL COMPARTO OLEARIO

22 aprile 2006 | Luigi Caricato

Dopo anni di grande enfasi (solo apparente, per carità), è calato un assordante silenzio su un comparto salutato dapprima come promettente e oggi invece terribilmente lasciato a se stesso, solo, in uno stato di rovinoso declino.

Eppure fino a qualche anno fa non era così.
Vi ricordate i grandi slanci (seppure gonfi di finto entusiasmo) da parte di alcune associazioni di categoria?
Un nome a caso: l’Unaprol.
Oggi questa mastodontica realtà sembra quasi scomparsa. Si sta sciogliendo come un ghiacciolo. C’è traccia di un liquido incolore, biancastro, simile al “Biancardo” che si produceva nei frantoi liguri anni fa.

Non solo in termini di rappresentatività, sembra non dare più cenni di vita il comparto oleario in Italia, insieme con la sua massima associazione di categoria.
Non si avverte più alcun respiro, quasi, neanche un rantolo.
Neanche sul piano, ben più effimero, della comunicazione, si stanno registrando segnali di esistenza in vita.
E’ calato insomma il silenzio più cupo; è buio pesto; e si sta giungendo con animo malinconico verso uno stato di immobilismo senza precedenti.

Sta scomparendo, come se si stesse sgretolando, tutto l’intero comparto.
E’ la sensazione che ho provato all’ultimo Sol di Verona, in un salone dell’olio che di anno in anno si va rimpicciolendo, come nel caso dello spazio, per esempio, un tempo occupato (faccio un nome a caso) dall’Unaprol.

Se qualcuno tra voi ha visitato le precedenti edizioni del Sol si sarà accorto del grande spazio occupato dalla massima unione tra i produttori olivicoli nostrani. Quest’anno lo spazio occupato dall’Unaprol era così esiguo da apparire quasi invisibile, confondendosi tra i vari stand.
Succede, è vero: tutto può accadere, sì, ma perché?

Perché – altro utile esempio – nessuno spazio è stato occupato dal Coi, il Consiglio oleicolo internazionale?
La risposta la si può ben immaginare: mancano i soldi.
Certe realtà si muovono solo se supportate da valanghe di danaro; ed è un gran guaio, perché così non si può andare avanti.
E’ necessario invece che il comparto oleario abbia una propria visibilità, altrimenti tutte le conquiste (certamente faticose) compiute nel corso degli ultimi due decenni saranno da ritenere come tali perdute.

Sembra però mancare la volontà, il giusto spirito.
Un convegno molto melanconico, quasi da chiusura battenti, è stato quello che si è tenuto a Verona lo scorso 6 aprile, sempre al Sol, dal titolo “Lo scenario mondiale dell’olio extra vergine di oliva”.

“Non è una situazione brillantissima quella attuale”, ha sostenuto il direttore del Coi Franco Oliva.
“Sono quattro anni che il Consiglio oleicolo internazionale non fa promozione”, ha aggiunto.

Arrigo Cipriani, direttore del Cno, ha sostenuto ch’è “mancata la volontà, o la capacità, di proporre un sistema Italia”; precisando poi che “la filiera ha approcciato in modo estemporaneo”.

Bene, anzi: male.
E’ giusto notare le anomalie, perché ci sono e sono peraltro così terribili e quasi impossibili da sanare. E’ sbagliato tuttavia enunciarle, queste anomalie, senza mai indicare i nomi, uno per uno, dei responsabili dell’attuale declino del comparto oleario italiano. Perché di un vero declino si tratta, non di una passeggera crisi.

Elia Fiorillo, presidente del neonato organismo Cio, realtà che riunisce le massime espressioni dell’associazionismo olivicolo italiano, denuncia la presenza di “tante sigle nel nostro Paese”. E’ vero.
Come opportunamente ha sostenuto Fiorillo, ci troviamo effettivamente come “paralizzati”.

“Manca una strategia per il commercio dell’olio di oliva”, ha sostenuto Fiorillo.
“Abbiamo tutte le capacità per una controffensiva”, ha sostenuto Fiorillo.

“Razionalizzazione”, è la parola chiave per uscire dall’impasse, secondo quanto evidenziato da Elia Fiorillo. Bene.

Solo razionalizzando la filiera ci si può presentare – ha ammesso – “in maniera unitaria sul mercato”. Bene.

Anzi: molto bene.
Sono dichiarazioni, queste e altre, già note, pronunciate da tanti in questi anni di straordinaria inoperosità. Anni in cui sono state inventate le Moc, Macro organizzazioni commerciali che si sono poi rivelate fallimentari.
Vergognosamente fallimentari, per l’esattezza, non fallimentari e basta.

L’Italia – lo sanno tutti, è ben evidente – ha perso non solo spazi di mercato e di rappresentatività, di più: l’Italia ha perso anche la faccia.
Abbiamo ceduto due marchi storici di grande impatto.
Abbiamo svenduto i punti di forza del nostro Paese.
Con la perdita di Sasso e Carapelli possiamo solo vergognarci di essere così italiani, o meglio: così stupidamente italiani.

Con “Teatro Naturale” abbiamo denunciato il declino del Sol, nel numero di settimana scorsa. Ora presentiamo una sottoscrizione in cui si denuncia la pessima organizzazione di Veronafiere. E’ un dato di fatto.

Eppure in apertura della nota manifestazione fieristica, al convegno citato, il presidente del Cio Elia Fiorillo ha testualmente dichiarato: “Sono grandemente interessato al futuro del Sol”.

C’è da crederci?
Ho qualche serio dubbio.
Perché allora questo rovinoso declino del comparto?
Perché nessuno ammette le proprie responsabilità?
Perché nessuno paga per gli errori commessi?
Perché chi ha fatto tanto per il bene del comparto non ha mai avuto voce in capitolo?
Il nuovo ministro, a differenza di Alemanno e dei precedenti, sarà così intelligente da non svilire ulteriormente un comparto che avrebbe dovuto essere il nostro fiore all’occhiello?
Il nuovo ministro alle Politiche agricole avrà il coraggio di fare tabula rasa e lasciare tutti (proprio tutti) a casa?
Ci sarà spazio per chi ha veramente a cuore le sorti di una filiera smembrata, svilita e vilipesa?
Ci sarà ancora un futuro per un comparto così determinante per la nostra economia?

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