Editoriali

La misura della sostenibilità è la sfida per l'agroalimentare italiano di domani

Il futuro è rappresentato da protocolli di sostenibilità che non guardino solo alla salvaguardia dell'ambiente e dell'energia, ma anche alla biodiversità, alle buone pratiche agricole, passando per dimensioni economiche e sociali. Da qui parte il bsiness di domani per l'agroalimentare italiano. L'analisi di Roberto Cariani di Ambiente Italia

15 settembre 2017 | Roberto Cariani

Da molti anni i modelli di produzione e consumo di prodotti derivanti dal settore agroalimentare sono oggetto di osservazione dal punto di vista della loro sostenibilità. Ma che cosa significa applicare questo principio dal punto di vista chi è responsabile della produzione? Un tempo, anche per la pressione esercitata dalle associazioni ambientaliste e dei consumatori, si faceva prevalentemente riferimento al mero rispetto di vincoli stabiliti dalla legge a tutela della salute (i controlli sulla presenza di sostanze chimiche nei prodotti ne sono stati per anni un esempio). Oggi il concetto di sostenibilità è diventato più complesso.

Il motivo di ciò è dovuto sia all’evoluzione normativa, che è passata dal concetto di “comando e controllo” a quello di “prevenzione”, sia ad una cresciuta consapevolezza nei comportamenti del consumatore finale, che sempre più spesso integra nella domanda di mercato aspetti connessi alla qualità dei prodotti e dei contesti di produzione.

A questo punto è cambiato anche l’atteggiamento delle imprese, che provano ad internalizzare la sostenibilità nelle strategie di business.

L’idea di fondo è quella di applicare un approccio che sia in grado di valutare, in un contesto allargato che coinvolge l’approvvigionamento (e quindi la coltivazione agricola e le materie prime utilizzate), la distribuzione e i modelli di utilizzo dei prodotti, l’insieme dei rischi (al fine di evitare le conseguenze negative) e delle opportunità (per sfruttare le soluzioni di innovazione) che derivano dalla filiera produttiva. Vi sono diversi strumenti che il settore agroalimentare può utilizzare a questo scopo, ma sicuramente il più interessante è quello dell’analisi del ciclo di vita (LCA, life cycle assessment). Negli anni recenti la Commissione Europea sta cercando di stimolare l’utilizzo della metodologia LCA al fine di giungere all’utilizzo di un metodo comune di calcolo e comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti (PEF, Product Environmental Footprint), che possano essere certificate e garantite a tutti gli attori della filiera produttiva.

Sempre dal punto di vista ambientale, studi recenti hanno calcolato con lo strumento della LCA l’impatto di un paniere di 17 prodotti alimentari offerti nel mercato europeo, determinando il peso ambientale dei settori della produzione delle carni, la dimensione degli impatti (dal punto di vista energetico e della produzione di gas effetto serra) della produzione dei prodotti chimici per l’agricoltura, l’importanza degli impatti delle fasi della logistica e dell’imballaggio dei prodotti, i fattori che determinano ulteriori impatti nelle fasi di uso e smaltimento finale dei prodotti (ad esempio il tema dello spreco alimentare).

L’applicazione di metodologie riconosciute dal punto di vista scientifico, corrispondenti agli obiettivi delle Nazioni Unite, permette di misurare come le scelte di produzione possono influenzare gli equilibri naturali dal punto di vista della biodiversità, ottenendo delle certificazioni di garanzia (come ad esempio la “Biodiversity Friend”) che impegna gli attori della filiera di produzione a sostenere e utilizzare le “buone pratiche agricole”, che contribuiscono al mantenimento e all’incremento della biodiversità negli agrosistemi e migliorano la qualità di aria, acqua e suolo.

Ma l’approccio LCA si può estendere anche alle dimensioni economiche e sociali, valutando le modalità e dimensioni della distribuzione del valore aggiunto nei confronti di tutti coloro che contribuiscono alla produzione lungo la filiera, oppure come vengono realizzate le condizioni di lavoro (ad es. in termini di sicurezza, garanzia di un reddito equo, pratiche che eliminano le discriminazioni) e di produzione (ad es. in termini di rispetto della legalità, responsabilità del produttore, coinvolgimento delle comunità locali).

Per misurare e comunicare in modo efficace la sostenibilità in tutte le sue dimensioni esplicitate in precedenza, sia ai fini del business che della garanzia per i consumatori, vi sono esperienze che introducono l’utilizzo dei “protocolli di sostenibilità”.

Una buona pratica è in fase di applicazione in Italia nel progetto che interessa l’olio extravergine di oliva da parte della filiera guidata dall’Oleificio Zucchi. Si tratta di progetti che riconoscono alla sostenibilità il valore della sua complessità, ma che, nello stesso tempo, accettano le sfide proposte dai più recenti e innovativi approcci, che puntano a misurare il miglioramento delle prestazioni nel tempo (quindi la riduzione dei rischi e l’incremento delle opportunità) e comunicare la garanzia di questi risultati, attraverso disciplinari certificati da enti terzi riconosciuti.

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