Editoriali
Oltre gli scandali e il blogging, la sfida del giornalismo agroalimentare
Bufale, sul web e altrove, un tanto al chilo. Informazioni false, notizie edulcorate o mai date. Il giornalismo agroalimentare è morto? No, purchè non insegua gli scandali ma racconti i fatti, tutti, nella loro crudeltà e durezza. Così si può prendere anche la soddisfazione di smentire un sito anti-bufale, come ci spiega Attilio Barbieri
25 novembre 2016 | Attilio Barbieri
L’amico Alberto Grimelli mi ha chiesto un contributo su un tema quanto mai attuale. Il giornalismo agroalimentare oltre gli scandali. Un tema caldo, per due motivi. Innanzitutto perché gli scandali sui cibi di cui ci nutriamo sono diventati pane quotidiano per l’informazione. Giornali e soprattutto televisione ci hanno abituati a fare i conti con truffe e inganni di ogni genere. Dalla passata di pomodoro cinese spacciata per made in Italy all’extravergine nordafricano venduto per pugliese. Non c’è comparto alimentare che si salvi.
Innanzitutto ci tengo a sgombrare il campo da un equivoco. Nascondere questi fatti sarebbe sbagliatissimo. Gli italiani hanno diritto di essere informati e sapere quel che accade, per quanto spiacevole possa essere. E a quelli come noi, come Alberto e come il sottoscritto, tocca raccontarli i fatti, senza reticenze. Sottolineo questo aspetto perché c’è anche chi attribuisce la colpa della perdita d’immagine che subisce il made in Italy a tavola, non già ai taroccatori. Ma a quanti ne raccontano i misfatti. Ne ho scritto sul mio blog Italiainprimapagina.it, poco meno di un anno fa (ecco il post) ma la situazione non è certo migliorata. Anzi: perfino una parte dell’industria alimentare, per fortuna minoritaria, sposa questa impostazione che colpevolizza i media e tende a dimenticare i fenomeni truffaldini.
Ma c’è il rovescio della medaglia di cui non possiamo certo dimenticarci. Assieme alle sacrosante denunce su giornali, televisione e internet, sul web viaggia una montagna di spazzatura mediatica. La notizia vene travisata, spesso forzata e ridotta a slogan buono soprattutto per guadagnare dei clic sul sito o sulla pagina Facebook. Ogni qualvolta mi trovo a titolare i post che pubblico sui miei blog rifletto proprio su questo aspetto. Un buon titolo, di quelli che fanno presa pur restando ancorati rigorosamente ai fatti, rischia di confondersi nel mare magnum delle bufale che circolano sul web a velocità vorticosa. Queste non-notizie, fra l'altro, hanno spesso una caratteristica che le rende ancor più insidiose: sono prive di data e vivono in una dimensione atemporale che le rende agli occhi degli internauti, sempre fresche. Un caso per tutti: la bufala del velo di silenzio calato sull’extravergine tarocco su cui indagano le procure di mezza Italia.
«Nessuno ne parla più, cercano di farvi dimenticare, ma noi continuiamo a ricordarvelo… Truffavano la gente spacciando olio di oliva per extravergine. Ecco i nomi dei 7 primari marchi che da ora sarà meglio evitare!!». Il fatto è vero e riguarda in effetti 7 marchi fra i più venduti in Italia. È falso che nessuno ne parli più. Ma soprattutto non c’è nessuno che «cerca di far dimenticare» ai consumatori la vicenda, come sostiene il post divenuto oramai virale. Non c’è un complotto ai danni del mercato e tantomeno degli organi d’informazione per far cader nel dimenticatoio l’inchiesta. Eppure impostando su Google una ricerca con le parole precise del virgolettato, scritte nel medesimo ordine, si ottengono 1.970 risultati. E se togliete le virgolette dal campo di ricerca, le pagine web che ne parlano salgono addirittura a 15.100.
È con questa dimensione che quanti fanno giornalismo online devono confrontarsi. La bufala assurge a verità per il fatto stesso di essere rilanciata migliaia di volte.
Ricordo il caso ancor più clamoroso di un fattoide divenuto virale al punto da mettere in difficoltà perfino quanti conoscevano invece la verità per averla vissuta in prima persona. Parlo dell’Expo 2015, l’esposizione universale che si è svolta lo scorso anno a Milano e sui cui il web si è scatenato confezionando una leggenda metropolitana dietro l’altra. A cominciare dai padiglioni vuoti per finire con i turisti che non si vedevano a Milano e dintorni. Chi volesse approfondire il tema può leggere l’articolo che pubblicai ad agosto dello scorso anno (qui il link) sul mio blog Ilcasalingodivoghera.it. Ancora oggi, purtroppo, su Facebook rimbalzano post che riprendono proprio le dieci bufale più clamorose che avevo smontato una per una da frequentatore assiduo dell’evento, avendo visitato l’esposizione per ottantasette volte per scrivere centinaia di articoli.
Le occasioni per ristabilire un po’ di verità, come questa offertami da Alberto Grimelli, sono preziosissime.
Dimenticavo: diffidate anche dei siti antibufala. Spesso, nella foga di smontare tutto quanto ha successo su internet, finiscono per confezionare a loro volta delle bufale gigantesche. Com’è accaduto a Butac.it (Bufale un tanto al chilo) con l’olio tunisino. Vicenda che mi sono divertito a ricostruire numeri alla mano (eccoli) dopo che alcuni giornali nazionali erano caduti nel medesimo errore.
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