Editoriali

Identità, quel valore che ha un prezzo

I prodotti autoctoni o tipici, che qualcuno vorrebbe sminuire come ad una semplice aurea di sacralità che li circonda, sono soprattutto frutto di un concorrere di tanti fattori che ne allargano la dimensione e che si traducono in “unicità”, che ne è l’espressione finale

26 agosto 2016 | Sebastiano Di Maria

Nell’attuale fase evolutiva del sistema agroalimentare i prodotti autoctoni, tipici o locali, sono oggetto di grande attenzione da parte di molti, anche se con interpretazioni o visioni diverse. Mentre per alcuni il prodotto autoctono o tipico altro non è che la manifestazione di un legame stretto tra la qualità del prodotto e il suo territorio di origine, geograficamente abbastanza limitato, in altri prevale un approccio più generalista, dove il legame del prodotto con il territorio rimane più sfumato. In questo complesso sistema è il consumatore, che spesso ha scarsa conoscenza di certe tematiche, a trovare difficoltà nel dipanare la matassa e a fare scelte consapevoli nell’acquisto.

I prodotti autoctoni o tipici, che qualcuno vorrebbe sminuire come ad una semplice aurea di sacralità che li circonda, sono soprattutto frutto di un concorrere di tanti fattori che ne allargano la dimensione e che si traducono in “unicità”, che ne è l’espressione finale. Questi prodotti, essendo quindi intimamente legati ad un territorio, devono la loro unicità ad una complessità di fattori, fisici e antropici, irriproducibili al di fuori del particolare contesto economico, ambientale, sociale e culturale in cui il prodotto è stato realizzato. Quali sono questi fattori? Innanzitutto il legame con le risorse naturali, frutto dell’ambiente pedoclimatico e delle risorse genetiche, ma anche dell’azione dell’uomo che, con una sorta di pressione selettiva (controllo puntuale della tecnologia), permette a quelle risorse di esprimere le proprie potenzialità, in particolar modo evidenti nei prodotti trasformati (vino, salumi, formaggi). Anche la componente della tradizione storica assume un carattere centrale, in Italia in particolare; è infatti attraverso un processo evolutivo che nel tempo si sono formate, diffuse, modificate, perfezionate e adattate le tecniche e i saperi degli attori locali al contesto socio-economico, ambientale e culturale del luogo. Non meno importanti sono gli aspetti culturali e di identità locale, che rappresentano un forte elemento identitario e che si traduce, spesso, in una volontà della collettività di voler preservare un prodotto attraverso dei percorsi di valorizzazione (disciplinari di produzione, denominazioni d’origine, indicazioni geografiche). Esiste anche il rovescio della medaglia, purtroppo, quando ci si ostina a produrre qualcosa perché è identitario e non perché conviene, senza un percorso di valorizzazione o l’adesione a specifiche convenzioni di qualità. In questi casi il consumatore paga un prezzo alto per prodotti che non redistribuiscono il valore all’interno della filiera o sul territorio.

Non bisogna confondere il prodotto tipico, invece, con quello tradizionale (alcuni prodotti tipici sono anche tradizionali, non sempre è vero il contrario) che mantiene un legame con il passato, ma che non ha seguito l’evoluzione al miglioramento degli standard produttivi, influendo in maniera determinante su uno o più parametri qualitativi, anche come conseguenza di un legame con il territorio più blando.

Infine ci sono i “prodotti locali”, dove si fa riferimento ad un luogo geografico, e quelli “nostrani”, identitari e anche appartenenti alla tradizione, ma nessuno di questi sottintende un legame tra luogo e qualità del prodotto, oltre alla mancanza di irriproducibilità.

Tutto questo panegirico per dire cosa? Il legame che si stabilisce tra un prodotto autoctono, tipico o in generale per una denominazione d’origine con il suo territorio, oltre agli attributi di tipo materiale (aspetti organolettici) e quelli immateriali (cultura, ambiente, artigianalità, tradizione), fornisce anche degli attributi esterni, dati dall’interazione del consumatore con il territorio d’origine, fruibili direttamente nell’ambito dello stesso, pensiamo per esempio al paesaggio agricolo (olivicoltura o viticoltura in particolare). Ci sono poi altri attributi, definiti ideali, come la tutela dal processo di massificazione voluto dall’industria - che spesso produce cibo spazzatura - quindi difesa della biodiversità, tutela delle piccole economie di scala e quindi anche del paesaggio agrario (parte importante del paesaggio culturale). Ma chi è l’artefice di tutto questo: il produttore, con la sua storia, il suo lavoro, il suo rapporto con la terra, la sua faccia messa sempre davanti a tutto. Il vero valore aggiunto, anche oltre una denominazione, il collante tra qualità del prodotto e territorio. Il consumatore che riconosce, quindi, il valore di questi attributi, sarà disposto a pagare un prezzo più alto per questo tipo di prodotti, anche rispetto ad altri con caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche simili, ma con un’origine territoriale diversa o comunque non identificabile. Dopo tutto, “mangiare è un atto agricolo” (Wendel Berry)!

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