Editoriali
Gli olivi: testimoni di storia e di storie
I Parchi di olivi secolari non possono né debbono solo testimoniare la bellezza e solennità di questi meravigliosi alberi. C'è molto altro, come ci spiega Pasquale Di Lena
05 agosto 2016 | Pasquale Di Lena
Ogni qual volta mi è capitato di calpestare la terra che nutre e raccoglie un uliveto secolare ho provato sempre una sensazione molto bella, un’emozione. Altrettanto bella anche l’emozione provata nel vedere la luce filtrata dai fitti rami di piante che da anni, secoli o, addirittura, millenni, si toccano e, con il soffio leggero del vento, si accarezzano e si parlano come i bambini quando s’incontrano la prima volta e si fissano per riconoscersi.
Particolare l’emozione provata anni fa, quando ho avuto l’occasione di vivere, passando per Venafro e Pozzilli ed entrando in quel Parco, il primo e ancora unico in Italia, dedicato agli ulivi e alla storia dell’olio italiano, con quello di Venafro, che, prima e più di altri, ha saputo raccontare, grazie alla fama per la sua riconosciuta e ricercata qualità.
Il Parco, un’intuizione espressa subito dopo la nascita, proprio nel Molise, a Larino, dell’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, che è stata trasformata in proposta di legge regionale, e poi, in progetto, una volta approvata. Un progetto che, messo nelle mani di Emilio Pesino, un presidente appassionato e capace, in meno di tre lustri ha saputo trasformare e ridare forza a una realtà che rischiava di sparire con l’abbandono da parte dei proprietari e l’avanzare degli incendi durante l’estate.
Un recupero minuzioso, attento, di pezzi di quel territorio che oggi è “Parco Storico regionale degli olivi di Venafro”, bello e interessante da visitare per i suoi ambienti e l’espressione di paesaggi particolarmente belli, ma ancor più interessante per la parte che va oltre il compito della tutela e della salvaguardia quale fonte di iniziative di comunicazione e valorizzazione . Una delle quali – la più importante per me – è stata la nascita di una cooperativa, che vede insieme i titolari, piccoli e grandi, un tempo scoraggiati, impegnati nella promozione e valorizzazione di quell’olio che, nel periodo della Roma imperiale, il mondo conosceva, grazie al canto ed al racconto dei più grandi e noti poeti, scrittori e cuochi di allora.
Cuochi come il grande Apicio, che aveva costruito la sua fama con la cultura e la sola bravura e non, come succede oggi, con l’aiuto della televisione. Il suo libro “De re coquinaria” (l’arte culinaria), una raccolta in dieci volumi delle sue ricette, rimane, da duemila anni, la fonte dell’arte di cucinare che ha visto, nel corso dei secoli, altri illustri protagonisti prima dell’inflazione di libri di cucina dei giorni nostri.
Nel Molise non c’è, però, solo Venafro e Pozzilli a raccogliere i resti di oliveti secolari, ma anche là dove, poco prima che le acque del fiume Biferno si confondono con quelle del mare Adriatico, vive, da alcuni secoli un insediamento di albanesi, arrivati in Italia e nel Molise. Gli Arbëreschë di Portocannone che, dopo il loro sbarco tra il Saccione e il Sinarca, due torrenti che affiancano il Biferno, si portarono sulle colline vicine, in particolare quella che da Campomarino sale verso Portocannone , San Martino in Pensilis (patria della deliziosa “Pampanella”) per scendere e salire, sempre dolcemente, verso Ururi, trovandosi di fronte a uno spettacolo, una selva di ulivi secolari che, fino agli anni sessanta, allevarono con amore e grande cura. Poi il boom economico, l’asfalto, il cemento, i seminativi, le vigne a prendere il loro posto.
A dimostrare l’esistenza, a Portocannone, di questa selva di ulivi, ci sono una decina di maestosi patriarchi, intorno al paese, di oltre ottocento anni. Un unicum paesaggistico - culturale che merita attenzione, perchè risorsa straordinaria del territorio che, se ben organizzata e valorizzata, potrebbe dare quelle risposte che un tipo d sviluppo, ormai fallito, non può più dare.
Risposte all’insegna della salvaguardia e tutela del territorio da altre e nuove invasioni “barbariche” ( parchi eolici, biomasse, biogas, inceneritori, elettrodotti, metanodotti), con la predisposizione e realizzazione di un progetto di valorizzazione di questi stupendi monumenti naturali e, soprattutto, il loro pregiato olio, quello che ha il carattere del “tempo”, una preziosità, come la terra, che una società improntata sul consumo e lo spreco, considera come un bene qualsiasi e non come un valore che esprime sacralità.
Un’opportunità, gli uliveti secolari di Portocannone e i loro maestosi patriarchi, per il territorio del Basso Molise e per l’intera olivicoltura regionale, se, però, raccolti in un “Parco degli uliveti secolari”.
Questo “Parco” come quello di Venafro – e, così, tutte le iniziative che hanno come obiettivo la salvaguardia e tutela di quel patrimonio inestimabile e irripetibile di ulivi e uliveti secolari - sono in grado di cogliere questo risultato solo se si ha la capacità di promuovere e valorizzare gli “oli” che questi straordinari monumenti naturali, ancora producono. Gli “Oli di ulivi secolari o del tempo”, i soli capaci di raccontare questo valore, più che mai fondamentale per il cammino dell’uomo che vuole tagliare i traguardi che portano al futuro , soprattutto in questa fase di grande difficoltà e disorientamento con un pezzo di pianeta che ogni giorno scompare.
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