Editoriali 01/07/2016

Biologico è naturale o naturale è biologico?

Le definizioni per l’agricoltura biologica sono ben descritte. L'agriucoltura naturale, invece, vive in un'aurea di incertezza e prende le sembianze di "un'arte del non fare". Ma si tratta ancora di agricoltura? E' la domanda di Mimmo Ciccarese


La normativa Ce 834/07, definisce ufficialmente l’agricoltura biologica come un metodo di coltivazione e d’allevamento che consente esclusivamente l'impiego di sostanze naturali, cioè quelle già presenti in natura, ed esclude l'utilizzo di sostanze di sintesi chimica.

Il regolamento continua la sua definizione come un modello produttivo orientato a evitare l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, del suolo, dell’aria dell’acqua con le finalità di farle durare nel tempo.

Esso risolve come tutelare la naturale fertilità del terreno razionalizzando la sostanza organica ricorrendo a tecniche agricole non intensive. Così per i sistemi d’allevamento, dove si pone estrema attenzione al benessere e allo sviluppo degli animali, senza somministrazione di ormoni e antibiotici, garantendone spazi di pascolo e libertà di movimento.

Questa normativa, forse, la meno pedante tra tutte, è stata modificata e limata dall’esperienza degli addetti al settore, associazioni e studi fin dal lontano 1992. Il sistema dei controlli nel bio è ben uniformato alle esigenze primarie del suo settore. È la filiera produttiva che vieta gli OGM; è una rete di controlli che le comunità hanno per questo ben perfezionato a scopi alimentari e ambientali. Si potrebbe dire una norma a misura d’uomo.

Le definizioni per l’agricoltura biologica sono ben descritte. Hanno termini tecnici e riferimenti ben precisi. Sulla base del regolamento 834/07, si organizzano fiere, manifestazioni, gruppi d’acquisto e tanto altro di buono.

Occorre riproporre che i contenuti della norma hanno, oggi, un respiro europeo, grazie anche all’impegno, fin dagli anni 90, in Italia, dei pionieri del biologico. Quei gruppi che un tempo con simile pensiero, rivendicavano il bio come possibilità per un radicale cambiamento in agricoltura che fosse anche un ritorno ai modi naturali.

Biologico è naturale o naturale è biologico?

Che cosa definisce l’agricoltura naturale? Il motore di ricerca mi dice che trattasi di tecniche agricole pensate negli anni quaranta uscite dalla mente di M. Fukuoka, agronomo giapponese. Il natural farming è definibile come “l’agricoltura del non fare”.

Con essa, ogni ecosistema agricolo deve esser lasciato secondo le leggi naturali, senza alcun intervento agronomico. Niente potature, quindi, concimazioni, cure colturali, trattamenti fitosanitari, operazioni meccaniche di aratura, i terreni dovranno essere perennemente inerbiti con piante non invadenti.

Con l’agricoltura naturale ci si limita a seminare e a raccogliere quindi? Non credo proprio.

Ho un piccolo vigneto e decido di provare a condurlo con l’agricoltura naturale. Mentre penso sull’opportunità di quel lasciar la coltura inerbita alla mercé di funghi e insetti, mi sopraggiunge un violento temporale; posso proteggermi con un ombrello ma il vigneto, purtroppo, subisce una grandinata.

Dopo il diluvio, il paese si è allagato. Un saggio contadino mi spiega che ciò è dovuto al fatto che ormai per questioni di abbandono, vige la tecnica della non coltura, nessuno più ara la terra; con il suolo attanagliato come un pavimento e gli inghiottitoi naturali ormai intasati, le acque giungono copiose tra le vie cittadine dalle campagne. Certo è che il cruccio degli agricoltori non è solo quello di seminare e raccogliere.

Dopo i danni da grandine, per salvare il salvabile mi consigliano una cura a base di rame. Il rame è ammesso in agricoltura bio, entro alcuni limiti. Sono al principio indeciso se impiegarlo. Se possiedo una licenza all’uso, chi me lo potrebbe poi vietare? Comprendo che le leggi naturali sono più severe che qualsiasi disciplina e scelgo il rame; devo pur difendere il frutto del mio lavoro. Con quale agricoltura avrei potuto salvare la mia uva?

Racconto l’esperienza e rimarco sul social il mio sostegno all’agricoltura bio, alla sua logica, a quegli allegati che ti consentono di salvare le produzioni rispettando l’ambiente secondo un disciplinare comune e che, in fondo, le cosiddette prassi amministrative, hanno un senso.

Ricevo note più tossiche di un pesticida: “Il biologico, gli interessi delle società, la burocrazia, gli enti di controllo ecc”; solite menate? Che dire? Che fare?

Rendo umilmente il campo ma stavolta prima di scegliere cerco di riflettere di più e mi sovviene la semplice curiosità di ripartire analizzando la definizione “agricoltura naturale” limitandomi solo a riportare i termini che lo compongono.

Tra tutte, la prima che mi capita è questa: “L’agricoltura è l'arte di lavorare la terra, per ricavarne il maggiore e miglior frutto possibile, compatibilmente con la natura del suolo e i livelli e sistemi tecnici”. Continuo su altri dizionari e noto che la frase sfruttamento delle risorse ricorre spesso.

Considerando la sua estrema variabilità organolettica e strutturale, quella “natura del suolo”, contenuta nella definizione, in campo agronomico, dovrebbe dar motivo di molte più descrizioni tecniche. Il suolo naturale non diventa agrario nel momento in cui è trasformato con le operazioni dell’uomo per adattarlo alle colture?

Si potrebbe dire, quindi, che è proprio l’uomo quello che sfrutta le risorse naturali, con il duro lavoro tra i campi, coltivando vecchie e nuove varietà per alimentarsi e alimentare le economie.

Con questo riguardo, forse, ci sarebbe da chiedersi: se l’agricoltura naturale non prevede lo sfruttamento delle risorse, quella del non fare, perché indicarla come agricoltura che è arte del fare?

Non vorrei desistere dal coltivare la terra ma sono ancora indeciso quali metodi applicare al mio vigneto.

di Mimmo Ciccarese

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Commenti 2

Mimmo  Ciccarese
Mimmo Ciccarese
14 luglio 2016 ore 08:39

Grazie per il commento Marco, non conoscevo Mokichi Okada. Piace immaginare ad un agricoltura naturale in grado di tener insieme le diversità di meridiani e paralleli seppur lontani tra loro. I vostri risultati sono quelli che accreditano le vostre interessanti esperienze.

marco peruzzi
marco peruzzi
04 luglio 2016 ore 01:16

Caro Mimmo l'arte del non fare NON e' un'arte ma un pensiero di comodo.Il non fare in agricoltura non esiste.
Stai parlando di Fukuoka come portabandiera di questa filosofia ,ma non e' esattamente cosi',infatti il consiglio che dava era per arature leggere o sovesci senza mai lasciare il terreno nudo. Anche un'altro agronomo e filosofo giapponese Mokichi Okada forse anche piu' profondo del primo aggiungeva a queste pratiche tanta preghiera rispetto per la natura.Bellissimo. Ma tutto questo e' sufficiente a dare reddito al nostro contadino? A oggi no! Pero' in futuro anche se immagino lontano l'uomo sara' costretto a riscoprire l'agricoltura naturale.Ti confido un'esperienza fatta,o meglio una prova fatta volutamente nell'anno 2014.Con un amico apicoltore abbiamo messo delle arnie in tre posti distinti,In una zona ricca di erba medica ma a ridosso di una oliveta tradizionale abbiamo messo 3 arnie,altre 3 arnie poste in un'area vasta dove applicano agricoltura biodinamica ma vicino ad un vigneto sempre e rigorosamente biodinamico,le ultime 3 arnie in un terreno abbandonato vicino ad un bosco di acacie.Risultati:
agricoltura convenzionale:tutto bene fino a giugno,ma al primo trattamento della tignola le api distrutte al 70%
agricoltura biodinamica: appena iniziati i trattamenti alla vigna con rame e zolfo le api hanno cominciato a sparire e ad agosto la meta' era sparita,va anche detto che e' stato un anno disastroso con ripetuti trattamenti,pero' va anche detto la verita' la meta' delle api non c'era piu'.
le rimanenti arnie messe vicine al bosco godono tutt'oggi di ottima salute e sono servite a ripopolare le altre cassette decimate.Quindi no all'agricoltura del non fare,ma usiamo la testa il nostro ambiente e' piu' delicato di quello che si pensa.