Editoriali
Il girotondo dell'olio d'oliva. Che uscita prendiamo?
Il mondo olivicolo-oleario si sta facendo, da qualche anno ormai, molte domande. E' tempo però di trovare risposte. Ma soprattutto è tempo di imboccare un'scita tra quelle che troviamo di fronte a noi, altrimenti il prezzo da pagare sarà altissimo
24 giugno 2016 | Maurizio Pescari
Il turismo dell’olio dev’essere legato alla bellezza del paesaggio o alla qualità dell’olio che si produce? Così come ha fatto il mondo del vino con i vitigni, può l'olio avere una spinta dalla valorizzazione delle cultivar locali e delle loro diversitò,e sviluppare un turismo legato al prodotto? Ed il paesaggio, può reggere da solo la sfida? O è necessaria una qualità reale ad esso correlata? E la qualità del prodotto, può a sua volta arricchire un paesaggio poco attrattivo?
Quante domande!
E' giunto il momento di trovare risposte.
L'impressione è che, ciclicamente, il mondo olivicolo si innamori di alcune parole, le issi a bandiere della riscossa, per poi buttarle nella polvere appena si scopre che non funzionano. Ma non funzionano o non si sono volute far funzionare?
Non c'è paesaggio senza uomo, non c'è cultivar senza uomo, non c'è uomo senza competenza, passione, professionalità. Uno senza l'altro diventano parole vuote, aride e secche, come gli olivi regalati a Xylella fastidiosa. Il paesaggio l'ha costruito l'uomo e oggi quel paesaggio ha un valore storico, culturale, evocativo che va difeso e preservato, con intelligenza. Innovare si può, stravolgere significherebbe invece perdere identità e senza identità non c'è paesaggio.
Le cultivar sono frutto della selezione dell'uomo, spontanea o guidata poco importa, oggi sono parte di noi, tanto quanto l'Arena di Verona o la Basilica superiore di Assisi. Buttare a mare 500/600 varietà, sarebbe l'equivalente di sostituire il Colosseo con condominio.
Non c'è olio senza uomo. Le olive da sole non producono olio. Produrre olio significa mettere in rete competenza, professionalità e passione. Rispettare le consuetudini familiari in campo e in frantoio, è puro e ipocrita conservatorismo. Rispettare il passato, l'eredità lasciataci dai nostri nonni, non significa continuare a “fare le cose a modo loro”, ma capire il vero e profondo significato della loro eredità, studiare per adeguare ai tempi lo spirito e l'identità che hanno lasciato nel territorio e nel paesaggio. Poi applicare le giuste innovazioni, con intelligenza e lungimiranza. Dare alla passione un valore innovativo.
Custodire il paesaggio non significa lasciare tutto immutato, ma valorizzare le radici, garantendo la loro riconoscibilità, confermando il valore fondante del profilo identitario. E custodire le cultivar non significa doverle utilizzare tutte, ma ripartire dal nostro patrimonio genetico per costruire l'olivicoltura di domani.
In fondo è tutto legato alla preparazione del produttore. Ecco un’altra domanda: quanti sono i produttori che hanno frequentato un corso di analisi sensoriale di olio? In fondo, sembrerà banale, ma per perseguire la qualità di una produzione, è necessario saperla riconoscere. Non ci può essere olivicoltura del futuro se non ci sono olivicoltori e frantoiani che investono nelle loro competenze e costruiscono la loro professionalità. Non è un olivicoltore, o frantoiano, chi non degusta l'olio altrui. Non è olivicoltore o frantoiano, chi non sa riconoscere la qualità reale, chi non sa cosa sono i perossidi o cos'è l'oleocantale e limita il mondo olivicolo a quello dei propri confini domestici. L'eredità di chi ci ha preceduto è ancora lì; lasciarla intatta significa impoverirla, giorno dopo giorno. Abbandonarla significa perdere storia ed identità. Non è più accettabile che un paesaggio olivetato unico e spettacolare, sia mortificato da un olio ottenuto da olive cresciute con tecniche agronomiche approssimative ed estratto da macchinari obsoleti.
Nel vino i produttori ci sono riusciti ovunque ed al sud l'evoluzione qualitativa e di marketing è sotto gli occhi di tutti; nell’olio il passaggio legato alla percezione della qualità reale del prodotto, appare molto più complicato. Si stenta a capire l'importanza di essere protagonisti diretti della propria crescita e l'inutilità del continuare ad affidarla ad altri.
Non c'è più molto tempo, siamo nel bel mezzo della rotonda: uscita uno, passione ed innovazione; uscita due, superintensivo con Arbequina ed Arbosana; uscita tre, Xylella fastidiosa; uscita quattro, rimanere dove siamo, vittime della nostra presunzione .
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