Editoriali
Dal tecnico al divulgativo il passo sembra breve, invece...
Non è un caso che la parola cultura derivi dalla parola “colĕre”, ovvero, “coltivare”. Come fare però per svestire i panni del tecnico e vestire quelli di divulgatore senza per questo cadere nella banalizzazione?
30 ottobre 2015 | Cosimo Damiano Guarini
L’olivo e l’olio hanno alle spalle 6000 anni di storia, ma ancora oggi il consumatore non conosce gli aspetti organolettici positivi del prodotto e, troppo spesso, si affida a luoghi comuni o falsi scoop giornalistici per la scelta del simbolo principe della dieta mediterranea.
Già 2000 anni fa i Romani avevano classificato in modo inequivocabile le differenti tipologie di olio, il loro utilizzo e le caratteristiche intrinseche del prodotto. Nei loro scritti, i vari esperti dell’epoca raccontavano in modo semplice, chiaro e comprensibile le tecniche di coltivazione, raccolta e trasformazione.
Un lavoro di studio e divulgazione che garantiva conoscenza: e oggi? Chi informa? In che modo?
Troppo spesso ci si imbatte in titoli ad effetto, scandali sventolati al vento, senza poi raccontare la “verità” degli aspetti tecnici, gettando spesso un alone di sfiducia e disaffezione verso il mondo dell’olio.
Uno spazio di comunicazione lasciato libero agli avventori dalla penna facile e che, invece, dovrebbe essere occupato dai tecnici che conoscono la materia e sono in grado di comunicare così come hanno fatto in passato i loro predecessori.
Per questo, oggi risulta estremamente importante formare gli operatori del mondo olivicolo (e non solo) verso una comunicazione più efficace, in grado di divulgare conoscenza e scienza alla portata di tutti.
In alcuni casi, però, divulgare rischia di sfociare nel banalizzare alcuni concetti e per evitare questo occorre mettere in campo lo stesso metodo scientifico di analisi e studio della materia tecnica, nello studio e scelta delle parole, dei concetti fondamentali e, soprattutto, occorre prestare attenzione alla “sete” di conoscenza che oggi il consumatore esprime e che troppo spesso resta senza risposta.
Basti pensare a quanti ancora oggi pensano al “piccante” e “amaro” dell’olio come “difetti” del prodotto, salvo poi affermare che l’olio fa bene alla salute.
Ecco, in questa mescolanza di informazioni, spetta ai tecnici diffondere la conoscenza in modo chiaro, semplice, al fine di migliorare il proprio lavoro, valorizzare il prodotto e, soprattutto, creare un consumatore consapevole.
Un vuoto di informazioni che se non occupato dal “tecnico-divulgatore”, lascia spazio ad avventurieri dell’informazione che si nutrono di tweet, commenti sul web e luoghi comuni che danno vita all’informazione del “sentito dire” e del “mi hanno detto che…”.
Immaginando così una scienza alla portata di tutti, una divulgazione semplice che parta dai tecnici e arrivi “dal campo alla tavola”, occorre creare un grande lavoro che parta dai luoghi deputati a tale formazione, penso al ruolo degli istituti tecnici agrari, dove spesso le materie umanistiche sono guardate con sufficienza e la stima di frutti pendenti è più importante della corretta scrittura di un progetto.
Un percorso arduo, questo sì, ma necessario oggi più che mai, dove il consumatore chiede un contatto diretto con il produttore, chiede di conoscere tutte le fasi di produzione, gli aspetti più profondi del prodotto, per comprenderne appieno la sua storia e il suo valore.
Una diffusione della conoscenza che si rende sempre più urgente quando poi si affronta il binomio tra “alimentazione e salute”.
In questo ambito, il ruolo centrale è occupato dal mondo medico, che ci racconta tutte le proprietà nutrizionali, nutraceutiche e salutistiche di un dato prodotto agricolo, ma subito dopo toccherebbe però all’agronomo raccontare quali sono gli aspetti agronomici che permetto al prodotto di esprimere al meglio le sue doti salutistiche.
Spazio, quindi, alla divulgazione per tutti e non alla scienza per pochi, dove il mondo dei tecnici esce dalle proprie stanze per nutrire il consumatore di conoscenza.
E ai bambini, cosa raccontiamo? Siamo in grado di mettere alla loro portata l’agri-cultura per renderli consapevoli?
Qui il problema si complica un po’ ma, allo stesso tempo, offre una grande opportunità.
Perché, se da un lato bisogna lavorare molto sulla divulgazione verso i più piccoli, scegliere le giuste parole e gli strumenti più idonei alla comunicazione, dall’altra si può portare un grande risultato di informazione che si trasmette direttamente in famiglia, fino a cambiarne le abitudini.
Ricordo con piacere quando più di quindici anni fa scelsi di frequentare l’istituto tecnico agrario (“Basile-Caramia” di Locorotondo), dove per la cultura del “sentito dire” era la classica scuola di chi era destinato alla zappa, con poca voglia di studio e conoscenza.
Ecco, oggi, a distanza di anni è pensiero comune invece che il mondo agricolo ha un valore molto più alto, con un “ritorno alla campagna”. Certo, si tratterà di una moda temporanea ma, certamente, esprime una necessità di ritorno alle origini, di ricerca dell’essenzialità.
Concetti alti, per alcuni aspetti poetici, ma è proprio questo che oggi deve fare il tecnico-divulgatore: unire la scienza alla cultura.
Non è un caso, infatti, che la parola cultura derivi dalla parola “colÄre”, ovvero, “coltivare”.
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