Editoriali
Rinnovabili e territorio, un matrimonio possibile?
11 luglio 2014 | Pasquale Di Lena
Volendo dare una definizione al paesaggio dico che esso è il ritratto del territorio che ci circonda o, anche, di un particolare di questo bene prezioso, unico. Un volto, un corpo che nasconde l’anima e il cuore, la vita che scorre nelle sue vene e nelle sue arterie, la forza o, meglio, le energie che riesce a esprimere in termini di valori e di risorse.
Un volto che merita di essere guardato e ammirato con le sue ombre e le sue luci; un corpo che ha bisogno di essere accarezzato, curato, perché possa esprimere al massimo il suo patrimonio di valori e di risorse, cioè di energie primarie di cui noi esseri viventi abbiamo bisogno.
Il paesaggio quale espressione di bellezza, sia nella sua parte naturale che in quella costruita dall’uomo, nel caso del paesaggio agrario.
Il paesaggio non solo definisce il territorio, ma lo condiziona, tant’è che ogni sua modifica si riflette anche sulle altre risorse e valori che il territorio stesso possiede ed esprime.
Se viene spianata una collina, com’è già successo e continua a succedere in Italia e nel mondo (la Cina ha già cominciato con le montagne, programmando di spianarne ben settecento nel prossimo futuro!) il paesaggio cambia fortemente con la scomparsa di un bosco o di un campo di grano, di un prato o di un vigneto, di un frutteto o di un oliveto. Il territorio, così, resta intaccato irrimediabilmente e ciò succede anche quando si costruisce una casa o una strada, una fabbrica o un capannone, o quando, s’innalzano i pali con pale eoliche e si stendono sul terreno pannelli solari, che pur producono energia pulita.
In una società, quella che viviamo, dove il sistema è guidato dal profitto per il profitto con il tipo di sviluppo finalizzato a consumare e - visto che si è andato oltre - a distruggere e sprecare, anche un bene come l’energia pulita può trasformarsi in male, nel momento in cui diventa occasione di speculazione e corruzione, grandi affari per pochi, e, ciò che è ancora peggio, a scapito dei valori e delle risorse più importanti del territorio, in primo luogo la terra coltivata, fertile, quella che rinnova la sua capacità di donare cibo.
Cibo, quale frutto sia della terra sia dell’uomo coltivatore, di cui ha bisogno un mondo popolato da oltre sette miliardi di uomini, con le previsioni che parlano di nove miliardi alla vigilia del 2050, cioè fra trent’anni poco più. Nove miliardi di bocche da sfamare, sapendo che già oggi, più di un miliardo di persone soffrono e muoiono di fame.
E’ il cibo, quindi, l’energia da privilegiare e ciò è possibile solo se c’è rispetto per il territorio e per una delle sue risorse fondamentali, l’agricoltura, che, non a caso, i promotori e i curatori del sistema economico, ormai fallito, hanno messo in crisi già nel 2004, quale ostacolo di cui liberarsi per appropriarsi più facilmente del territorio.
Anche se personalmente sono un fermo sostenitore delle energie pulite, rinnovabili, dico che esse, dovendo dare una priorità al cibo, possono essere prodotte solo là dove non si fa agricoltura, attività che ha appunto nel territorio l’origine della qualità e della tipicità dei suoi prodotti.
La stessa priorità, di fronte alle rinnovabili, spetta al paesaggio, nel momento in cui esprime uno straordinario valore, la bellezza, che vale avere a disposizione e spendere per un territorio vocato al turismo, soprattutto là dove quest’attività è ancora da programmare.
Dichiarare il 15 giugno “Giornata mondiale del vento” e renderla occasione di promozione dei pali eolici per una loro diffusione, senza, però, parlare di priorità e di regole da far rispettare, vuol dire non avere consapevolezza dei danni enormi provocati dal cattivo uso del vento e del sole. Danni enormi come la perdita di territorio, abbandono dell’agricoltura, aumento delle tasse per i cittadini, crescita della disoccupazione e dell’emigrazione dei giovani, incentivi alla speculazione e alla corruzione dilagante, nuovo assistenzialismo nelle campagne che si aggiunge ai vecchi deleteri assistenzialismi.
In pratica, dando continuità all’eolico selvaggio ovunque o spazio alle grandi opere che non servono a nessuno; nuove autostrade a scapito di strade di collegamento degli 8057 comuni italiani; altri palazzi e altre case quando sono migliaia quelle sfitte, e altre iniziative che perpetuano solo il furto del territorio, un bene comune e non privato, oggi più prezioso che mai, non resta che assistere a un’accelerazione del processo d’impoverimento delle realtà interessate e del Paese tutto. Una scelta non rinviabile sarebbe quella di bloccare subito questo processo e dare spazio a una programmazione in grado di evidenziare le strategie. In pratica le scelte da fare insieme con tutti i titolari del “bene comune” territorio; i cittadini, e non con le lobby, anche per rilanciare la democrazia messa in crisi dalla mancanza, appunto, di partecipazione, che, nell’era della conoscenza che noi tutti viviamo, rappresenta un grosso limite.
Solo se si opera nel rispetto del territorio, l’eolico e le altre energie rinnovabili definiscono il loro ruolo strategico per l’avvio di uno sviluppo davvero sostenibile, che è tale solo se riporta al centro l’agricoltura e, con essa, gli altri valori e risorse del territorio.
In questo modo si riesce a dare spazio alle vocazioni proprie di questo nostro Paese, quali la cultura, la storia, le tradizioni, la bellezza espressa dai paesaggi, la bontà dell’ambiente e, anche, di una cucina che trova questo carattere – mi ripeto - proprio nel territorio, quale origine della qualità.
Partire, quindi, dal territorio (sia terra sia mare), dal vento e dal sole per rendere queste straordinarie risorse (oltretutto le sole che abbiamo) strategiche di uno sviluppo che rende il Paese indipendente dalle risorse energetiche, dal bisogno di cibo, ma capace di mettere insieme un’offerta di beni perfettamente confezionata con lo stile di vita che il mondo c’invidia.
Certo, non saranno contenti i padroni delle multinazionali, gli affaristi, i delinquenti, i corrotti e i corruttori, ma saranno felici le nuove generazioni nel momento in cui sentono salvaguardata la loro identità e si caricano di speranze.
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