Editoriali

Giù la maschera! La qualità non è per tutti

27 giugno 2014 | Alberto Grimelli

L'olio extra vergine di qualità non si può fare dappertutto.

Smettiamola di raccontar panzane a mezzo mondo, che altrimenti poi ci credono.

Un olio estratto dalle olive che ha un contenuto di acido oleico che supera di poco il 60%, per non parlare di quelli sotto questa soglia, e con un quantitativo di polifenoli sotto i 100 ppm non avrebbe la dignità di potersi definire extra vergine.

Figuriamoci extra vergine di qualità.

In alcune aree dell'emisfero sud, dall'Australia al Sud America, ma anche nell'emisfero nord in Medio Oriente, vengono prodotti simili oli.

Non è un segreto, eppure si continua ad alimentare il mito che l'olio di qualità si può fare dappertutto. C'è chi ci ha scommesso fortune, come gli argentini, salvo poi dover mediare col Coi per far passare il loro olio come extra vergine, per il rotto della cuffia.

A proposito di miti da sfatare.

Parliamo di qualità olearia spagnola.

Vincono i concorsi, è vero. Cercano di proporsi sugli scaffali di prestigiose boutique e store a prezzi elevati. Organizzano eventi per opinion leader e giornalisti per accreditarsi quale paese che sa produrre super extra vergini.

Un'operazione di marketing e comunicazione in grande stile e ben congegnata, non c'è che dire.

Basta però scalfire la superficie per rendersi conto che le aziende pluripremiate producono pochi quintali di olio eccellente e molte tonnellate di olio standard e commerciale.
Perchè la qualità costa. 8,5 euro per mezzo litro di Masia el Altet, vincitore di Olio Capitale, categoria fruttato intenso, di quest'anno. A questi prezzi si fa fatica a vendere l'olio. Lo sanno e, infatti, chiedono a ogni italiano che passa come ci riusciamo noi.

L'Italia, nei secoli, si è costruita un'immagine di qualità e tipicità. Questa è la nostra fortuna. Difficile demolirla, anche se siamo talmente bravi da esserci quasi riusciti, come per Pompei.

Abbiamo industriali e imbottigliatori che si spacciano per frantoiani. Frantoiani che vorrebbero essere, e si comportano, come industriali e commercianti. Olivicoltori che, per non farsi mancare niente, prendono il peggio degli uni e degli altri.

Che impatto ha questa confusione dei ruoli sulla qualità è presto detto.

Regalare ai ristoratori (vendere sottocosto è un eufemismo) qualche bottiglia a proprio brand di extra vergini eccellenti per poi piazzare taniche di olio primo prezzo è strategia commerciale consolidata da parte di alcuni marchi industriali e di imbottigliatori. A questa strategia ribattono alcuni frantoiani e olivicoltori inviando ai medesimi ristoratori campioni di oli eccellenti, a prezzi improponibili, offrendo però anche extra vergini a prezzi più economici e di “qualità solo lievemente inferiore” che invece sono indecorosi.

Qualità? Reputazione? I nostri avi si stanno rivoltando nella tomba.

Attenzione a voler rifare solo il trucco all'immagine dell'Italia, come stanno facendo in Spagna. Si può salire in fretta ma precipitando ci si può fare molto male.

Usiamo un po' di buon senso.

Giù la maschera!

Ognuno faccia quello che sa fare.

I nostri industriali e confezionatori imbottiglino pure i loro migliori blend ma evitino di volerli ammantare di Italian Style o Product of Italy solo per spuntare un valore aggiunto rispetto ai competitor. Non ci crede più nessuno, neanche il New York Times.

I frantoiani smettano di magheggiare con cisterne e registri. Imparino a vendere l'extra vergine di qualità che possono e sanno produrre, se vogliono.

Gli olivicoltori la smettano di pensare ai contributi Pac, comunque destinati a scomparire, e comincino a lavorare per sé, come imprenditori, o lavorando di concerto con i frantoiani.

Ognuno per sé e Dio per tutti. Ma con onestà e moralità.

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nico sartori

01 luglio 2014 ore 18:01

Egr.dott. Grimelli,
Molto belli sia l'argomento che l'articolo, che condivido pienamente: BISOGNA MORALIZZARE TUTTO IL COMPARTO OLIO.
Di oli della stessa azienda e con lo stesso nome, ma con qualità assolutamente non confrontabili sono pieni gli scaffali dei negozi e le pubblicazioni dei vari concorsi.
Per evitare queste "furbate" sarebbe sufficiente prelevare le bottiglie per i concorsi dallo scaffale di qualsiasi negozio.
Sarebbe anche un modo per stimolare i produttori ad investire in un packaging che protegga l'olio dalla luce, ossigeno, temperatura.
Per il consumatore ci sarebbe certamente un avvicinamento di qualità fra il premiato e l'acquistabile.
Per quanto riguarda i contributi pac, ero sabato ad un convegno dove il moderatore porgeva le domande ai relatori con la formula: "lancio una piccola provocazione".
La peronalità politica di spicco presente ha più volte calcato la mano sull'attuale momento topico circa la definizione dei piani di distribuzione dei contributi pac.
Quando ho potuto dire la mia, ho esordito anch'io con una provocazione: abolire i contributi a fronte di una legislazione sull'olio che superi quella che è una contraddizione di termini: 0,8 di acidità, 20 di perossidi e contemporaneamente "privo di difetti".
Intanto non ci resta che tifare California, non c'è una squadra di calcio ai mondiali per questo stato degli USA, ma un organismo che sembra voler apportare le Riforme ad un regolamento analiticamente anacronistico rispetto alla qualità che le attuali conoscenze ed attrezzature permettono.
Mentre in Italia un avvicinamento alla onestà e moralità denominato Alta Qualità, giace ibernato.,
Ogni lobby per sè.
Nel frattempo gli industriali si lamentano del mancato sostegno da parte della nazione alle loro attività, che per prassi consolidata si possono oramai definire legali.
Avanti così fino al prossimo scandalo che non riusciranno a tenere nascosto, dove diranno che per uno disonesto ce ne sono tanti di onesti...(il testo integrale può essere ricavato da quello dei politici per le vicende di malaffare).
Cordiali Saluti
Nico Sartori