Editoriali

FARABUTTI

17 settembre 2005 | Luigi Caricato

Farabutti è un’espressione forte. Dire a qualcuno farabutto equivale a dire, senza falsi giri di parole: truffatore, imbroglione. E’ una parola mutuata dallo spagnolo faraute, ma quanto mai pertinente in questo momento storico, viste le molte presenze e le male azioni di una moltitudine di farabutti. Le cronache registrano infatti ogni sorta di imbroglio. Spesso il teatro in cui si consumano le truffe sono luoghi di convivenza sicura, un tempo ritenuti ambienti inattaccabili. Spesso gli imbrogli - anche quelli più riprovevoli - si concretizzano proprio per mano di persone apparentemente degne di fiducia. Occorre stare in allarme, non fidarsi più di nessuno.

Sorge però spontanea una domanda: sta cambiando forse la società, peggiorando sensibilmente; o è l’uomo di sempre, invece, quello perennemente attratto dal male, a manifestarsi adesso con più arditezza?
La risposta non cambia la verità delle cose. Oggi, con ogni certezza, vi è una maggiore amplificazione degli accadimenti. I farabutti, tuttavia, sono sempre stati tra noi. Provate a leggere la Bibbia: c’è, condensata, la natura umana al di là di una qualsiasi collocazione temporale. E’ proprio così: homo homini lupus. Avete letto Tommaso Hobbes?

Di fronte all’imbroglio, alla truffa, non sta bene parlare soltanto di semplici imbroglioni e truffatori. Sono parole monche, prive di nerbo. Meglio farabutti. Farabutto è voce dura, incisiva, e rende bene l’idea. Dire imbroglioni sottrae per contro peso alla mala azione e sminuisce l’impeto e la rabbia di chi è stato truffato. Imbroglio e truffa sono di questi tempi così frequenti da far sorgere un dubbio: quante sono le persone realmente oneste?

Non è pessimismo. E’ sufficiente leggere le cronache quotidiane per rendersi conto della gravità della situazione. Solo che sui giornali appaiono i casi più eclatanti e spettacolari e di conseguenza – disorientati dall’eccesso di male che ci ruota attorno - tendiamo a trascurare con troppa disinvoltura le esperienze personali. Provate a prestare un minimo di attenzione alla vostra realtà più prossima, per rendervi subito conto che il farabutto è vicino, molto vicino a voi. In quel voi c’è in parte anche il noi. Il germe del farabutto può d’altronde albergare ovunque, in chiunque. Nessuno è salvo. Si spera di non appartenere alla genìa dei farabutti, certo, è evidente; eppure occorre guardare anche dentro di noi, proprio in quell’io tanto vanaglorioso da dimenticare se stesso, per verificare e accertare quanto per davvero siamo immuni da truffa e imbroglio. Non illudiamoci, la cronaca di cui reca più o meno fedelmente notizia la stampa quotidiana esprime con molta concretezza quel noi di cui abbiamo tanta paura (o imbarazzo?) che ci riguardi.

Chi siamo realmente noi?
Perché non reagiamo all'orribile discesa nel profondo cui assistiamo in silenzio, impassibili e immobili?
Non sono domande pretestuose, non è puro esercizio retorico. E’ la quiescenza, semmai, la malattia che ci pervade dal di dentro dissolvendoci giorno per giorno.

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