Editoriali
L'Italia, arca di Noè della biodiversità, contro la rapacità degli speculatori
31 gennaio 2014 | Pasquale Di Lena
C’è il rischio, se non si mette un freno al processo crescente di furto del territorio, di ritrovarsi con l’arca che Noè, su invito del Signore, si era premurato di riempire con tutte le piante e gli animali del creato per salvarli dal diluvio universale, svuotata.
Un inno alla diversità, quale inno alla vita, che rischia di essere trasformato nell’inno alla uniformità, cioè alla morte.
Non è servito l’anno 2010, anno della biodiversità, a far riflettere sulle conseguenze della perdita di questo importante patrimonio, nel momento in cui è continuata, in Italia come nel mondo, l’accelerazione del processo che va riducendo lo spazio, cioè il territorio e, con esso, la biodiversità.
Per la verità ci sarebbe più bisogno di un blocco che di un freno, anche per riflettere sui disastri provocati da questa scellerata rincorsa, causata dalla logica di un sistema fallito da tempo e che si tenta di resuscitare, con la conseguenza di una perdita ulteriore di tempo che, con la conta di nuovi disastri, porta solo ad aumentare il rischio di arrivare al punto di non ritorno.
Un furto autorizzato dai governi, che, nella gran parte, sono rappresentati da una classe politica e dirigente asservita alla logica del profitto per il profitto e, come tale, incapace di porre freno a questo processo, che continua a limitare sempre più l’antico rapporto tra uomo e natura.
Un furto autorizzato anche dai silenzi.
L’antico rapporto tra uomo e natura, come prima dicevo, vissuto come dialogo permanente di solidarietà e reciprocità che sono poi gli elementi basilare della nascita e, nel corso del tempo, della definizione di quel fondamentale patrimonio che è il territorio. Uno straordinario contenitore di valori e di risorse, soprattutto di vita, che i poteri finanziari, con la loro voracità di danaro, stanno distruggendo, in Italia come in altre parti del globo.
Il più grande patrimonio dell’umanità nelle mani di persone senza scrupoli e, come tali, privi di valori morali, in particolare quello del rispetto, forti del loro egoismo e, come tali, miseri. Tant’è che, per non sentirsi diversi e soli, utilizzano la loro e altrui opulenza per distrarre e, in tal modo, immobilizzare perfino quelli che percepiscono il valore del territorio, anche se, il più delle volte, non conoscono la sua complessità.
È, così, che negli ultimi dieci anni, in Italia, la superficie di territorio che è andata persa, soprattutto a causa delle colate di cemento, è stata pari a quella dell’intera regione Veneto. Una superficie consistente e, per di più importante, se si pensa che su di essa si sviluppava l’agricoltura, che, nel caso del nostro Paese, voleva dire produzione di eccellenze agroalimentari e ciò è dimostrato dal primato che abbiamo in Europa in quanto a riconoscimenti di denominazioni geografiche.
Che dire poi del mondo, dove, insieme a tanti boschi e foreste, è a rischio, solo per fare posto a coltivazioni intensive di soia o di mais ogm, il polmone verde del pianeta, l’Amazzonia e i gruppi, le comunità primitive, nel senso di chi vive questa realtà da sempre, dimostrando la spietatezza di chi fa queste scelte parlando di civilizzazione e non di genocidio; di sviluppo e non di distruzione, morte.
E che dire, anche, dei mutamenti, con notevoli perdite di flora e fauna, che i corsi d’acqua, i mari e gli oceani subiscono a causa d’inquinamenti e depauperamenti di queste straordinarie risorse.
Un tipo di sviluppo, quello in atto nei paesi cosiddetti “sviluppati” o, in via di sviluppo, che distrugge fette enormi di territorio e, quindi, non aggiunge ma limita, impoverisce, e, soprattutto, riduce il valore e il significato della diversità quale forza della solidarietà, della collaborazione, della reciprocità, cioè, del rapporto, come dicevo all’inizio, tra l’uomo e la natura e il senso di sentirsi ed essere comunità.
Una perdita di valori, e lo si può vedere con la banalizzazione del cibo, l’attacco alle tradizioni come pure ai dialetti ed alle stesse lingue, la poca considerazione per l’arte, la cultura, e, nello stesso tempo, una perdita di risorse preziose, come l’ambiente e il paesaggio, e, soprattutto, di quel patrimonio unico che è la biodiversità.
Solo se si blocca questo tipo di sviluppo e si dà spazio al sogno, alla poesia, alla voglia di fare e, soprattutto, di creare, si può dare spazio alla sostenibilità, cioè al futuro, con la natura che torna a dare.
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