Editoriali 25/10/2013

I diktat di Granarolo ma i molisani dicono no


Non è la prima volta che approfitto delle pagine di Teatro Naturale per parlare del Molise, il mio Molise, la terra dove sono nato e dove sono tornato dopo quarant’anni di vita, tra Firenze e Siena, in Toscana.

Una Regione dalla forte impronta rurale, con l’agricoltura che rappresenta ancora l’attività prevalente e vede i seminativi dominanti sui prati, pascoli e colture legnose, soprattutto olivo; dalla ricca biodiversità, la più elevata in Italia, che rischia uno sconvolgimento totale se è realizzato il progetto “Granmanze” della Granarolo. L’azienda che, con una srl con capitale di 10.000 euro ed in cui la Granarolo detiene solo una quota del 10%, ha la possibilità di utilizzare finanziamenti per 23 milioni di euro che sono, poi, i soldi dei cittadini italiani, europei e molisani messi a disposizione dalle rispettive istituzioni.

Il progetto di una stalla di 2 milioni di metri cubi, cioè l’utilizzo di una superficie di quasi 100 ettari per accogliere, non 100 o 200, ma 12.000 manze. E, in più, un consumo esagerato di acqua pari a 2,5 milioni di metri cubi/anno, che è il consumo di un comune di 30/35 mila abitanti e, non basta, anche, 1.300 ettari e più di terreno per la produzione di foraggio oltre a quello che serve per la paglia.

Ho scritto in cifre “dodicimila” manze proprio per significare una cosa enorme e, nello stesso tempo, abnorme per il territorio molisano; la crisi che viviamo, che è – lo dico ai politici, ai vari livelli, che non ancora lo hanno capito - una crisi frutto di megalomania e di sprechi; l’ambiente, già messo in crisi da altri insediamenti, e il paesaggio, già imbrattato da pale eoliche.

Una struttura sproporzionata, oggi, per paesi come Gli Stati Uniti d’America, che sta pagando le conseguenze dei super allevamenti al chiuso come all’aperto. Una struttura esagerata che, domani, di fronte al rischio di un abbandono (la rimessa eventuale della srl è di 10.000 euro e, come abbiamo visto, di 1000 euro della Granarolo di Bologna), sarà quasi impossibile smontare.

Un monumento alla scarsa sensibilità e lettura del Molise da parte di chi, oggi come ieri, con la generosità dell’indiano che regala oro per un fondo di bottiglia, ha messo a disposizione della Granarolo la propria terra in cambio di un pugno di mosche e futuri problemi, se non disastri.

Un monumento alla logica del profitto per il profitto propria del neoliberismo che è entrato nel cuore e nella mente di chi oggi governa il Molise e il Paese, incuranti della situazione pesante che vive il mondo e, soprattutto, il Paese.

Un monumento alle parole di un Ministro dell’Agricoltura che parla di difesa del territorio, valore della tipicità, della biodiversità e della sostenibilità e, poi, fa passare un progetto che ruba un territorio irrigato e da sempre fonte di biodiversità e eccellenze che, se messo nelle condizioni di farlo, può dare molto all’immagine dell’agricoltura italiana.

Un monumento all’avidità e alla spregiudicatezza, con la Granarolo che neanche ha pensato di realizzarlo a fianco al proprio stabilimento di produzione e trasformazione del latte, cioè nei pressi di Bologna, ma lontano ben 500 chilometri e, cioè, prima in Puglia e poi nel piccolo Molise, dove, come si è potuto vedere, non ci sono numeri per ribellarsi a gente che pensa solo al profitto e al potere.

Una bomba che può trovare una sua moltiplicazione con il bisogno di smaltire il letame mediante centrali a biomasse e cioè fonti di diossina, che al Molise, insieme alla stalla, lascerebbero solo macerie in cambio di trenta dinari, in pratica trenta posti di lavoro, uno in più uno in meno non importa, che vengono raddoppiati da altri trenta posti dati dall’indotto.

I promotori di questa disavventura per il Molise vedono in testa l’attivo senatore Ruta con a fianco l’assessore all’Agricoltura e all’Ambiente, sostenitore non pentito delle pale eoliche, e un seguito di politici e amministratori e tifosi, che stanno giocando tutti sulla fame di lavoro, soprattutto dei giovani. Un ricatto che oggi fa presa, nel Molise come in tutto il Pese, venduto com’è il progetto come opportunità per tante famiglie disperate che reagiscono come quello che sta cadendo in un precipizio, cioè,potendo, si attaccherebbe anche a un filo d’erba.

Promotori che vendono quest’ opportunità come la strada possibile che apre al futuro il Molise, non dicendo, però, che è un futuro di impoverimento di tutte le risorse che il Molise ha, soprattutto la sua agricoltura e le sue aziende agricole e zootecniche, che con questa bomba finiscono per scomparire, così com’è successo per i piccoli negozi con i supermercati.

Tutto questo in un momento in cui c’è bisogno, non di scelte improvvisate e sconsiderate, ma di una programmazione partecipata con scelte ben ponderate, che partono dalle risorse e dai valori del territorio, in primo luogo la sua ruralità e la sua agricoltura, per un Molise, che ha tutto e tutto di grande qualità.

Un Molise che si proietta (senza costi aggiuntivi) a essere una regione interamente a coltivazione biologica, e, grazie a un’attenta strategia di marketing, luogo di attrazione e incontro di consumatori che hanno la capacità di vivere il gusto della bontà e della bellezza.

Penso ai suoi oli e ai suoi vini, i latticini e i formaggi, i salumi e gli insaccati come la Ventricina di Montenro di Bisaccia o bontà come la Pampanella di San Martino in Pensilis, il brodetto di pesce di Termoli, la ciabbotta dei suoi orti o il tartufo che, soprattutto bianco, è tanto di fronte al resto delle regioni italiane.

Penso ai suoi paesaggi e alla ricchezza di chiese e monumenti dei suoi piccoli centri che, insieme, meriterebbero anche una piccola parte di tutta l’attenzione che i politici oggi riservano alla mega stalla della Granarolo, alle pale eoliche e, domani, alle biomasse.

E, pensando a queste bontà e a queste bellezze, penso anche al bisogno di attenzione e di sostegno che il mio Molise ha, certo da parte dei miei corregionali, ma, tenendo conto del numero di molisani, da parte, soprattutto, di quanti vogliono diventare amici di questa mia terra con la possibilità di viverla con le sue sorgenti di acque minerali, le sue passeggiate sul Monte Miletto o sul Monte Meta, lungo il mare Adriatico non lontano dalle isole Tremiti e dal Gargano o sulle dolci colline che sopportano i paesi.

C’è bisogno di moltiplicare le voci, di solidarietà e reciprocità, per vincere una battaglia che è innanzitutto una battaglia di civiltà prim’ancora di uno sviluppo sostenibile per un territorio che, in quanto a quantità, ha poco da dare, ma tante emozioni da far vivere e raccontare.


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