Editoriali
Cercasi identità disperatamente
07 settembre 2013 | Alberto Grimelli
Vitruvio non sarebbe stato ricordato come geniale ingegnere e architetto romano senza aver dovuto superare tutte le difficoltà di un territorio impervio e difficile, quale quello italiano, che alterna pianure a colline e montagne.
La Toscana non sarebbe ciò che è oggi senza lo studio e l'applicazione di Giovan Battista Landeschi che innovò l'agricoltura delle colline di San Miniato con i terrazzamenti e i ciglionamenti.
Le necessità dell'uomo, unite alla conformazione e alle risorse dei territori, aguzzano l'ingegno e fanno nascere i saperi. I saperi modificano il territorio e fanno evolvere le necessità. Una rincorsa continua che è il sale della nostra cultura, della nostra essenza stessa di esseri umani.
Non ci sono saperi senza territori né territori senza saperi.
Un legame inscindibile che è tanto più forte, persino vincolante, se parliamo di agricoltura e alimentazione.
Un rapporto, però, messo in discussione dall'industrializzazione e ancor più dalla standardizzazione. Non è più importante dove e come, ma cosa. Non importa che il grano sia della varietà Senatore Cappelli o Duilio, non importa che provenga dalla pianura padana o dal tavoliere pugliese, l'importante è che abbia un determinato contenuto in amido e proteine.
Abbiamo però scoperto che trasferire il modello industriale e consumistico al mondo agricolo crea una serie di problemi. Da qui l'introduzione di limiti e divieti: dalla direttiva nitrati, per impedire che i nitrati tossici raggiungano le falde acquifere potabili, fino ai limiti sui pesticidi, per evitare intossicazioni. Problemi pratici immediati, senza considerare le questioni che lasceremo alle future generazioni: perdita di fertilità dei suoli e della biodiversità, inquinamento diffuso, consumo di risorse non rinnovabili.
Si può scegliere di continuare imperterriti lungo questa rotta, tamponando le falle e rispondendo alle emergenze man mano che si presenteranno oppure cambiare percorso, ritornando ai due pilastri inscindibili che da sempre hanno accompagnato l'uomo: saperi e territori.
Non un passo indietro, non tornare all'agricoltura dei nonni, ma riaffermare un concetto di evoluzione che è stato il fondamento dello sviluppo della nostra specie per millenni.
Il nostro pianeta è un sistema complicato e molto delicato, come ci spiegò Edward Lorenz nel 1972, formulando la provocatoria domanda: può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas? Anche la matematica si dovette arrendere. Le approssimazioni che ogni simulazione porta con sé rendono imprecisa o sbagliata qualsiasi previsione. Non vi sono infatti solo le singole componenti di un organismo complesso ma anche le loro relazioni. Ecco allora spiegato il paradosso: il battito d'ala di una farfalla può dar luogo a un tal numero di interazioni, in un sistema complesso come quello climatico, da provocare un tornado in Texas.
Cosa c'entra tutto questo con l'agricoltura? Intere generazioni di agronomi sono state formate secondo la logica del causa-effetto: a una determinata patologia corrisponde un determinato pesticida, a una certa infestante corrisponde il proprio diserbante. Una schematizzazione e una semplificazione che collide con la complessità dei sistemi agricoli. Tornare sui nostri passi significa considerare la pianta in un contesto ecologico e ambientale, cercando di attuare pratiche agronomiche, anche innovative (biostimolanti e simbioti), atte a creare un equilibrio agroecosostenibile.
Anche in economia la logica del causa-effetto vacilla. Fritz Machlup, economista, più di mezzo secolo fa delineò il profilo della società post-industriale ponendo la conoscenza al pari di una risorsa economica. Il sociologo Manuel Castells approfondì ed estese il concetto, tanto da arrivare a sostenere che “informazione, formazione e comunicazione costituiscono oggi il "geroglifico della merce". Da queste teorie sono nati nuovi approcci al mercato. Vi sono i gruppi di acquisto solidale e i mercatini equo-solidali. Facebook, twitter e molti social network, al di là della loro valenza ludica, sono sempre più spesso utilizzati come strumenti di marketing relazionale. Il valore di un bene si forma in un sistema complesso, quale è la nostra società, composto da singoli esseri umani in relazione, tuttavia, con altri milioni di persone, oltre che con l'ambiente e la natura. Il prezzo, quindi, non è solo funzione di caratteristiche misurabili e standardizzabili ma anche di una serie di altri fattori emozionali, edonistici e culturali, per definizione né misurabili né standardizzabili.
Un nuovo modello di sviluppo è possibile ma bisogna costruirlo.
Teatro Naturale, in questo decennale dalla fondazione, ha deciso di partire da qui: territori e saperi.
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09 settembre 2013 ore 21:17Grimelli,
auspico che su questo tema ci sia un ampio contributo di molti Agronomi (vanno bene anche con la a minuscola). Personalmente segnalerò all'indirizzario degli Agronomi della mia provincia questa opportunità di intervenire offerta da Teatro Naturale. Lascio a loro pertanto di affrontare nel merito l'argomento: poi, come sempre succede [anche nella nostra categoria c'è una grande biodiversità!] ci sarà chi lo centrerà, chi lo sfiorerà, chi dimostrerà di avere mirato ad altro etc....
Mi voglio però attaccare alla questione della comunicazione e delle sue regole.
Prima regola:
- essere corretta e non usare parole sbagliate, con la motivazione "che l'uditorio conosce solo quelle"
Spero di essere stato abbastanza chiaro; se così non è, andrò ancora a scuola di comunicazione
Alberto Grimelli
09 settembre 2013 ore 12:27I dottori agronomi e dottori forestali, a mio avviso, dovranno avere nel futuro un ruolo centrale. Se saranno capaci di innovarsi e innovare saranno certamente la professione del futuro.
Per raggiungere questi obiettivi bisogna tuttavia sapersi mettere in gioco, saper mettere in gioco alcune certezze e guardare oltre gli schemi precostituiti.
Occorre un po' di umiltà di fronte alla natura, ai sistemi agroambientali e, più in generale, a una complessità che possiamo percepire ma ancora non comprendere o spiegare fino in fondo.
Alla fine del 1800, ci sono illuminanti testi in merito, gli scienziati dell'epoca credevano che il genere umano fosse arrivato al punto di conoscenza massima, che non ci fosse più nulla da scoprire.
Il 1900 è stato invece il secolo del massimo progresso tecnico-scientifico per l'umanità.
Ecco perchè trovo un po' banale l'approccio: se non è spiegabile dalla scienza non è vero o è solo poesia.
Come accennato la matematica, per ora, si è arresa di fronte al teorema di Edwards. Nella storia dell'umanità vi sono molte teorie rimaste tali per decenni, persino secoli, prima di essere confermate o smentite.
Assolutamente giusto aver fiducia nella scienza. Riduttivo, a mio avviso, pretendere di averne tutte le risposte e le soluzioni. Non tutte le equazioni possono essere ancora risolte.
La sfida che ci attende è prendere coscienza che è necessario un cambiamento culturale e di approccio. Da una logica causa-effetto e una logica di matrice. Non guardare cioè ai sistemi agroambientali in termini solo orizzontali, ovvero in una dimensione, ma in tutte la loro complessità, ovvero anche verticale e obliquo, in tridimensionalità.
In pratica questo significa un cambio di approccio in molti campi, come la difesa fitoiatrica. La nuova direttiva sulla lotta integrata obbligatoria è un primo passo. Non vedere più solo la patologia, e il modo per combatterla, ma partire dalla pianta e dall'ambiente per fare in modo che la patologia sia il meno dannosa possibile. Creare cioè un equilibrio. Ovviamente si tratta di un equilibrio assolutamente instabile considerando che l'agrosistema è innaturale per definizione, essendo creato dall'uomo.
Questo vale in molti altri campi. Per molto tempo, ma anche qui gli esperti di marketing si stanno ricredendo, si pensava che bastasse abbassare il prezzo per vendere di più.
Un accenno soltanto al tema “pesticida”. Ovviamente l'uso non voleva essere in alcun modo denigratorio e degradante. Utilizzare il termine presidio fitosanitario o fitofarmaco sarebbe stato certamente più corretto, dal punto di vista tecnico. Ma dal punto di vista di impatto comunicazionale? Mentre sono sicuro che tutti conoscono il termine pesticida non sono altrettanto sicuro che conoscano il termine fitofarmaco. Anche la comunicazione ha le sue regole.
antonio checchi
07 settembre 2013 ore 18:12Territorio-agicoltura-sapere è una triade che trovo coerente.
Territorio-sapere-alimentazione non sono neccessariamente correlati fra loro. Faccio alcuni esempi:cosa ne può sapere un irlandese di territorio o di cultura culinaria quando mangia uno zampone? E la storia delle acciughe del mar Cantabrico? I polli di Bress? Oggi chi può racchiudere sapere e alimentazione? Credo nessuno. Allora riprendo il bellissimo commento di Minguzzi..... NOI, carissimo gliele dobbiamo dare, e per questo dobbiamo rivendicare il diritto di accedere ai punti critici lungo la filiera produttiva, mercato compreso; gli AGRONOMI
Francesco Donadini
07 settembre 2013 ore 16:10gentile Dr. Agr. Angelo Minguzzi, non sta a me rispondere, mi permetto solo di ringraziare il suo intervento perchè, come scrive: "la questione è seria e complessa"! E questo riconoscimento è importantissimo! Tutti dovrebbero affrontare il problema con questo spirito. Come altrettanto seria e complessa è la dimostrazione scientifica dell'entità degli effetti. La nostra scienza agricola ha molto peccato di delirio di onnipotenza, di certezze annunciate, chi è senza colpa lanci la prima certezza! Ritengo che sia necessario un nuovo modo interdisciplinare nello spirito di ricerca che sappia affrontarla con apertura, competenza, rispetto e soprattutto coscienza. L'Associazione cui aderisco (Accademia delle 5T) ha recentemente coniato uno slogan obiettivo: filiera COLTA, etichetta CORTA, km VERO, chimica ZERO, che ritengo possa aiutare questa riflessione, e concordo sull'uso scorretto della parola "pesticida". Grazie dell'attenzione, Francesco Donadini
angelo minguzzi
07 settembre 2013 ore 12:52caro collega,
non entro nel merito complessivo del tuo articolo, per mancanza di tempo, ora, e perché la questione è seria e complessa, ma mi permetto di sfiorare solo due punti:
1) io sono uno di quegli agronomi cresciuti nella logica del causa-effetto: ma alle lezioni di patologia vegetale, di entomologia e di fitoiatria non ho mai sentito la parola "pesticidi", bensì antiparassitari, anticrittogamici, presidi sanitari, fitofarmaci, senza poi scendere nello specifico dei vari -cidi (acaricidi, insetticidi, fungicidi, erbicidi, etc). Essendo cresciuto e campato così per tanto tempo, mi sono rifiutato di accodarmi a quanti, di origine e di cultura extragricola, hanno introdotto il pesticida nel loro linguaggio, con significato volutamente dispregiativo; oltretutto senza accorgersi della contraddizione semantica di fondo. Infatti, hanno italianizzato il termine inglese pesticide, ossia che uccide, combatte la pest, con cui si indicano, in modo generico, le avversità di varia natura biologica che colpiscono i vegetali, siano essi coltivati per scopo alimentare o altre finalità, e, direi io, anche non coltivati. Quindi, a rigor di logica, ciò che combatte i nemici delle nostre piante dovrebbe essere nostro amico: invece no, è diventatoil nostro nemico!
2) circa il battito d'ali della farfalla, va bene per rendere l'idea dell'interdipendenza tra le azioni umane o naturali, ma deve, contemporaneamente, essere accompagnato dalla conoscenza e dalla dimostrazione scientifica dell'entità di tali effetti. E questo deve essere il ruolo nostro, proprio degli agronomi, non tanto in quanto iscritti all'albo di un ordine provinciale ma nel significato più ampio di tecnici e studiosi agricoli e dell'ambiente che ci circonda, in grado di ospitare piante e animali. Quindi una soglia va fissata, oltre la quale le affermazioni diventano bufale, baggianate o falsità indimostrabili o più benevolmente impressioni o sensazioni o poesia
- in quanto ai nuovi approcci al mercato, accanto a serie e lodevoli e valide iniziative, con vantaggio reciproco per il binomio produttore-consumatore e con riflessi positivi di natura ambientale e sociale, occorre distinguere - quindi cercarli, individuarli e denunciarli e perseguirli- i casi, numerosi, di mistificazioni fino a vere e proprie truffe che si alimentano e si nascondono dietro parole come bio (logico o dinamico), filiera corta, km zero, farmers market, biodiversità, qualità nutritiva, impronta carbonica, etc etc
- e chi può fare questi chiarimenti e questa pulizia? I vigili annonari? i carabinieri del NAS? E con quali competenze tecniche e scientifiche? NOI, carissimo gliele dobbiamo dare, e per questo dobbiamo rivendicare il diritto di accedere ai punti critici lungo la filiera produttiva, mercato compreso; gli AGRONOMI
Angelo il gronomo.
Francesco Donadini
07 settembre 2013 ore 08:19complimenti, l'avrei voluto scrivere io! Purtroppo nessun nostro politico attuale ha questa necessaria visione! Stanno solo perdendo tempo e bruciando il futuro. Le auguro di essere la farfalla...
Francesco Donadini / Sapori d'Italia
Alberto Grimelli
10 settembre 2013 ore 09:16Gentile collega Minguzzi,
la ringrazio per la volontà di segnalare Teatro Naturale a una più amplia platea, così da poter aprire un dibattito su un tema cardine per il futuro della nostra professione ma anche del nostro Paese.
Le assicuro che, oltre al presente editoriale, non mancheranno le occasioni per ritornare sull'argomento, anche perchè, come ben comprende, le possibili varianti e interazioni sono potenzialmente infinite.
Vengo però al tema comunicazione, partendo proprio dalla polemica sulla parola “pesticida”.
Premesso che pesticida è una parola italiana, presente sui vocabolari e sull'Enciclopedia Treccani, a cui rimando per la definizione (http://www.treccani.it/enciclopedia/pesticida), è vero che è utilizzato spesso in toni denigrativi. Ho già avuto modo di dichiarare che non era mia intenzione utilizzarlo in tali termini.
Quando comunichiamo dobbiamo però farlo cercando di trasferire il messaggio in maniera che il nostro interlocutore ci comprenda. Questo significa che, nella mia zona, con i contadini dovrò parlare di “veleno”, non di fitofarmaco, termine che potrò utilizzare parlando con un altro professionista. Rivolgendosi questo editoriale a un ampio pubblico, che va dai tecnici ai semplici appassionati, ho utilizzato un termine che credevo il più abbordabile alla platea di riferimento. Un termine che, dal punto di vista tecnico è discutibile, ma che, dal punto di vista comunicazionale è persino consigliabile perchè di più ampia e immediata comprensione della parola, molto settoriale, fitofarmaco.
L'utilizzo dei termini, quindi, è questione di target. Non è un caso, non so se l'ha notato, che l'articolo sulla mosca delle olive (http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/17664-la-partita-contro-la-mosca-delle-olive-non-e-solo-questione-di-fitofarmaci.htm) destinato a un pubblico di addetti ai lavori riporta, nel titolo, la parola fitofarmaco.
Questo intendevo quando dicevo che la comunicazione ha le sue regole.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli