Editoriali
La Spagna demolisce l'Italia utilizzando i nostri marchi
15 giugno 2013 | Duccio Morozzo della Rocca
Screditare l’immagine italiana di produttore leader di extra vergine di qualità sembra essere da alcuni tempi la principale e più comune strategia di molti dei nostri competitors.
L’argomentazione più ricorrente che rimbalza sui mercati internazionali è sempre quella degli italiani che vendono olio spagnolo con nome italiano guadagnando a scapito dei cugini iberici e beffando i consumatori. Gran parte degli spagnoli che si incontrano nei mercati internazionali ripetono questa cantilena a garanzia della loro maggiore credibilità, per altro tutta da provare.
Certo è che l’olio sfuso si muove molto e gira il mondo prima di trovare posto in bottiglia: questo succede in Italia e in Spagna fino ad arrivare negli Stati Uniti o in Giappone o in Australia.
Anche in questo, tutto il mondo è paese. D’altronde chi ha conquistato spazi di mercato compra per rivendere quello di cui ha bisogno. Anche per fare questo ci vuole però grande abilità.
Tant’è che la Spagna è stata costretta a comprare grandi marchi italiani per vendere il proprio olio per il quale non riusciva a trovare un posizionamento soddisfacente in molti mercati esteri. Ha comprato non solo dei brand ma decenni di marketing e azioni commerciali insieme anche al know how dei professionisti che lavoravano dentro le aziende. Comunque la possiamo pensare a riguardo dell’industria olearia è stato davvero un peccato perderle.
Ma la nostra attenzione dovrebbe focalizzarsi sul fatto che questa operazione di demolizione dell’immagine dell’Italia come produttore leader nella qualità non sta toccando significativamente gli imbottigliatori italiani –obiettivo principale degli attacchi- che comunque riescono a parare i colpi con politiche e strategie di prezzi e di marketing.
Quello che è a mio avviso più preoccupante sono invece le ripercussioni di queste campagne di diffamazione tout court sui produttori di alta qualità italiana, le nostre piccole e medie aziende e i molti abili frantoi che a causa delle dimensioni e delle scarse risorse non possono o non riescono a comunicare e far sentire la propria voce a livello nazionale, figuriamoci a livello internazionale: queste realtà subiscono attacchi non direttamente rivolti a loro ma che li danneggiano pesantemente e contro i quali possono ben poco.
È in questo spazio vuoto che dovrebbe intervenire con decisione lo stato o chi per lui con una sana politica di comunicazione internazionale a salvaguardia di una eccellenza unica al mondo, quella dei nostri produttori di olio extra vergine di altissima qualità.
Dobbiamo spiegare ai consumatori perchè il nostro prodotto è unico, perchè costa di più e perchè vale la pena comprarlo: la scorta di fama accumulata dal made in Italy nei decenni precedenti si sta rapidamente esaurendo e non si può più pensare a vivere di rendita ancora per molto tempo. Per fare questo servono dei tecnici professionisti dell’olio di oliva che insieme a professionisti di marketing organizzino azioni vere e incisive di promozione nazionale e internazionale dedicate ai “piccoli dell’alta qualità”.
Per fare questo non serve spendere tanto, serve investire bene e subito.
Prego astenersi pasticcioni di turno.
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20 giugno 2013 ore 19:04Sign. Leonardo, l'unico modo per essere certi che dentro una bottiglia ci sia un olio monoverietale e solo quello è l'analisi del DNA, precisa e efficace per oltre 200 varietà di oliva ben catalogate geneticamente. Costo dell'analisi, sempre presso il CNR è di circa 300 euro. Unico problema, non è ufficiale. Che scherziamo? Per una volta che ci si ritrova davanti a un’ analisi che risolverebbe molti problemi e dubbi sull’origine varietale, la vogliamo rendere ufficiale? Che non sia mai !!!!! Non esiste panel che puo’ dare la certezza della costituzione varietale o dell’origine di un olio. Con questo non voglio sminuire il gran bel lavoro svolto dall’ASSAM Marche, anzi, quest’ultima ne beneficerebbe moltissimo della metodica del DNA, per raggiungere sempre piu’ alti livelli di conoscenza dei profumi e dei sapori degli oli monovarietali.Un buon panel ti puo' dare la certezza del livello qualitativo di un olio, per il resto ci si puo' solo avvicinare, quando va bene.
Duccio Morozzo
19 giugno 2013 ore 21:07Gentilissimo Leonardo,
sono d'accordissimo, recuperare il rapporto con i consumatori locali e italiani in genere è fondamentale. Ma come è possibile escludere l'export? un ritorno all'autarchia in un mondo cosi' connesso e globale mi sembra fuori dal tempo. Per di più ho sempre trovato il mercato internazionale più interessato all'alta qualità italiana e disposto anche a pagare di più rispetto a quello italiano.
I monovarietali sono fantastici come anche l'Assam e le persone che ci lavorano. Ma i monovaretali sono, a mio avviso, una caratterizzazione da aggiungere a qualcosa di più grande: una idea, come suggeriscono i frantoiani, porebbe esere un "olio arigianale italiano". Abbiamo bisogno di qualcosa che possa unirci tutti sotto l'ombrello dell'alta qualità italiana.
Come faranno altrimenti i toscani, i laziali o gli olivicoltori di molte altre regioni italiane che hanno oliveti storici con le varietà completamente mischiate? Il loro olio, per quanto eccellente, sarebbe tagliato fuori. A meno che non si raccolga a macchia di leopardo facendo levitare i costi di produzione ancora di più. O dovrebbero forse espiantare e ripiantare?
E perchè mai quei bravissimi olivicoltori o frantoiani maestri nel creare dei blend personali e intriganti che conquistano con i profumi e i sapori l'Italia e il mondo dovrebbero smettere o essere dequalificati perchè rei di miscelare diverse varietà?
A me sinceramente indicare i monovarietali come soluzione alle frodi e prova di genuina italianità sembra castrare il potenziale italiano. Con questo non voglio certo sminuire il fascino e l'importanza dei monovarietali!
Esiste una banca dati, ok. Ma non dimentichiamo che molte nostre cultivar piantate all'estero hanno spessissimo i sapori di casa nostra. Chi ci potrebbe davvero tutelare da eventuali frodi? La banca dati?
La particolarità del nostro olio di qualità sta secondo me da un altra parte, per esempio: altri paesi potrebbero impiantare Bosana e fare un buon olio monocultivar ma nessuno al mondo potrà avere contemporaneamente il territorio sardo, le varietà, i sardi, la passione sarda. È per questo l’olio che tu produci è un prodotto inimitabile, speciale e unico.
L'insieme peculiare di questi diversi elementi è il vero valore aggiunto al prodotto, il fatto che sia monovarietale è a mio avviso una caratterizzazione positiva ulteriore che si può scegliere di usare.
Io preferirei un sistema basato sulla buona fede degli olivicoltori ma supportato da sanzioni esemplari per gli eventuali furbetti. Un sistema aperto a tutti e a tutti i tipi di blend che sia uno strumento che rafforzi l'identità nazionale dei nostri prodotti che sono fatti di varietà, arte di fare olio, territorio, gusto, creatività, persone e sogni. Perchè escludere alcuni di questi aspetti così importanti?
Cordialmente
Duccio Morozzo
leonardo delogu
19 giugno 2013 ore 11:48Gentilissimo Duccio,
devo dire che condivido pienamente tutte le considerazioni del collega olivicoltore Raffaele Giannone.
Sarò considerato un po’ estremista, ma sono convinto che l’olio Italiano, quello del produttore, di alta qualità, dovremo venderlo in casa nostra. Perché svenderlo e svilirlo per il mondo, sottocosto, giusto per arricchire buyers, importatori ed intermediari? Per fare questo bisogna partire dal nome: perché non Olio Extravergine di Oliva Monovarietale Italiano? Il produttore ci mette la faccia, quindi l’identità ed il territorio.
Esiste una banca dati sui profili sensoriali di centinaia di oli monovarietali presso il Cnr, costituita negli ultimi 10 anni con il prezioso lavoro dell’Assam delle Marche attraverso la Rassegna Nazionale degli Oli Monovarietali. Perché non attingere a quei dati per identificare inequivocabilmente la tipicità dell’olio Italiano?
Su questo discorso si può intraprendere una vera strategia di comunicazione corretta, scientifica e mirata al consumatore Italiano, che per primo deve apprezzarne l’identità.
Cordialmente,
Leonardo Delogu.
Duccio Morozzo
18 giugno 2013 ore 21:38Gentile Raffaele Giannone,
lei apre troppe finestre! Alcune visioni le condivido, altre meno. Non ho commentato le sue riflessioni perchè non avevano attinenza con l'argomento dell'articolo. le sue osservazioni in merito ai numeri sono comunque interessanti e generalmente condivisibili.
Le tonnellate di olio che lei cita sono per lo più legate all'industria mentre il mio articolo era rivolto a spronare quei piccoli e medi produttori che onestamente producono oli di alta qualità italiana.
come lei ha giustamente scritto, non siamo qui per "diffamare"(l'industria) ma per contribuire a costruire il futuro del prodotto italiano di qualità.
Per lavoro mi occupo da diversi anni di produzione di olio in tutto il mondo. Lavoro esclusivamente con l'alta qualità e con produttori di grande etica e onesta perchè così ho scelto e così mi piace. In questi giri incontro molti tipi di persone: giornalisti, agricoltori, imprenditori, compratori (se preferisce alla parola "buyer")consumatori. Mi capita di ascoltare di tutto e negli ultimi anni comincio a preoccuparmi per le campagne anti olio italiano che stanno girando. Questo cerco di comunicare per mettere in guardia in maniera costruttiva cercando di spronare i produttori italiani a fare un passo avanti. Molti personaggi discutibili di molti paesi cercano di confondere le acque spiegando e scrivendo ai consumatori che l'olio italiano è tutto una frode perchè di pessima qualità e non realmente italiano. In parte queste affermazioni possono anche essere vera ma a perderci alla fine sono più i piccoli produttori che i grandi industriali. Perchè queste parole sono distruttive per l'olio italiano in genere.
Per poter difendere il lavoro, la cultura e il merito sarebbe opportuno spiegare e rendere chiara la differenza ai consumatori (soprattutto stranieri) tra un olio convenzionale e l'alta qualità dei piccoli e medi produttori italiani. In questo momento in molti paesi c'è invece il vuoto.
Per fare questo una possibilità potrebbe essere quella di creare un marchio ombrello che possa racchiudere, rappresentare, comunicare e supportare i produttori italiani dal Trantino alla Sicilia in Italia e nel mondo.
Lei dice di non conoscere produttori che "apoditticamente promuovono il proprio olio come migliore del mondo" però vuole che i buyers si adattino a lei: perchè dovrebbero adattarsi a lei senza proferir parola, ha forse l'olio più buono del mondo?
Una "massima" mi sembra più lo spirito con cui si affronta qualcosa, non una strategia. "Mors tua vita mea" non penso si possa definire una strategia bensì una lettura di alcuni avvenimenti della vita.
Vorrei chiarire che io non sono paladino dell'industria. ma non sono nemmeno un "negazionista". ma lei pensa davvero che l'olio italiano avrebbe goduto della stessa fama internazionale che oggi ha senza il lavoro svolto dagli industriali dell'olio durante tutto il Novecento? Bè, credo semplicemente che sia un peccato regalare ad altri un pezzo importante della nostra storia.
Invece di considerare i "buyers", come li chiamo stranamente io insieme più o meno a tutti gli altri abitanti di questo pianeta, "un male necessario" (non vorrà mica "disprezzare" l'intera categoria!) provi a comunicare con loro. sono persone normali, con pregi e debolezze comuni a tutti gli altri, che cercano di fare bene il proprio lavoro. e che cercano spesso anche di capire un mondo complicato come quello dell'olio di oliva pur venendo da paesi senza familiarità con il prodotto. Le assicuro che spesso imparano a conoscere le qualità dell'olio extra vergine molto meglio di molti nostri connazionali.
Si adatteranno a lei, se lei li saprà convincere con i suoi prodotti e con le sue argomentazioni. Ma perchè non trovare maggiore forza in un progetto comune di marketing e comunicazione rivolto sia a livello nazionale che internazionale?
La meta è il successo dell'alta qualità italiana, su questo siamo d'accordo. ma se non riusciremo a comunicarla in maniera semplice, seria e accattivante questa superba qualità ce la troveremo tutta stoccata in magazzino. Per questa ragione, vedo essenziale una strategia condivisa.
Un cordiale saluto
Duccio Morozzo
Raffaele Giannone
18 giugno 2013 ore 12:27Egregio Duccio Morozzo,
uno dei problemi del nostro mondo non è tanto il deficit di comunicazioni, ormai fin troppo sofisticate, quanto quello della comprensione.
Aggiunga che è già difficile capirsi parlandosi dal vivo, figuriamoci attraverso siti web.
Io forse non avrò colto il senso profondo del suo articolo e, per quanto serva, me ne scuso, ma anche lei mi pare non abbia recepito e valutato il mio.
Il suo assordante silenzio sulla essenziale questione numerica di tonnellate importate ed esportate, da me prospettato sia pure in maniera pedestre, appare emblematico di quanto noi italiani si debba fare ordine in casa nostra, prima di additare altri ( leggi spagnoli) di "espansionismo" commerciale .
Lei rimpiange i perduti marchi italici, io no; lei usa l'impegnativo termine "diffamazione", io no; lei conosce gente che apoditticamente promuove il suo olio come "il migliore del mondo", io no, è lei infine che pensa che una massima sia cosa diversa da una strategia, io no, io penso che sia, semmai, proprio la rappresentazione lessicale di una strategia.
Se pecco è per eccesso di passionalità e combattività, mai per piangermi addosso o per sterili lementele, perchè so che l'olio d'oliva non è frutto di chiacchiere, ma di costante, consapevole e umile lavoro.
I buyers, come li chiama lei, li considero, sbagliando, una "male necessario", nutrendo ancora l'utopia che debbano essere loro ad adattarsi a noi produttori (piccoli o grandi, singoli o associati)e non viceversa.
Consapevoli che, a nostra volta, anche noi produttori non siamo i padroni del vapore, ma che dobbiamo rispettare, adattandoci, i vari cicli della natura, del clima, dei siti, dell'agronomia e della scienza.
Questo non è andare in giro a caso, quali asini nel rumoroso mercato delle vanità e dei fatturati, ma avere ben chiara e mirata la meta dell'alta qualità, unica vera ancora di salvezza per l'olivicoltura italiana.
Con stima.
Raffaele Giannone, olivicoltore molisano
Duccio Morozzo
18 giugno 2013 ore 09:53Gentile Raffaele Giannone,
credo abbia frainteso il senso dell'editoriale. xenofobia? protettivismo? ma dove li ha visti??? mi dispiace che abbia recepito questo da un articolo che parte invece da una analsi di cosa succede fuori dalle nostre 4 mura e arriva alla conclusione che l'Italia debba trovare coesione tra produttori per poter presentare un messaggio chiaro sul mercato internazionale: esiste ancora un olio di eccelenza in Italia.
Non pensa serva un marketing adeguato? o pensa che i piccoli produttori possano pensarci da soli? Sento spesso molti dei nostri produttori che quando incontrano buyer internazionali come argomentazione alla vendita dicono "scelga il mio olio perchè è il più buono del mondo, come lo facciamo noi non lo fa nessuno". Ecco, per me questo è "antico". I buyer non ne possono più di sentirsi dire sempre queste stesse cose. non sono più interessati perche lo dicono tutti. Vogliamo spiegare perchè il nostro olio è speciale? abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio per comunicare la nostra tradizione, il territorio ecc. Lavorando su ciò che vogliamo comunicare e come lo vogliamo comunicare, capiremo meglio anche noi la nostra tradizione rafforzandola.
Gli spagnoli fanno il loro lavoro e l'industria (italiana e estera) fa il suo lavoro. Seguono una strategia, come gli "antichi" che lei cita che non solo coniarono massime ma furono eccellenti strateghi. Perchè senza una strategia e una regia non si può neanche lontanamente pensare di presentarsi sul campo di battaglia (chiaramente commerciale). A meno che non si cerchi la disfatta!
E dunque io me la prendo con "noi stessi", come dice lei, ma senza lamentarmi. Se ho riportato notizie di cosa succede nei mercati internazionali non è per accusare "gli altri", (non mi interessae non lo faccio, preferisco lavorare senza lamentarmi) ma per mettere in allerta i bravi produttori. Per confrontarsi con il mercato bisogna conoscerlo e capirlo.
Per ottenere risultati nell'interpretazione dei mercati e nella crezione di strategie del paese servono professionisti svincolati dall'associazionismo. Questo ho scritto nel mio editoriale.
Oppure si può continuare ad andare in giro a caso, senza strategie e linee guida, a lamentarsi di non essere capiti dal mercato. Anche questa è una opzione, ci sarà però bisogno di molta e costante fortuna!
Cordiali saluti
Duccio Morozzo
Raffaele Giannone
17 giugno 2013 ore 19:31MORS TUA, VITA MEA
Condivido la sofferta analisi di Leonardo Delogu, un pò meno la sorpresa di Duccio Morozzo di fronte al secolare cinismo di chi punta solo al profitto commerciale.
Se gli antichi coniarono questa massima,un motivo ci sarà.
Gli spagnoli fanno i loro interessi, esattamente come li fanno i "reduci" dell'industria olearia italiana.
Provate a seguirmi anche se sbaglierò a dare i numeri, ma a grandi linee in Italia si estraggono mediamente 400-500 mila t di olio d'oliva (badate non TUTTO extravergine, anzi..), si importano mediamente 600 mila t, e se ne esportano 400 mila t.
Poiché il popolo italico ammonta a 60.000 di persone con un consumo medio pro-capite di circa 12 kg, il consumo INTERNO ANNUO si aggira sulle 720 mila t.
Ora si valuti:
- o consumiamo tutto l'olio italico e buona parte di quello importato, conseguenza l'esportato è TUTTO straniero;
- o consumiamo parte dell'olio italico. esportando minime quantità effettivamente italiche e il resto straniero, ma, in compenso (!!) consumiamo NOI l'olio straniero residuo;
- o (molto improbabile) consumiamo NOI tutto olio straniero (600 mila t/anno), esportando tutto l'olio italico (che non è TUTTO estravergine!) e COMUNQUE parte di olio straniero, "italianizzato in bottiglia".
Alla fine della fiera...per migliorare il mondo bisogna prima di tutto partire da se stessi e non prendersela con l'ineffabile Stato..o con gli spagnoli...
Forse non accade lo stesso con il tessile che ha marchi ancora italiani (fino a quando??) ma la dicituta "made in PRC"??
Forse il made in Italy perde colpi non per colpa degli altri, ma perchè non è più frutto della tradizione, dell'artigianato e della storia industriale italiana?
Starei molto attento a facili xenofobie o protettivismi, quando quello che si sta perdendo è l'effettiva tipicità, peculiarità e, oserei dire, unicità che finora ha contraddistinto la nostra penisola nei secoli e nel globo.
Raffaele Giannone, olivicoltore molisano
Duccio Morozzo
17 giugno 2013 ore 09:40Ciao Leonardo, non me la prenderei tanto con l'industria che ha fatto il suo lavoro quanto con le associazioni di categoria dei produttori che per anni hanno intrapreso iniziative costosissime a risultati zero per gli olivicoltori, senza alcuna progettualità a lungo termine. Il problema è che i "tecnici" incaricati troppo spesso (è il problema principale dell'Italia) vengono scelti non per esperienza e competenza. Abbiamo perso anni preziosi a causa di queste politiche mordi e fuggi che hanno lasciato poche tracce di sè. Ma attenzione,solo con un buon marketing e buoni tecnici si può dare corpo a una idea di promozione e comunicazione di un prodotto superiore. l'eccellenza italiana deve trovare casa in un solo nome e questo nome deve essere promosso da tutte quelle realtà, per quanto piccole, che producono altissima qualità. Dobbiamo pensare a queste iniziative come se fossimo una grande impresa che deve posizionarsi sul vasto mercato internazionale con i propri prodotti, ripensare la comunicazione, l'approccio, la sostanza, la strategia.
Per quanto riguarda il nome dobbiamo usare particolare attenzione: ricordiamoci che la cosa più importante è farci capire in tutto il mondo.
Cordiali saluti, Duccio Morozzo
leonardo delogu
15 giugno 2013 ore 19:22Quando sento dire che abbiamo bisogno di altri tecnici dell’olio o anche di professionisti del marketing mi vengono i brividi. Ne abbiamo già abbastanza, e sono anche tanti. Troppi oggi guadagnano dal lavoro agricolo e tra questi non ci sono i veri agricoltori, quelli che, per intenderci, creano ricchezza dal proprio lavoro e che nel corso degli anni hanno soltanto subìto il peso dell’industria dell’olio, insieme ad una politica agricola scellerata che ci ha portati ad una situazione così esattamente esposta nell’articolo e che condivido pienamente. Se vogliamo veramente salvaguardare queste nostre “eccellenze uniche al mondo” e veramente vogliamo dare il giusto riconoscimento a chi può dare la giusta identità al vero olio Italiano, io credo che il rimedio debba essere molto drastico. L’Olio Extravergine di Oliva,ormai "squalificato",continuiamo a lasciarlo vendere agli industriali dell’olio, i “piccoli dell’alta qualità” meritano di vendere il loro prodotto dietro una categoria commerciale che vada oltre l’extravergine: Monovarietale, Genuino, Tradizionale, di Eccellenza e così via. Quando avremo veramente ed inequivocabilmente individuato il Nome e fissato le caratteristiche del vero Olio Italiano e di alta qualità, che i nostri veri agricoltori sono capaci di produrre, allora ben vengano la promozione ed il marketing…
Cordiali saluti, Leonardo Delogu.
leonardo delogu
24 giugno 2013 ore 20:13Gentilissimo Sig. Giovanni, le sono grato, lei rafforza le mie convinzioni e va oltre! Allora perché tutti insieme non ci battiamo per rendere ufficiale una metodologia che identifichi inequivocabilmente i nostri Oli Monovarietali Italiani? Quella del DNA potrebbe essere una buona strada.
Niente vieta in seguito, e mi rivolgo a Duccio, di preparare dei blend di monovarietali, comunque di origine certa, per venire incontro anche al gusto di alcuni consumatori.
Saluti a tutti.
Leonardo Delogu.