Editoriali
Il mondo dell'olio d'oliva è masochista. Ora ne ho le prove
01 giugno 2013 | Alberto Grimelli
Personalmente ho sempre trovato un altissimo tasso di masochismo tra olivicoltori e frantoiani. Chiecchericcio e pettegolezzo fino all'autolesionismo, fino alla denigrazione del vicino di casa o peggio dell'intero territorio. Un individualismo spinto talmente all'accesso da risultare, appunto, masochistico.
Proprio mentre, tra i produttori, qualcosa sta lentamente cambiando. Proprio mentre i valori di collaborazione e solidarietà sembrano cominciare a radicarsi, per colpa o per merito della crisi, ecco che la parte che ho sempre reputato più pragmatica e razionale della filiera, ovvero l'industria olearia, dà un colpo di sterzo e decide di imboccare una strada, quella della standardizzazione, da cui stanno fuggendo tutti, ma proprio tutti, persino Mc Donald's.
“In passato siamo stati descritti come la quintessenza della standardizzazione internazionale - ha spiegato l'amministratore delegato di Mc Donald's Itali, Roberto Masi - adesso vogliamo invece avvicinarci ai gusti, ai sapori e alle abitudini italiane. Lo facciamo in molti dei Paesi in cui siamo presenti ma in Italia ci crediamo di più perché abbiamo la fortuna di poter dialogare con l'eccellenza dell'industria agro-alimentare”.
Un caso? Nient'affatto, negli stessi giorni Assodistil, l'associazione legata a Confindustria che raggruppa le aziende della distillazione, ha lanciato un monito contro l'Unione europea: no al declassamento e allo snaturamento del vero brandy. “Si tratta di uno dei più antichi distillati del mondo, da sempre prodotto con il vino – ha dichiarato il presidente Assodistil Emaldi – cambiarne la definizione significherebbe snaturarlo del tutto. Ecco perché, di concerto con gli altri Paesi produttori, ci batteremo per mantenere inalterata la normativa vigente per garantire l’alta qualità del prodotto, anche nell’interesse della filiera viticola”.
Mentre Mc Donald's difende la tipicità, addirittura l'italianità, e Assodistil fa le barricate per difendere la tradizione del vero brandy, Deoleo, qualche settimana fa, decide di buttare a mare la definizione di extra vergine d'oliva, di crearne una nuova, svincolata dai rigidi dettami europei per venire incontro, prostrandosi, ai nuovi consumatori dei mercati emergenti.
Ma come, abbiamo la fortuna di avere un prodotto che è ancorato alla tradizione e che, alla meno peggio, siamo riusciti a difendere sul fronte qualitativo e proprio quando c'è da capitalizzare, ponendosi alla testa del nuovo movimento agroindustriale della qualità e tipicità, il mondo dell'olio decide di fare retromarcia? Addirittura un'inversione a U?
Davvero non capisco.
Perchè al mondo dell'olio d'oliva piace così tanto farsi del male da solo?
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Accedi o RegistratiAlberto Grimelli
04 giugno 2013 ore 12:49Gentile Breccolenti e Giannone,
se l'editoriale ha suscitato queste reazioni vuol dire che ha colpito nel segno e ha fatto riflettere.
Al di là delle volutamente provocatorie espressioni utilizzate è chiaro che occorre che l'olio extra vergine d'oliva abbia una chiara identità.
Cos'è? Un semplice olio vegetale? Un condimento? Un alimento? Un piacere? Un cibo che rappresenta anche storia e tradizione?
Al di là delle espressioni in burocratese delle norme credo che la definizione di olio extra vergine d'oliva di quella che, per convenzione, chiamiamo l'industria olearia e del mondo della produzione non sia affatto coincidente.
Mi chiedo però perchè, con meritoria trasparenza, Deoleo, che rappresenta una bella fetta dell'industria olearia mondiale, abbia deciso di uscire allo scoperto in controtendenza rispetto agli orientamenti dei pari colossi internazionali, come Mc Donald's.
Non c'è solo Mc Donald's a cercare di darsi un tono e un tocco di “autenticità”, “tradizionalità” e “tipicità”. Basta guardare la pubblicità Barilla-Mulino Bianco per rendersene conto. Che si tratti di reale volontà o solo marketing lascio ai lettori giudicare.
Mi limito a osservare che le diatribe e le discussioni che, inevitabilmente, si aprono nel mondo oleario sono in controtendenza rispetto a quelle di altri comparti agroalimentari.
Proprio mentre si cerca di esaltare, in qualche modo, il gusto e i sapori (vedi di nuovo pubblicità Barilla-Mulino Bianco), il mondo oleario discute, su proposta di una parte, dell'abolizione del panel test.
Tutto questo merita una riflessione più approfondita e qualche sondaggio ulteriore.
Buona lettura
Alberto Grimelli
Raffaele Giannone
04 giugno 2013 ore 11:03Gentilissimo dr. Grimelli,
leggo sempre con attenzione ed ammirazione i suoi preziosi contributi su TN e provo a colmare le mie tante lacune conoscitive in fatto di olio d'oliva e relativi progressi agronomici.
Su alcuni aspetti di carattere generale, però, ho la presunzione di poter dire la mia, anche se olivicoltore/frantoiano dilettante (non della domenica!) nel senso più puro del termine.
Lei usa, avvedutamente, la parola "masochista", nota evocazione di un stato di forte malessere o disagio psico-somatico, forse più per sollecitare il mondo olivicolo, che per mortificarlo.
Ma a ben vedere ce l'ha, giustamente, con l'industria olearia (che già di per sè è una contraddizione in termini industria=prodotto, olio=estrazione) e torna sul caso Deoleo, ovvero sull'appiattimento strategico dalla stessa perseguito.
Certo, portare ad esempio di virtù Mc Donand's, se non fosse per la simpatia che nutro per lei, sarebe da definire quantomeno ...improvvido!
Ha mai provato a "degustare" un "tipico panino mediterraneo" di McD?
Forse è meno "standardizzante" propinare 10.000 "fagotti alla sorrentina", tutti uguali e tutti perfetti, piuttosto che 10.000 Big Mc?
Cosa fa di tanto diverso e censurabile Deoleo rispetto agli altri?
Preciso che nella sostanza CONCORDO pienamente con la sua tesi, ovvero sulla necessità di battersi per la qualità, la tipicità, la biodiversità.
Forse si dovrebbero mettere più a fuoco le vere FINALITA' (legittime) della grande distribuzione/produzione: garantire un prodotto omogeneo e omogeneizzante(questo sì che è un prodotto!!) sui banchi dei centri commerciali, fare prezzo, fare PROFITTO, costi quel che costi.
Ai produttori resta aperto l'altro e diverso fronte di condurre le proprie aziende in modo sostenibile, rispettando paesaggio e qualità, cultura gastronomica e tradizioni, magari traendoci anche un dignitoso ritorno economico.
Buon lavoro a tutti.
Raffaele Giannone
giovanni breccolenti
01 giugno 2013 ore 08:45Alberto, è vero che la ditta in questione è un colosso, ma non generalizziamo, una "parte del mondo dell'olio", casomai, è come l'hai definita tu.
lamberto cano
04 giugno 2013 ore 16:38faccio di tutto per fare un prodotto sano,che faccia bene,che sia buono,e poi vengo a leggere questi editoriali e mi viene da........boh!(e ci guadagnassi!)