Editoriali

Da A come Aggregazione ad R come Reddito

25 maggio 2013 | Pasquale Di Lena

L’agricoltura ha bisogno, oggi più che mai, di protagonisti forti e capaci per superare gli ostacoli culturali e politici che l’hanno relegata a un ruolo di sopportazione e non di opportunità di programmazione e sviluppo Si tratta di riportarla al centro dell’economia e ridare ad essa il ruolo di volano in un rapporto stretto con il valore della sostenibilità e della salvaguardia del territorio.

Nell’insieme questioni di grande attualità che, se affrontate per essere risolte, potrebbero illuminare quei “saggi”, che, ostinandosi a percorrere la strada che ha portato l’economia – e prima ancora l’agricoltura - sull’orlo del baratro, fanno intendere che non hanno capito che il sistema è giunto al capolinea. Non hanno capito, in pratica, che è quanto mai urgente aprire nuovi percorsi ricchi di traguardi importanti e che portano lontano importanti per il cammino delle nuove generazioni verso il futuro di cui hanno diritto.

Traguardi possibili da raggiungere se questa riconquistata centralità dell’agricoltura, ripeto, trova i suoi protagonisti impegnati nei diversi comparti produttivi, uniti, pronti ad affrontare le profonde trasformazioni, avvenute negli anni a cavallo del secolo appena passato e di quello che stiamo vivendo, soprattutto sulla spinta di un mercato sempre più globale e sempre più difficile da interpretare.

Dotare questi protagonisti di strumenti e, soprattutto, di opportunità per costruire con gli altri soggetti che delle filiere agroalimentari un confronto avvalendosi del dialogo ed esprimendo, più che la solidarietà, il valore della reciprocità, cioè del dare e dell’avere, proprio del mondo agricolo nel corso di millenni.

Opportunità che solo la professionalità nel campo della produzione, della trasformazione e del marketing, riesce a dare, come dimostrano del resto tanti esempi di associazioni, cooperative e consorzi che hanno saputo adeguarsi alle trasformazioni e, fondamentalmente, spogliarsi delle camice di forza di rappresentanze inadeguate e perdenti per il mondo agricolo.

L’obiettivo non è assicurare chi ha bisogno di queste rappresentanze per il proprio potere contrattuale e politico, ma di produrre per avere un reddito e, con l’offerta della qualità, quel valore aggiunto che serve a investire in innovazioni e pubbliche relazioni; a liberarsi dai bisogni indotti dal sottogoverno dominante nei decenni passati e tutt’ora praticato a svantaggio solo dei produttori.

In questo senso sperimentare forme nuove di “aggregazione”, anche temporanee, per sperimentare nuovi percorsi e dare esempi utili al raggiungimento dell’obiettivo principale che è quello del confronto tra i diversi soggetti sulla base della reciprocità e delle pari opportunità.

Penso al mondo dell’olio con gli olivicoltori, singoli ed associati, nelle mani dei trasformatori e, soprattutto, trasformatori-commercianti, con le strutture cooperative (la gran parte) serbatoi di olio per questi operatori che sono i veri protagonisti della filiera.

Credo che bisogna lavorare per mettere insieme gli olivicoltori e guidarli per la produzione delle migliori olive, le strutture cooperative di trasformazione e/o di privati per la produzione del migliore olio e mettere a loro disposizione, o avvalersi, di professionalità nel campo del marketing, cioè capaci di promuovere e valorizzare e commercializzare l‘olio prodotto.

In questo senso tempo fa avevo ideato e progettato, nel mio piccolo Molise, un’associazione che, partendo dai produttori di olio, doveva “aggregare” anche produttori di altri comparti e altri settori, per sfruttare al meglio il dialogo e il valore della reciprocità.

Un progetto per ora solo rinviato, che, però, serve per “aggregare” oliveti; biodiversità; territori; professionalità diverse, ma l’una funzionale alle altre; produrre qualità e dare ad essa l’immagine e il valore che merita; superare le situazioni di soggezione che, nel tempo, sono diventate dipendenza, e, così, elemento di divisione e squilibrio, che il nostro Paese ha pagato e continua a pagare a caro prezzo.

Serve, oltretutto, a capire che le divisioni rendono più deboli tutti nel momento in cui non portano ad esprimere le potenzialità che l’olivicoltura italiana con le sue peculiarità mette a disposizione di tutti i protagonisti della filiera.

Un discorso che vale anche per tutte le altre produzioni, soprattutto quelle a indicazione geografiche che, personalmente, ritengo poco valorizzate proprio da chi ne ricaverebbe i maggiori vantaggi. Ma questo è un altro discorso che merita di essere sviluppato e affrontato all’interno di quella strategia di marketing che manca all’agricoltura italiana e questo vuoto è pagato a caro prezzo dai produttori.

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