Editoriali
Nuova parola d'ordine: aggregazione
04 maggio 2013 | Alberto Grimelli
C'era una volta la “sostenibilità”. Poi venne di moda l'espressione “fare sistema” che oggi si è evoluta in “aggregazione”.
Slogan buono per tutti.
Uno dei problemi dell'agricoltura italiana è quello della frammentazione? Allora la soluzione non può che essere l'aggregazione.
Quando però si vuole cercare di risolvere i problemi solo con il lessico capita sovente che le questioni rimangano sul tappeto, assolutamente inevase.
Non vorrei che capitasse anche stavolta, anche perchè la definizione di aggregazione, raggruppamento di elementi distinti, portata in agricoltura, significa tutto e niente.
Non esiste un'unica ricetta per perseguire lo scopo né una sola politica ma almeno tre, guarda caso quante sono le associazioni di categoria.
Vi è Confagricoltura per cui aggregazione significa creare aziende di dimensioni più grandi, per arrivare a superfici agricole in linea con la media Ue. In questo caso gli strumenti da utilizzare, in parte già in campo, sono sovvenzioni alla riunificazione fondiaria e incentivi alla fusione tra imprese.
Vi è la Confederazione italiana agricoltori per cui aggregazione significa, per lo più associazionismo e cooperativismo. Anche in questo caso gli strumenti esistono: le cooperative agricole e le organizzazioni di produttori che, da qualche anno, si possono anche occupare di commercializzazione.
Vi è infine la Coldiretti per cui aggregazione significa essenzialmente la creazione di marchi e filiere organizzate. Gli strumenti per attuare queste politiche sono certamente più recenti e hanno permesso la creazione di marchi, agganciati a processi di certificazione, e ad accordi quadro con l'industria agroalimentare e la GDO.
Di aggregazione, insomma, non ce n'è solo una ma almeno tre, che si intrecciano e si fondono a seconda di convenienze e interessi.
Non vorrei però apparire il solito cinico che fa sembrare che le politiche sindacali agricole si muovano unicamente in ragione dei fondi disponibili.
In realtà rispondono anche alla storia di ciascuna delle organizzazioni, storia che ne ha condizionato la nascita e lo sviluppo. Confagricoltura è sempre stata più vicina al latifondismo e alla grande proprietà terriera, e ancor oggi parte della sua dirigenza proviene dalla scuola di Confindustria. La Confederazione italiana agricoltori, espressione, alle origini, dei mezzadri e dei contadini, vide nelle coop lo strumento di unificazione e difesa degli interessi dei braccianti e dei piccoli agricoltori. La Coldiretti, invece, ha sempre visto nella dimensione e nell'impresa a conduzione familiare il cuore pulsante dell'Italia agricola.
Credo, però, che occorra un passo indietro.
Cosa ha veramente bisogno l'azienda agricola oggi? Know how, motore dell'innovazione e della crescita, accesso al credito, senza il quale è impossibile ottenere know how e innovazione, e ingresso sui mercati con prezzi remunerativi, senza profitto non c'è impresa.
Fino a che punto serve l'aggregazione per raggiungere questi tre obiettivi? E ancora, quale tipo di aggregazione?
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04 maggio 2013 ore 03:10Complimenti per l'articolo. Non saprei dare una risposta.
Giulio P.
04 maggio 2013 ore 22:24Gentilissimo Alberto io ai tre bisogni che cita lei nel suo articolo aggiungerei anche che c'è bisogno di meno burocrazia, che ci lascino lavorare in pace e non ci facciano perdere tempo in inutili balzelli burocratici altrimenti qui abbandoniamo tutto.
Poi per quanto riguarda le aggregazioni io vorrei portare ad esempio la Cooperazione Trentina unica realtà che permette a latifondisti e aziende a conduzione famigliare di convivere e garantisce reddito e democrazia a migliaia di aziende trentine operanti in un territorio che non regala niente a nesuno.
Saluti e complimenti.