Editoriali

E' GUERRA DEL VINO

14 maggio 2005 | Franco Bonaviri

E’ guerra del vino. Non si profilano tempi di serenità sul fronte dei commerci. La Francia vitivinicola, in particolare, è alle corde. Non riesce più a splendere di luce propria. Dispiace, perché francamente eravamo abituati a saperla un solido punto di riferimento in materia di vini. Invece, accade che la crisi che sta investendo pesantemente il settore stia ora mettendo incredibilmente in ginocchio anche un Paese dal passato così glorioso.

Intanto una prima notizia: il Comitato di gestione vini di Bruxelles ha deciso, nella riunione dello scorso 28 aprile, di dar seguito alla richiesta di distillazione di crisi avanzata dai nostri beneamati cugini d’Oltralpe per un totale di un milione e mezzo di ettolitri di prodotto, non di un semplice vino da tavola, no, ma di prodotto a marchio Vqprd. Non si respira insomma un’aria di ottimismo, se i vini di qualità, a denominazione di origine, stentano a trovare giusta collocazione nei mercati; ma nemmeno uno spiraglio di spensieratezza emerge in questo Paese enoico.

L’altra notizia non da’ alcuno spazio al buon senso. E’ il recente caso Vinexpo a lasciare semmai piuttosto perplessi, sintomo di un evidente segno di decadenza e di grande paura.
La vicenda la conoscete bene, è emersa in questi giorni sui giornali, ma già correva voce negli ambienti. Anzi, l’Ice stesso, il nostro Istituto per il commercio con l’estero, aveva diffuso un dispaccio in cui si comunicava con rammarico la decisione di disertare il celeberrimo salone di Bordeaux.

“Vista l’intransigenza dell’ente organizzatore, l’Istituto – annunciavano all’Ice lo scorso 2 maggio – si vede costretto, suo malgrado, ad annullare la collettiva italiana e le azioni di comunicazione previste”.

Il messaggio è chiaro e inequivoco. In ballo c’era tra gli altri il “progetto Origine”, una strategia di comunicazione che avrebbe puntato sulla promozione in grande stile dei vigneti autoctoni italiani. Un punto di forza del nostro Paese, per intenderci. Un punto di forza che da’ fastidio ai francesi, ai vigneron in crisi.

L’iniziativa italiana ovviamente non era rivolta al mercato francese, da sempre restìo alle nostre produzioni, rappresentando appena una quota miserevole, del 2,8% del nostro export. Ma in Francia, a Vinexpo, ci vanno gli operatori internazionali più importanti. E l’investimento dell’Italia era proprio finalizzato a questo pubblico di esperti. L’iniziativa di lancio sarebbe costata peraltro all’Ice quasi 2 milioni di euro, ma gli organizzatori francesi hanno rifiutato l’idea di presentare l’Italia unita. Paura, grande paura dell’Italia. Da qui la proposta di frammentare la presenza italiana, in modo da renderla meno visibile e attrattiva. Poveri francesi, fanno tenerezza. Qualcosa non sta funzionando e si sentono forse il fiato sul collo i vignerons?. E dov’è più la grandeur di Francia?

Ma torniamo a noi, la situazione non è comunque felicissima nemmeno per l’Italia. L’Unione europea, l’Istituzione che incombe su ciascun cittadino d’Europa come una grande mannaia, ha emesso il proprio vincolante giudizio attraverso la Corte europea, stabilendo il divieto per l’Italia di utilizzare la denominazione Tocai a partire dal 31 marzo 2007.

Le regole in materia di omonimia frutto degli accordi internazionali impongono che di fronte all'indicazione geografica ungherese "Tokaj", la denominazione “Tocai friulano” non possa più continuare a essere utilizzata per la designazione e la presentazione al pubblico.

”Il Tocai friulano – si legge nella nota - o Tocai italico, è una varietà di vite tradizionalmente coltivata nella regione Friuli-Venezia Giulia e utilizzata nell'elaborazione di vini bianchi commercializzati, in particolare, con indicazioni geografiche come "Collio" o "Collio Goriziano".
Ebbene, nel 1993, la Comunità europea e la Repubblica d'Ungheria hanno concluso un accordo sulla tutela e il controllo reciproci delle denominazioni dei vini. Gli accordi sono accordi, è vero, ma perché allora questa benedetta Europa non interviene a dovere, in maniera seria e coerente, anche quando a essere compromesse sono altre denominazioni dei Paesi membri, soprattutto rispetto ai molteplici casi di imitazioni circolanti al di là dell’oceano?

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