Editoriali

LA BELLEZZA DI UN PAPA

02 aprile 2005 | Sante Ambrosi

Nel grande romanzo di Dostoevskij L’idiota il principe Myskin, il personaggio principale del racconto, è a colloquio con il giovane Ippolit, malato di tisi ed ormai alla fine della sua esistenza. Il giovane legge un documento con il quale denuncia il destino che gli ha procurato un’esistenza così infelice e come protesta e rivincita sul destino stesso decide di togliersi la vita. Ma prima di tentare questa prova di forza, che poi non riuscirà per un motivo molto banale (la pistola è senza proiettili), si rivolge al principe Myskin, che lo sta ascoltando pieno di comprensione e di amicizia, con questa domanda illuminante: ”Voi avete detto che la bellezza salverà il mondo, principe; quale bellezza salverà il mondo?” Il principe non risponde, rimane in silenzio vicino a lui, un silenzio non muto, ma pieno di comprensione e di pietà... Ma se non risponde il principe, la risposta viene data da Dostoevskij con la la storia di questo personaggio che nella mente dell’autore doveva incarnare la figura di Cristo nella vita concreta del suo tempo. La salvezza, dunque, per Dostoevskij, doveva venire da una bellezza incarnata e vissuta nell’uomo e non da una bellezza di tipo estetico.



Questo episodio mi è venuto in mente alla notizia della morte del Santo padre, Papa Vojtyla. Su di lui si sono scritte tante cose e si scriveranno ancora in futuro soprattutto dal punto di vista della sua opera pastorale che ha segnato gli ultimi decenne del novecento, sia nella Chiesa come nel mondo. Ma io voglio ricordarlo attraverso alcuni segni che hanno rivelato una bellezza che ha sconvolto modi di pensare e di essere non solo all’interno della Chiesa, ma anche nella stessa cultura.

Innanzitutto quella sua umanità che apparve subito gioia di vivere e difesa della vita di tutti. Un Papa che amava la vita e che sapeva trasmettere l’amore per la vita. Così il suo fascino è stato colto come un messaggio liberante. Certo un Papa che si è sempre mostrato profondamente attaccato alla tradizione e al Dogma della chiesa, ma le sue verità, la sua verità divenivano annunci di liberazione che affascinavano anche emotivamente folle immense, soprattutto di giovani.Un papa che si liberava da strettoie burocratiche e saliva sulle montagne a sciare era qualcosa di inedito e a qualche cattolico tradizionalista, all’inizio, dette un poco fastidio. Ma in lui non c’era contraddizione tra il suo messaggio forte e tradizionale e quel godere momenti di felicità fisica. Per Lui la fede era innanzitutto gioia di vivere e voglia di vivere ogni dimensione dell’umano in tutti i suoi aspetti felici e non felici. Anche nelle sue malattie, direi soprattutto nelle sue malattie, si è manifestata questa sua volontà di vivere, perché la malattia in lui non è rimasta nell’ombra, come qualcosa da sopportare pazientemente e basta, ma come una dimensione di vita attraverso cui continuare a vivere. La malattia in lui divenne occasione propizia per un annuncio non altrimenti dicibile: la bellezza di essere vivi fino all’ultimo respiro.

Ma c’è un altro episodio che mi preme sottolineare perché ha segnato una svolta sostanziale nei rapporti con le altre religioni: la preghiera che ad Assisi il Papa ha voluto con tutti i rappresentanti delle grandi religioni. Vedere il Sommo Pontefice a pregare con sincera condivisione e alla pari con fratelli di altre fedi ha voluto dire non solo che era finita ogni forma di opposizione o di contrapposizione, ma che la fraternità di fronte a Dio diventava preghiera per un mondo veramente nuovo. E possiamo dire che da quel gesto iniziava veramente un mondo nuovo, anche se il nuovo è ancora dentro a mille difficoltà e deve percorrere molta strada per imporsi concretamente. Il nuovo era lì in quel gesto,
Esso crescerà e contagerà la mente di ogni uomo.
Infine voglio ricordare quel suo perdonare e chiedere perdono. Quel Papa che va nel carcere a portare il perdono a colui che aveva tentato di ucciderlo, il turco Agca, resta impresso nella mente di ogni uomo, credente e non credente come un gesto di potente umanità. Ma anche il coraggio che ha avuto in più occasioni di chiedere perdono per tanti errori e peccati della Chiesa del passato e del presente ha rivelato un animo che sentiva in se steso le responsabilità degli errori dei propri fratelli. Sentire che il peccato di tutti è anche il proprio peccato significa veramente sentirsi fratello di tutti, come Cristo.

Tante altre cose si diranno di Papa Wojtyla e si devono dire. A me è piaciuto sottolineare queste tre icone che, sono sicuro, più di tanti discorsi, anche molto dotti, raccontano una bellezza di un uomo che salverà il mondo.

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