Editoriali
La santa alleanza di Australia e Usa in nome dell'olio d'oliva
24 marzo 2012 | Alberto Grimelli
Si prospetta sempre più uno scontro muscolare tra il bacino del Mediterraneo, e più in generale i paesi che fanno riferimento al Coi, e alcuni ribelli, capitaneggiati dall'Australia, a cui si stanno aggregando gli Stati Uniti.
Paul Miller, presidente dell'Associazione dei produttori oleari australiani, ha lanciato la “new world olive oil quality alliance”, un appello per creare un nuovo cartello che riscriva le regole commerciali sugli oli di oliva, lontano da Madrid e dal Coi.
Una forte tentazione anche per gli Stati Uniti, se è vero che il Senato californiano sta pensando di mettere a punto propri standard sulla scia di quanto fatto fatto dall'Australia la scorsa estate.
Si tratterebbe di standard interni, ovvero di norme che impegnano solo le aziende locali, e che, quindi non dovrebbero avere ripercussioni sull'export italiano ed europeo.
Ho utilizzato il condizionale perchè non si può escludere a priori che questo braccio di ferro diplomatico, che già coinvolge più livelli istituzionali, dal Codex Alimentarius in giù, possa trasformarsi in una vera e propria guerra commerciale.
Al momento gli Stati Uniti non hanno preso aperta posizione, stanno insomma con un piede in due scarpe. Un po' danno ragione all'Australia, un po' non vogliono perdere i contatti con il Coi.
L'esemplificazione di questa posizione dicotomica, e anche un po' schizofrenica, è racchiusa nelle posizioni di Dan Flynn, direttore dell'Olive Oil Center dell'Università di Davis. Qualche settimana fa ha festeggiato, con tanto di comunicato stampa, l'ottenimento dell'accreditamento del panel di Davis da parte del Coi. Oggi celebra l'interesse e l'intenzione dell'American Oil Chemists’ Society di accreditare, per conto proprio, panel per la valutazione sensoriale degli oli d'oliva. “L'AOCS è la più antica e autorevole istituzione mondiale riguardo gli standard su oli e grassi” ha dichiarato Dan Flynn.
E' una partita a scacchi, giocata dal 2009 sopra le nostre teste, che però non possiamo trascurare o ignorare. Le istituzioni, nazionali e comunitarie, stanno attivamente lavorando su questo stato di crisi latente e non è un caso se uno degli obiettivi dichiarati e primari del nuovo direttore del Coi, Jean-Louis Barjol, è quello di ottenere l'adesione degli Stati Uniti al Consiglio oleicolo internazionale.
In questo complesso gioco il Coi ha un asso nella manica: è parte integrante della Fao e dell'Onu. Difficile mandare a carte quarantotto una simile istituzione. La strada, per i ribelli, è tutta in salita e oggi l'arma più affilata che hanno in mano è quella mediatica. Sono molto attivi, specialmente nei paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). L'obiettivo è creare una grande coalizione che possa spostare il baricentro del Consiglio oleicolo internazionale.
Nessun allarmismo, per carità, ma forse, anziché trastullarsi con la dimensione dei caratteri della designazione dell'origine in etichetta, occorrerebbe porre in essere qualche riflessione, anche perchè il futuro del consumo dell'olio d'oliva è in Asia e nelle Americhe.
Parafrasando Ennio Flaiano, la situazione è grave ma non è seria, ma non per questo è lecito nascondere la testa sotto la sabbia.
Chi ha più da rimetterci sono infatti i piccoli e medi produttori che non avrebbero né la flessibilità né la forza per resistere a una guerra commerciale.
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24 novembre 2025 | 13:00 | Silvan Brun
Vincenzo Lo Scalzo
14 aprile 2012 ore 19:23La contrapposizione negli organismi internazionale si manifesta quando si distinguono all'interno degli stessi gruppi di pressione capaci di prolungare status quo d'interesse di una "parte" piuttosto che di "un'altra parte". Ciascuna delle parti ha e fa riferimento alla propria "strategia" d'interesse. Non è difficile individuarne obiettivi, punti di forza e debolezze, condizioni esterne di favore o contrarie.), ma fa parte delle commodities alimentari soggette a pressione di condizioni di qualità e di sicurezza che interessano tutto il pianeta, quindi ONU, quindi FAO in primis. In questo momento la pressione sull'organismo mondiale a partire dal tema "risorse alimentari e sicurezza" lascia indifferente il ruolo dell'Italia, nel caso dell'olio associato a quello di Spagna e altri produttori del mediterraneo, tutti in situazione di gravi perturbazioni economiche e finanziarie.
Non so quale sia la strategia dei succitati gruppi di potere ma, dalla citazione dei paesi e delle potenze di rilievo, è palese forza dei mercati dei paesi del BRIC e quella di esperienza di direzione di organismi economici internazionali di US più che di Spagna (attuale leader) e di Italia (senza alcuna visione unitaria di piano o di strategia).
Detto questo, non saprei a chi rivolgermi per chiedere una risposta, ma nemmeno a chi porre dei quesiti. Le ragioni che determinano mutazioni dei criteri di guida del trade internazionale di commodities (l'olio d'oliva con > 3 Mio Ton anno di produzione e consumo non può essere trattato come
Non è facile un orientamento oggi, stante la dissociazione dei protagonisti e interessi poco coerenti verso obiettivi comuni condividibili in quanto "veri" e "coscientemente suggeribili alla universalità del consumo alimentare umano di tutto il pianeta".
Ma chi se ne prende carico? In Italia? Con pienezza di virtù e capacità di scegliere strategie vincenti? La semplice guerra commerciale è in corso da almeno un ventennio, caoticamente, ma si delineerà più palesemente con i suoi punti di offesa nel decorso del ciclo economico che si prospetta caratterizzato da seri progetti di allargamento di mercato e spostamento dei baricentri di riferimento.
Attendo senza timore qualsiasi commento, ma soprattutto sarebbe positivo recepire qualche espressione di interesse alla guida o di indicazione costruttiva della strada da percorrere su cui abbiamo avuto di modo di confrontarci su queste colonne.