Editoriali

Che fare?

28 gennaio 2012 | Giuseppe Politi

È comune la consapevolezza che l’agricoltura italiana stia vivendo, in particolare negli ultimi dieci anni, una situazione di diffusa e grande difficoltà strutturale, aggravata dalla più generale crisi dell’economia.
Poiché gli agricoltori non sono fuori mercato (non producono frigoriferi e pretendono di venderli al Polo nord) altrimenti non avrebbe senso vantare le eccellenze del made in Italy alimentare, è importante capire i reali motivi delle difficoltà e individuare le possibili soluzioni.

Sembra una conclusione abbastanza scontata, ma non è così. Disconoscere le difficoltà e sottovalutare una crisi (non più di tre anni fa si parlava di nuovo rinascimento agricolo) è grave quanto abbandonarsi alla rassegnazione dell’ineluttabile declino.

L’agricoltura, innanzitutto, ha bisogno, ancora oggi, di uscire da una marginalità culturale. Forse i 60 anni passati dalla riforma fondiaria sono pochi per rimuovere dall’immaginario collettivo l’idea di un’agricoltura sinonimo di latifondo, povertà e pellagra come descritti nell’inchiesta agraria Jacini. Sembra difficile far passare l’idea di un’agricoltura parte di un’economia industrializzata, che produce ricchezza, fatta di imprese diversificate ma con un nucleo forte che investe, fa innovazione, crea occupazione e reddito. Come il manifatturiero non è solo grandi imprese, così l’agricoltura non è solo micro aziende marginali.

Ci sono affezionato, ma considero talvolta stucchevole e irriguardoso per i nostri imprenditori l’immagine folcloristica che troppo spesso si offre dell’agricoltura, come se i “contadini” – quante volte, con affettazione si contrappone il contadino buono, amico della terra, all’agricoltore industrializzato – passassero la loro vita a protestare e a danzare nelle sagre di paese. Mi infastidisce, pur con tutto il rispetto e il sostegno che diamo come organizzazione, la continua contrapposizione (attribuendo giudizi di valore) tra agricoltura biologica e convenzionale, tra vendita diretta e filiera alimentare quasi non fosse obiettivo e missione comune di tutta l’agricoltura – senza aggettivi – e di tutti gli agricoltori produrre cibo combinando efficienza e produttività a sostenibilità, impegnarsi a creare reddito e occupazione, agire in un mercato concorrenziale ma fatto di regole.

Sia chiaro: a consolidare questa tara culturale le organizzazioni agricole, chi più chi meno, ci hanno messo del loro. Celebriamo 50 anni della PAC e qualche anno in più dalle prime leggi sui diritti civili e previdenziali degli agricoltori: quel mercato protetto (i prezzi garantiti) e quella legislazione speciale (in materia previdenziale e fiscale) sono stati cancellati (con le riforme della PAC) e profondamente intaccati (le recenti manovre finanziarie). In questa tendenza di lungo periodo verso la normalità, non si è avuto il coraggio e la capacità di guidare la selezione delle imprese (che comunque è avvenuta per cause naturali, come mostrano i dati dei Censimenti agricoli) tanto che, ancora oggi, è difficile distinguere, tra le politiche agricole, quelle a finalità sociale da quelle per lo sviluppo. Il regime di pagamenti della PAC ha finalità sociale o di sviluppo?
Fa ancora parte di quel ritardo culturale la ricorrente ambiguità con la quale si affronta quella che dovrebbe essere la prima missione dell’agricoltura: produrre cibo.

Abbiamo alle spalle un lungo periodo di vacche grasse nel quale il problema non era la disponibilità di prodotti agricoli a livello planetario, ma l’ineguale distribuzione e le politiche protezionistiche dei paesi ricchi. In quegli anni aveva facile ascolto e successo l’idea di acquistare le materie prime agricole in qualunque parte del mondo ove fossero disponibili al minor prezzo. La tesi era: compra dove costa meno, vendi dove si paga di più. L’Italia, paese a scarse risorse e grandi capacità di trasformazione si trovava in una posizione ideale. Senza disturbare le tesi del Reverendo Malthus, qualche problema ora ce l’abbiamo. Anche questo nodo la PAC (intendo la PAC che si sta disegnando per il futuro) non riesce a sciogliere. Non riesce a combinare gli obiettivi della produttività e della sostenibilità. Non a caso il modello è, più o meno, quello del periodo delle vacche grasse: greening e multifunzionalità in cambio di aiuti. Intento lodevole, ma ben lontano dalle necessità attuali.

La politica dei prezzi della PAC, dall’inizio degli anni ’60, non fu mai concepita come esclusiva ed estranea rispetto agli obiettivi di rafforzamento delle strutture agrarie. È noto che quella intenzione rimase sulla carta, e ancora oggi il tema dello sviluppo delle imprese è marginale tra le misure per lo sviluppo rurale. Possiamo dire che la PAC ha fatto (bene, pur con tante contraddizioni) ciò che le è stato chiesto di fare e ha lasciato un vuoto – la modernizzazione delle imprese – che stava agli Stati membri colmare con politiche e risorse nazionali, cosa che, in Italia, non è stata fatta. Le ultime leggi organiche di intervento in agricoltura sono di 30 anni fa.

Allora, veniamo al che fare, sapendo che abbiamo un orizzonte temporale di sette anni (la PAC 2014-2020) e che le risorse comunitarie costituiranno ancora la quota maggiore del consolidato del sostegno all’agricoltura.
Non è certamente questa l’occasione per un elenco esaustivo. Mi limito quindi a evidenziare tre priorità.

La prima è quella del ricambio generazionale. Molte aziende scompaiono sia perché “non ce la fanno più” sia perché non hanno successori. Questa è una vera emergenza perché se si prosciugano gli affluenti, il fiume muore. L’obiettivo è creare nuove imprese (ritorno alla terra) e, direi soprattutto, sostenere i giovani coadiuvanti che subentrano nella titolarità dell’impresa. Questioni fondamentali sono l’accesso alla terra (mobilità fondiaria e costo della terra) e il credito. Sono molte le iniziative e le proposte della nostra associazioni giovani (www.agia.it) alla quale rimando per chi ne volesse sapere di più.

La seconda è il mercato. Abbiamo una forte e crescente concentrazione dell’industria alimentare e della distribuzione commerciale e un’eccessiva frammentazione delle imprese agricole. Aumenta, inoltre, e diventa strutturale, la volatilità dei prezzi; ciò, anche se in una tendenza, di medio periodo, all’aumento dei prezzi, è un danno per gli agricoltori perché ne rende difficili e aleatorie le decisioni. Gli errori, i ritardi e le contrapposizioni hanno fatto si che, ancora oggi, gli agricoltori non hanno strumenti solidi e diffusi per agire in modo efficace nel mercato: essi si chiamano organizzazione dell’offerta e aggregazione del prodotto (a partire dalla cooperazione); accordi interprofessionali e contratti; strumenti assicurativi e fondi di mutualità per gestire le crisi di mercato e ridurre gli effetti della volatilità dei prezzi.

Vorrei chiudere con il tema della normalità, che costituisce la terza priorità. Anche su questo credo si debba compiere un salto di qualità. Gli imprenditori agricoli debbono affrontare problemi analoghi a quelli dell’intero sistema delle piccole imprese, indipendentemente dal settore di appartenenza: burocrazia, credito, tempi di pagamento, fisco, concorrenza, ricerca, innovazione, costi di produzione ecc. Questo ha portato, in più occasioni, a condividere posizioni ai tavoli delle rappresentanze di imprese. Ciò non annulla la particolarità dell’attività agricola: soggetta agli andamenti climatici stagionali e prodotti deperibili che rendono i risultati economici particolarmente vulnerabili. Il riconoscimento di questa particolarità non deve portate alla separazione, in una sorta di alterità delle imprese agricole. Quindi, per fare un esempio, le imprese agricole debbono sentirsi, ed essere considerate, pienamente dentro i principi della legge sullo statuto delle imprese, approvata a fine 2011 dal Parlamento. Inoltre, le misure di incentivazione, in particolare quelle che incidono sul trattamento fiscale, debbono essere pensate per tutto il sistema delle piccole imprese, non solo per una parte (le manifatturiere). È assurdo, ed è figlio del ritardo culturale di cui ho parlato, che le imprese agricole debbano ogni volta chiedere che quelle misure siano, in seguito, estese al settore agricolo. Come se fosse altra cosa rispetto al tessuto produttivo nazionale.

 

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Massimo Scacco

03 febbraio 2012 ore 10:25

Negli ultimi mesi, in realtà negli ultimi 20 anni, molti si sono prodigati nello scrivere sull'Agricoltura e sulla crisi, precedente a quella globale, che essa attraversa. Tutti però hanno solo, nel migliore dei casi, descritto la situazione attuale, additando i colpevoli di turno senza mai indicare la via d'uscita da questa situazione che ormai si può definire di "crisi stabile".

Non analizzeremo anche noi le cause che hanno determinato la situazione attuale ma proveremo ad indicare una strada per tentare di uscire da questa ininterrotta e, apparentemente, interminabile crisi.

Riduzione della polverizzazione.
2,5 milioni di Imprese Agricole, il 50% delle quali con meno di 2 ettari di Superficie Agricola Utilizzabile, sono un'anomalia non riscontrabile in nessuna altra regione europea. E anche se fossero meno (secondo alcune stime le Aziende Agricole sono meno di 500 mila) il totale delle imprese improduttive erode il territorio e la capacità di produrre reddito di quelle effettivamente produttive.
Come uscirne?
Dando un valore reale all'attività paesaggistica e al ruolo sociale che la manutenzione di un terreno agricolo ha nei confronti del Paese. Obbligando, a fronte anche di incentivi economici a seconda del valore storico, culturale e sociale del luogo, coloro che ricadono in un determinato ambito territoriale a coltivare quel terreno oppure a metterlo sul mercato degli affitti o delle vendite.
Ma non solo.

Valore aggiunto
Dare un valore aggiunto alle produzioni agricole è uno dei modi per aumentare la redditività delle aziende. Non si può più pensare di produrre e basta. Bisogna riuscire a vendere non solo il prodotto ma anche la storia e la cultura nel quale il prodotto si è formato e modificato. Storia, cultura, tradizioni, paesaggio rurale devono essere la scenografia sulla quale il prodotto viene esaltato nelle sue caratteristiche intrinseche. Bisogna insomma vendere una storia più che un prodotto.

Progettualità
Progettualità intesa come capacità dell'imprenditore agricolo di immaginare il futuro, ma anche capacità del Paese Italia di fare Sistema.
Un Sistema in grado di valorizzare le produzioni locali dando risalto alle eccellenze riconosciute e favorendo lo sviluppo di quelle ancora sconosciute al grande pubblico.
Un Sistema in grado di unire le forze sul fronte dell'organizzazione delle vendite non solo per rispondere alle esigenze di mercato ma per orientare il mercato verso i prodotti Italiani.
Un Sistema in grado di unire gli imprenditori dando loro la possibilità di tutelare le proprie individualità - aspetto questo fra i più difficili per tradizione in Italia soprattutto nel centro-sud del Paese.
Progettualità intesa come interazione positiva fra capacità ricettiva del Paese, grazie al quale far conoscere a mercati sempre più ampi le produzioni agricole nazionali e manutenzione ordinaria e straordinaria di un territorio che era, ma che può tornare ad essere, giardino d'Europa e del Mondo intero.

Rispetto dei ruoli
In ogni settore esistono ruoli ben definiti. Deve essere così anche in Agricoltura.
Imprenditore Agricolo, Operaio, Agronomo, Sindacato, Agrofarmacista, Rappresentante, Fornitore sono le figure che operano nel settore agricolo ma che spesso, per non dire sempre, si accavallano e si confondono finendo per confondere l'imprenditore a danno suo, dell'Impresa Agricola e, di conseguenza, dell'intero settore.
Compito delle istituzioni è quello di dirimere la matassa attuale e disegnare una strada da percorrere che sarà poi definita dai mercati: in questo senso, l'istituzione di un Servizio Agronomico Nazionale sulla scorta del Servizio Sanitario Nazionale (mutuandone certo gli aspetti positivi e non le criticità) potrebbe dare alle Aziende Agricole una maggiore garanzia di terzietà delle soluzioni ai problemi aziendali. In questo senso la "Ricetta" o "Prescrizione" dell'Agrofarmaco venduto presso le Agrofarmacie dovrebbe essere solo il punto finale di un percorso che l'Agronomo e l'Azienda Agricola cominciano insieme sul campo.

Finanziamenti
Si tratti di finanziamenti per facilitare il ricambio generazionale, per l'ammodernamento delle Aziende Agricole, per renderle ecosostenibili o per aiutarle nel percorso delle certificazioni di qualità, questi dovrebbero essere gestiti dal sistema bancario. E' solo così che un Business Plan potrà essere valutato correttamente. Dopo che l'istituto finanziario dichiarerà bancabile un progetto, potranno intervenire Regione, Stato o Comunità Europea ad aiutare l'Azienda Agricola nel ripagare il debito contratto.
Discorso analogo per quello che riguarda le calamità: solo un sistema di assicurazioni il cui premio sarà pagato in parte dallo Stato potrà garantire alle Aziende un buon paracadute senza incidere troppo pesantemente sul bilancio statale consolidando al tempo stesso la spesa per il sostentamento del settore.

Fiscalità
La nostra posizione su questo punto è netta: abolire la fiscalità agevolata, abolire il regime d'IVA semplificato e pagare le tasse sull'effettivo reddito generato dall'azienda e non su quello derivato dalle rendite agrarie e dominicali.
I contributi al mantenimento delle aziende agricole nelle zone svantaggiate che pure hanno un interesse storico, sociale e paesaggistico potranno essere erogati in altre maniere ma non mantenendo l'attuale normativa in materia fiscale. Sono anni che, infatti, questo tipo di fiscalità genera zone di grigio e di nero che sono l'inizio (non l'unico certamente) dell'intera economia sommersa in Italia.
L'Agricoltura deve insomma pagare le tasse per far pagare le tasse agli Italiani.

Questo articolo non ha la pretesa di proporre soluzioni univoche a problemi molto complessi. Quello che abbiamo cercato di fare è analizzare criticamente la situazione contingente traendo le nostre considerazioni dalle esperienze che maturiamo ogni giorno sul campo o, meglio, nei campi. Non vogliamo demonizzare tutto e tutti ma abbiamo voluto cercare di far capire che solo con uno scarto a livello culturale e socio-economico, l'Agricoltura potrà uscire dalla crisi in cui versa. E con essa, forse, l'Italia.

Il dibattito è aperto. (cit. www.verdeagricoltura.it)

Donato Galeone

30 gennaio 2012 ore 23:43

Concordo che l'agricoltura del 2012 non può esere sinonimo di ".latifondo, povertà e pellagra".
Non è neppure solo sininimo di "ruralità" in un contesto della Politica Agricola Comunitaria che nella riduzione delle risorse di oltre il 20% rispetto ad una ventina di anni fa, nell'insieme dei 27 Paesi europei, deve rielaborare un condivisibile criterio redistributivo delle stesse ridotte risorse, non unicamente, destinate alle "quantità di superficie per ettaro" che - a mio avviso - non aiuterebbe l'imprenditorialità agricola e potrebbe premiare, di fatto, la rendita fondiaria.
Lei richiama i 50 anni della PAC.
L'agricoltura italiana del terzo millennio è mutata in almeno quattro differenti "diversificate multifunziali agricolture" tra Nord e Sud.
Sono a Nord-Est le agricolture competitive elevate (utilizzo completo delle misure PSR 2007-2013 cofinanziate e mirate al consolidamento e allo sviluppo dell'agroalimentare; le intese di filiere e l'interprofessione verso progetti interaziendali fondati su innovazione e ricerca).
Seguono, poi, le altre agricolture di medio sviluppo diversificato in sistemi colturali tradizionali dell'area tirrenica-meridionale che necessitano - ancora - di mutamenti in ristrutturazioni, per migliorare in efficienza tecnica-economica e organizzativa al fine di contrastare l'aumento dei costi, per quanto possibile, e competere - essenzialmente - nella missione di "produrre cibo".
Richiamando la PAC 2014-2020, è noto che il negoziato - già avviato - si concluderà a settembre 2012. Per l'Italia il nostro Governo ed il neo Mnistro Catania reincontrandosi con Francia e Germania dovranno tenere in conto - ad oggi - di quanto la Francia abbia pesato e pesa nella definizione della Politica Agricola Comunitaria.
Ed ancora di più, nel 2012, allorquando i francesi saranno coinvolti nelle elezioni presidenziali. Così come la Germania - avvicinandosi le elezioni - appare impegnata di portare a casa soddisfacenti risultati europei che plachino gli scontenti elettori tedeschi ritenendosi pagatori dei debiti pubblici europei. Sono momenti politici che contano, a mio avviso.
Lei dice "che fare" per la nostra "politica agricola" nel contesto europeo !
Dobbiamo tenere in conto e presente che non può essere indifferente per il nostro Paese la previdibile perdita di circa 300 milioni di euro al sostegno della programmazione agricola 2014-2020. Dobbiamo sostenere - a mio avviso - e garantire, nel contempo, ai 26 Paesi dell'Unione Europea che l'Italia riuscirà a spendere tutti gli aiuti concessi e disponibili con la esecuzione dei PSR 2007-2013.
Risorse definite e spendibili - da verificare - nella corretta direzione di "visibile sviluppo dell'agricoltura" che è anche promozionale di un possibile sviluppo sociale - misurabile - delle nostre antiche e tradizionali contrade rurali.
In questo contesto si devono dare gambe alla tre priorità da Lei sintetizzate con le parole: "ricambio generazionale" e "mercato" in un sistema generalizzato di piccole e medie imprese con "particolarità dell'attività agricola".
In questa cornice, tutto ciò può significare - a mio avviso - massima divulgazione-informazione per "far conoscere di più" nel nostro Paese.
Mirare, innanzitutto, alla promozione e al consolidamento della "dimensione economica dell'impresa agricola" singola o preferibilmente aggregate per aree omogenee, pubblicizzando "filiere agroalimentari" nelle specificità e tipicità - conosciute e diversificate - sia per contribuire a soddisfare la "domanda di cibo" mondiale che per competere - in trasparenza dei costi e dei prezzi - spuntabili in un regolato mercato globale.
Interessante e prioritario dovrebbe essere l'impegno nel condividere la proposta di un "sostenibile e praticabile modello sviluppo agricolo diversificato italiano" dimensionato nel livello europeo da implementare nel 2014-2020 in un mercato globale regolato.
Il recente Censimento Agricoltura 2010 aiuterebbe la elaborazione della proposta italiana di "sostenibile sviluppo"che va condivisa attivando un esteso confronto tra gli "operatori agricoli" ed i "consumatori di cibo".
Apriamo a più democrazia in agricoltura, in momenti difficili, ai "contenuti veri" e alla "partecipazione" attiva sul "come" è possibile sviluppare le "nostre agricolture".
E' l'unico modo per contribuire, non solo a parole, a "recuperare" quel "ritardo culturale" - da Lei richiamato - e incidere nel sistema imprenditoriale, inclusivo con pari dignità operativa, delle piccole e medie imprese agricole.
Donato Galeone

Giulio P.

29 gennaio 2012 ore 21:32

Mi dispiace rovinare questo bel quadretto, ma io dei sindacati agricoli ho perso la fiducia visto come si comportano.
Dei loro iscritti se ne infischiano, pensano e ci riescono bene ad aumentare solo il loro reddito,
anche occupando qualsiasi posto di comando che c'è da occupare perchè evidentemente rende economicamente.
Un esempio recente della loro inettitudine? La riforma della PAC!
Poteva essere un bel motivo per dialogare sindacato/agricoltore ma niente, nessuno ha mosso un dito per dare la possibilità a noi imprenditori agricoli di decidere in prima persona del nostro futuro. Il confronto sarebbe stato utile anche solo per farci capire cosa ci aspetta con la nuova politica comune, peccato l'ennesima occasione persa.

Piero Nasuelli

28 gennaio 2012 ore 17:56

Il Presidente della CIA scrive bene ma "razzola" male.
Dovremmo riflettere sulle seguenti parole di Adam Smith riguardo ai danni che provocano i sistemi protezionistici sul commercio dei grani: “Le leggi concernenti i grani possono ovunque essere paragonate alle leggi concernenti la religione. La gente si sente tanto interessata a ciò che riguarda la propria sussistenza in questa vita o la propria felicità nella vita futura, che il governo deve cedere ai suoi pregiudizi e, per mantenere la pubblica tranquillità, stabilire il sistema ch’essa approva. È forse per questo che troviamo tanto raramente istituito un sistema ragionevole riguardo sia all’uno che all’altro di questi due argomenti fondamentali.” (A. Smith – La ricchezza delle nazioni – Parte II – Capitolo 5 – Digressione sul commercio e le leggi sui grani)