Editoriali

Agricoltori, valete meno di zero

12 novembre 2011 | Luigi Caricato

Se da un lato la Coldiretti lancia la formula del Km zero per risollevare le sorti dell’agricoltura italiana, avvalendosi degli effetti speciali che fanno perno sul folclore, dall’altro lato lo zero, a conti fatti, sta ben appiccicato addosso agli agricoltori. E’ un dato di fatto: voi valete in realtà ancor meno di zero. Di conseguenza, giusto per essere espliciti, non potete nemmeno lontanamente aspirare alla benché minima considerazione. Concentratevi piuttosto sul lavoro, e non pensate ad altro.

Per quanto sia possibile, soffermatevi soltanto sul presente, perché del domani – sia ben chiaro – non c’è alcuna certezza. Almeno per voi. Finché potete, per quanto vi è possibile, cercate invece di seminare un timido segnale di speranza nel cuore dei vostri figli. Spingeteli ad abbandonare i campi. Indirizzateli altrove, creando loro l’occasione per un futuro diverso. Sì, proprio così. Anche perché con tutta sincerità non conosco altre vie percorribili. Ha senso d’altra parte fare agricoltura oggi? Rispondetemi con coscienza, purché siate onesti con voi stessi.

Non inventatevi storie assurde, o parole come “passione”, “libertà interiore”: sono pure frottole, se non supportate da altre espressioni come “dignità”, reale “appartenenza alla comunità”.

Oggi gli agricoltori in Italia sono gli “ultimi”, proprio come lo erano un tempo, e forse anche peggio rispetto al passato, giacché se da un lato le condizioni di vita sono decisamente migliorate per tutti, nemmeno gli “ultimi” che provengono da altri paesi oggi vogliono più sporcarsi le mani con l’agricoltura. Se per caso ne entrano a far parte, per mancanza di altri sbocchi, cercano comunque di fuggirne il prima possibile, puntando altrove. Il dramma più grande, per un agricoltore che non sa mentire a se stesso, è sentirsi solo, separato dagli altri, pur stando tra gli altri.

La società si mostra solo apparentemente vicina a chi lavora a contatto con la terra, ma nei fatti ne prende ogni volta le dovute distanze, dimostrando la propria lontananza soprattutto in quel linguaggio non verbale che è la voce della verità. La vicinanza della società ai bisogni dell’agricoltura è solo epidermica, ma nei fatti l’agricoltore con le sue necessità non viene mai accolto dalla comunità come meriterebbe. Nessuno, in particolare, accoglie le preoccupazioni degli agricoltori, e nessuno soprattutto considera l’agricoltura per quello che realmente è, con tutte le sue dinamiche. A cosa possono servire d’altra parte passione, voglia di appartenere alla natura, libertà interiore se poi di fatto si è “ultimi” e tali si è destinati a restare?

 

 

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EMILIO FRANCIOSO

13 novembre 2011 ore 23:26

E sì, quando ci vuole, ci vuole. Mio nonno, contadino, mi diceva sempre: "Se devi sputare non farlo mai in terra, la terra prima o poi ti restituirà il favore". Quella lezione di vita l'ho imparata. Ma quello che oggi temo è che "lo sputo in terra" venga dallo stesso agricoltore incapace di difendere le proprie ragioni di vita, per disperazione. Il Vangelo parla di ultimi che saranno primi e di altre guance da porgere... Auspico che chi davvero con il proprio sudato lavoro valorizza la terra e i suoi frutti abbia il coraggio di alzare la zappa attaccandovi la propria bandiera, la propria causa, il calibro della giustizia e per farlo c'è solo bisogno di trovare unità, volontà e caparbietà. Anche perché, senza nulla togliere al Padre Eterno, nel Regno dei Cieli si può essere pure secondi e le guance da porgere sono finite da un pezzo!

Alberto Sartori

13 novembre 2011 ore 21:50

A cosa possono servire passione, voglia di appartenere alla natura, libertà interiore …? Servono, servono. Io sono convinto che servano. Certo, non servono al business, ma servono soprattutto a noi stessi e a chi ci sta intorno, se è aperto al contagio.
Parto dalla constatazione che è sempre stato così e mi dico, senza drammi, che così sempre sarà. Anche se è molto antico il proverbio di non sputare nel piatto dove si mangia, l’uomo evidentemente non resiste a questa tentazione. Ma io ho fede. Fede nel futuro e fede nelle nuove generazioni che per definizione faranno meglio delle precedenti, che sapranno far tesoro dei nostri errori.

Coltiviamo la terra, l’ambiente, il territorio, con la natura e per il mondo.
Coltiviamo prodotti, relazioni e tradizioni, con l’uomo e per l’umanità.
Qualcuno disse che gli ultimi saranno i primi. Siamo l’attività tra le più antiche del mondo e resisteremo, insieme a poche altre, a catastrofi di qualsiasi tipo, naturali, artificiali e anche artificiose. Non c’è altro lavoro che possa vantare queste millenarie tradizioni. Magari la nostra azienda, in quanto tale, esiste da poche generazioni, ma sicuramente stiamo perpetuando la attività di chi ci ha preceduto.

Avere queste certezze in questi tempi pieni di ansie non è da poco. Il problema è vivere e competere all’interno di questo sistema economico senza avere non tanto gli strumenti per poterlo fare quanto le armi per combattere contro chi non ce lo lascia fare. Per cui bisogna uscire dagli schemi di questo sistema economico, sottrarsi al ruolo in cui ci vorrebbe relegare. Ad esempio accontentandoci di piccole produzioni o di prodotti di nicchia che possano saltare la catena di distribuzione, diversificandoci con attività come l’agriturismo o servizi sociali per produrre beni immateriali, occupando ogni nuovo piccolo o grande spazio che il sistema stesso inaspettatamente ci lascia, come le agroenergie.

Ho 61 anni e quest’anno realizzerò un bosco di pianura piantando querce che produrranno legno da pregio tra 30 o 35 anni, sempre che colui che verrà dopo di me non decida di lasciarle diventare secolari. Come vorrei essere quell’agricoltore che amava ripetere: coltivo alberi che non ho piantato io e che non taglierò io.
Vivere consumando meno si può.
Meglio imparare a farlo noi prima di essere costretti a farlo.

GIANLUCA CHIEPPA

12 novembre 2011 ore 15:25

Bella provocazione! In effetti è difficile capire dov'è il bando della matassa...
...troppi, davvero troppi gli ostacoli per questo settore moribondo da anni. Ad esempio la prima cosa che mi viene in mente è una cattiva organizzazione delle piccole o micro realtà aziendali ...ma - vedi annata corrente - nemmeno le grandi realtà eccellenti come quelle della "cooperazione" emiliana, sono riuscite a far fronte all' onda d' urto della crisi economica (vedi crisi ortofrutta).
Poi guardo oltre e vedo:
- un' agricoltura fatta di carte (no banconote) attanagliata da un cancro come quello della burocrazia (che arricchisce organizzazioni di categoria e CAA);
- Le istituzioni poco efficienti con un valzer di ministri (3 in nemmeno di 2 anni) bravi sul web ma lontani anni luce dalla realtà e che parlano sempre con gli stessi slogan vecchi e stucchevoli
- Delle Organizzazioni di Categoria spesso disunite e brave nella corsa a chi mette prima sotto braccio il nuovo ministro di turno abbagliandolo con i soliti slogan.
- una GDO tiranna pronta con la falce a decapitare le teste e a "bruciare" il valore delle produzioni agricole.
- Una concorrenza spietata dei Paesi emergenti ed una UE fatta solo sulla carta, incapace di tutelare Nazioni come l'Italia più attente nel rispettare norme comunitarie giustamente restrittive(vedi sicurezza alimentare).
- Una serie di avvoltoi e sanguisughe (anche tra illustri del mondo accademico) pronte a stravolgere territorio e produzioni (l'unica sinergia che può funzionare) per affrontare sfide totalmente perdenti già in partenza (vedi in Puglia l' intromissione di varietà spagnole d'olivo a danno delle varietà autoctone).

Troppi, davvero troppi, gli ostacoli. Dovrebbero, gli agricoltori, "indignarsi"?? E come? se sono troppo pacifici vengono snobbati e bastonati. Se sono violenti (per giusta reazione), sono pronte gabbie e manganelli!

Davvero una situazione molto molto difficile ormai al collasso.
Il bando della matassa è molto difficile da trovare. Siamo al "si salvi chi può"?

Gianluca Chieppa
AgricardClub