Editoriali
I senza voce
04 giugno 2011 | Luigi Caricato
Ciò che più mi avvilisce del mondo agricolo è l’assenza pressoché totale di dibattito al suo interno. Si assiste quasi a una sorta di straniamento e di completa presa di distanza dalla realtà, al punto da non partecipare a ciò che accade, anche nelle questioni di diretta e specifica competenza. Tutti insomma intervengono a vario titolo, tranne che il mondo agricolo in senso stretto. Un po’ come se i veri protagonisti dell’agricoltura non avessero alcunché da dire, oppure che non avessero voglia di dire qualcosa, ammesso che abbiano qualcosa da dire. E così perfino i vari Mario Capanna in circolazione si appropriano dei temi agricoli facendoli propri, magari perché non hanno altre carte su cui puntare, non sappiamo, ma certamente se ne occupano sottraendo spazi ai veri agricoltori, quelli che se ne stanno muti e appunto senza voce nel mondo esterno.
Ho tentato in mille modi di coinvolgere il mondo agricolo, così poco incline al confronto e posso sostenere, a partire dall’esordio in Rete di Teatro Naturale, che a distanza di quasi dieci anni, qualcosa un po’ forse è cambiato, ma non ne sono tanto sicuro. In realtà i “senza voce” oggi parlano, ma si limitano a farlo in privato, nel chiuso delle relazioni interpersonali. Insomma: non si espongono, o, se lo fanno, agiscono senza farsi notare, sotto traccia. Ma – mi chiedo e vi chiedo – è mai possibile che ciò possa ancora accadere, in una società che è cambiata e che sta cambiando in fretta e senza sosta, in una società – per intenderci – che fa della comunicazione uno tra i propri cardini su cui si regge?
Ciò che ancora mi stupisce, è che nonostante gli sforzi miei e di altre persone, di altrettanta buona volontà, lo scenario di fondo ancora non cambi, e in molti preferiscano di gran lunga il silenzio e lo stare defilati all’essere in prima linea e sostenere e promuovere la propria buona causa. Già, perché l’atteggiamento più frequente cui assistiamo, è una certa – perfino ostentata – refrattarietà alla dialettica e al confronto. Ma così non può continuare all’infinito: non sarebbe forse l’ora di cambiare registro e far sentire la propria voce?

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05 giugno 2011 ore 19:53Sono un'agronoma e concordo pienamente con il dott. Caricato: è "assordante" il silenzio della categoria che invece, oggi più che mai dovrebbe pretendere di essere l'artefice del dibattito sulle scelte da attuare per far sì che l'Agricoltura abbia un ruolo fondamentale nelle scelte politiche nazionali e comunitarie. Mi fa stare molto male l'idea che la nostra Agricoltura non interessa più; in passato ha rappresentato il serbatoio di voti al sud per la vecchia DC; non c'era molto interesse a far evolvere il comparto..... era meglio aspirare ad avere "fabbriche", o il mitico "posto" o la pesione di invalidità.... e intanto le campagne si spopolavano.... oggi, dopo decenni di discussioni nelle alte sfere e di assistenzialismo, quando si discute di scelte da attuare si continua a fare confusione pensando ad un comparto lungo tutto lo stivale omogeneo per caratteristiche territoriali, climatiche, di sviluppo, per le dimensioni aziendali... e invece sappiamo tutti che non è così! Lo dovremmo urlare! ma purtroppo non abbiamo più una coscienza di appartenenza civica così forte da farci sentire partecipi; e non solo per il comparto agricolo.
Massimo Scacco
13 giugno 2011 ore 11:24Caro direttore,
scrivo qui, commentando il suo editoriale, quello che ripeto da anni.
Prima di tutto mi presento: sono un Agronomo libero (LIBERO!) professionista e opero da diversi anni in tutto il centro-sud Italia fornendo esclusivamente assistenza tecnica principalmente a produttori serricoli.
Quello che lei scrive è quanto mai vero, e per dare una spiegazione su come mai sia "...possibile che ciò possa ancora accadere..." le propongo alcuni spunti di riflessione.
1) C'è un Piano Agricolo Nazionale che guardi al futuro?
2) In Italia si fa Agricoltura, o, insieme a noi agronomi corresponsabili, si inseguono - peraltro con scarso successo - finanziamenti più o meno a fondo perduto e/o aiuti al prezzo?
3) Le associazioni di categoria fanno il loro mestiere, cioè tutelano e informano i loro soci, o sono strutture autoreferenziali che mirano solo al mantenimento di loro stesse (svolgendo spesso compiti che non spetterebbero loro)?
4) Se Maometto non va alla montagna (cioè se chi dovrebbe informare non va dall'agricoltore ad informarlo), la montagna dove va (dove vanno cioè gli agricoltori)?
Sono domande retoriche che però in pochi si pongono o, se se le pongono, rispondono diversamente da quella che è la realtà.
La realtà è che non esiste una linea guida per l'Agricoltura in questo paese; non esiste associazionismo tale da poter chiedere che queste linee guida ci siano; non esiste Ministero visto che questo viene usato come merce di scambio a basso costo per il "responsabile" di turno; non esiste una rete di professionisti liberi (LIBERI! e non legati a ditte produttrici di agrofarmaci, concimi, piante o quant'altro) che possa fornire assistenza tecnica completa e possa informare gli agricoltori. Chiudo citando uno dei più grandi industriali di tutti i tempi: "se avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto: un cavallo più veloce" (Henry Ford), cioè siamo noi che dobbiamo non solo dare risposte alle esigenze dei nostri clienti e in generale degli agricoltori, ma informarli sulle prospettive future delle loro aziende e, guardando nella sfera di cristallo, su quelle dell'Agricoltura in Italia.