Editoriali

L’unità del mondo agricolo

05 marzo 2011 | Elia Fiorillo



Ogni tanto una buona notizia. L'incontro tra le varie componenti del mondo agricolo, della cooperazione, dei sindacati per definire un documento unico ed unitario sulla riforma della Pac (Politica agricola comune) non può che far piacere.

Pensare di presentarsi a Bruxelles con documenti e posizioni diverse, sarebbe equivalso a dichiarare che l'Italia era fuori gioco. Non è che con un documento, sia pur unitario, sarà possibile cambiare le cose. Certo, agevolerà nella trattativa le possibili partnership con altri Paesi, primi fra tutti Germania e Francia.

Non sarà semplice, per gli estensori del documento, provare a salvaguardare il passato tentando, nello stesso tempo, di agguantare il futuro con le sue sfide di qualità e, soprattutto, di competitività. Per farlo ci vuole coraggio che si porta dietro spesso impopolarità. E il consenso nessuno vuole perderlo.

Se però si mettono da parte le posizioni demagogiche e si spiegano chiaramente anche le scelte più dure e difficili da accettare, la gente comprende. Lo ripeteva spesso Ezio Tarantelli, l'economista ucciso dalle Brigate rosse.

Se invece si continua ad illudere il prossimo con ben studiate campagne mediatiche, tutte finalizzate a ipotizzare un futuro immaginifico, ma autarchico, o di super nicchia, allora il tonfo ci sarà anche se noi abbiamo il Made in Italy e le cose più buone del mondo.

La parola che in questo momento può fare la differenza può essere vincente, ed è unità.
La competizione mondiale passa per ragionamenti unitari.

Hai voglia a produrre eccellente qualità se poi i suoi costi sono fuori mercato. Il danno sarà duplice: il produttore si avvilirà e si accorgerà che è più conveniente non investire in qualità; la tanto, e giustamente, decantata politica dell'etichettatura, per premiare il Made in Italy, andrà a farsi benedire.

Quando si sostiene che devono essere incentivate solo quelle imprese che sono professionali, si dice una verità, ma si cancellano con un sol colpo tantissime altre piccolissime realtà produttive che possono essere una risorsa e non un peso.

Tutto sta ad ipotizzare un'organizzazione produttiva diversa. L'importante è dare loro speranza nel futuro. Questo, ad esempio, può avvenire con la conduzione associata dei terreni agricoli, con le OP, le Organizzazioni Produttori, con la cooperazione che può diventare una grande opportunità per piccole realtà che non hanno futuro.

Ma se si vuole realmente sfondare nei mercati mondiali e non "nuotare nella piscina di casa propria" non si può non fare "un patto di lealtà" e di collaborazione con l'industria ed il commercio. Insomma, quando giochiamo fuori casa dobbiamo presentarci con la Nazionale italiana e non con le nostre grandi-piccole individualità.

Qualche tempo fa mi trovai a fare quattro chiacchiere con un amico, vice presidente della Coldiretti. Ricordo che, nel constatare l'assoluta e voluta separatezza di questa importante organizzazione professionale agricola – che nel bene e nel male è stata il motore della politica agricola italiana – con il resto del mondo agricolo del nostro Paese, gli chiesi che senso avesse una tale scelta. Alle sue per me non convincenti risposte, tutte basate su vincoli o ideologici o d'appartenenza anti caduta del Muro di Berlino, o d'efficienza elaborativa, tirai in campo la "ragion pratica". Questa vorrebbe, a mio avviso, una semplificazione, un accorpamento, uno snellimento degli "apparati" che oggi sono presenti nell'agricoltura italiana. E chi meglio della Coldiretti, certamente leader nel settore, poteva assumere questo ruolo di leadership, di guida non isolazionista dell'agricoltura italiana? Perché non lanciare in agricoltura l'unita sindacale?
Tra la guida illuminata, ma isolata e quella autorevole e partecipata, non è meglio quest'ultima?

Io credo che il futuro non potrà che essere – e sarà – unitario.



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